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Un blog creato da nottelunas il 12/09/2006

amareilcinema

Parole di cinema scritte ( e trascritte ) di notte e tant'altro per chi ha cuore e occhi per vedere.Per chi ama il cinema.Per chi ha ancora un sogno

 
 

Chi cammina si intorbida,

l'acqua corrente non vede le stelle,

chi cammina dimentica,

e chi si ferma sogna.

             F. Garcia Lorca

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AREA PERSONALE

 


Il sogno

Se il sonno fosse (c'è chi dice) una
tregua, un puro riposo della mente,
perché, se ti si desta bruscamente,
senti che t'han rubato una fortuna?
Perché è triste levarsi presto? L'ora
ci deruba d'un dono inconcepibile,
intimo al punto da esser traducibile
solo in sopore, che la veglia dora
di sogni, forse pallidi riflessi
interrotti dei tesori dell'ombra,
d'un mondo intemporale, senza nome,
che il giorno deforma nei suoi specchi.
Chi sarai questa notte nell'oscuro
sonno, dall'altra parte del tuo muro?


JORGE LUIS BORGES


 

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“La stella che non c’è”  Viaggio al termine della Cina - Recensione di Oscar Iarussi                                                   

 

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AMORE DOPO AMORE

Tempo verrà
in cui, con esultanza,

saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,

e dirà: Siedi qui, Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io:
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti: E' festa: la tua vita è in tavola.


Di  Derek Walcott                                                                                                                          Citato nel Film "La Febbre"

 

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Film (Cartone) stupendo... l'ho visto 3 volte... e non...
Inviato da: lina.s69
il 03/04/2010 alle 18:39
 
Domani lo guarderò sicuramente...^__^ Buonanotte,...
Inviato da: martha76.mt
il 06/01/2010 alle 02:11
 
Devo vederlo presto.
Inviato da: fotoraccontare
il 28/11/2009 alle 17:00
 
Occorrerebbe registrare i dialoghi.... potrebbero...
Inviato da: nottelunas
il 30/10/2009 alle 08:48
 
Hai ragione! E' una perla, una bellissima...
Inviato da: nottelunas
il 30/10/2009 alle 08:45
 
 

 

« WONDERFUL ... ALICE !L'UOMO CHE VERRA' »

INVINCIBILE... COME IL PERDONO!

Post n°114 pubblicato il 05 Maggio 2010 da nottelunas
 

"  (...) Voglio dare con la stessa forza con cui volevo all'inizio,

Voglio vincere dato che non posso essere vinto

Alessandro Panagulis

 

 

   Ancora una volta Clint Eastwood firma un capolavoro. La vita e l'azione politica di Nelson Mandela raccontata attraverso una partita di rugby, una partita storica che vide nel 1995 la squadra sudafricana vincere i Mondiali, contro ogni avverso pronostico. Un film asciutto ed intenso che tocca corde profonde, che incanta ed emoziona, avvince e lascia col fiato sospeso. Misurato e commovente. Forte e lieve come il perdono nel cui segno si racconta la nascita di un popolo e la ri-costruzione di una nazione.                 Lieve e forte come  quel perdono  che non teme le asperità del destino  ma solo "l'orrore della fine".

Imperdibile!

M. Cristina Lucchetta

 

In meta contro l'apartheid

di Gaetano Vallini L'Osservatore Romano

Accade a volte che un evento sportivo assuma significati che vanno oltre l' aspetto agonistico. Così se per la maggior parte della gente la finale della Coppa del mondo di rugby del 1995 disputata all'Ellis Park Stadium di Johannesburg fu solo un'avvincente partita, peraltro con un risultato sorprendente, per il Sud Africa rappresentò un momento cruciale della storia nazionale. Grazie alla lungimiranza di un uomo, Nelson Mandela, primo presidente di colore nel Paese, quell'evento divenne esperienza comune di un popolo fino ad allora diviso tra bianchi pochi ma detentori del potere e della ricchezza e neri, poveri ed emarginati. Quell' impensabile convergenza del tifo su una squadra, gli Springbooks, sostenuta solo dagli afrikaaners e odiata dai nativi per i colori verde e oro divenuti simbolo della segregazione, aiutò in parte a sanare le ferite del passato e a infondere speranza in un futuro pieno di incognite dopo la vergogna dell'apartheid.
Scegliendo di raccontare questa storia in Invictus, Clint Eastwood, alle soglie degli ottant'anni, prosegue con bravura e sensibilità il suo percorso di regista impegnato a esplorare l'uomo e la società. E sulla scia di Gran Torino (inno alla non violenza ma anche invito alla tolleranza razziale, contro ogni pregiudizio) affronta i delicati te mi del perdono e della riconciliazione. «Il perdono - fa dire al suo Mandela - libera l'anima, cancella la paura. Per questo è un'arma tanto potente». Probabilmente dietro a queste parole non si cela solo un imperativo morale, ma anche un più pragmatico calcolo politico, segno di una lucida visione della realtà, che però non sminuisce il senso di una scelta coraggiosa.
Nelle sale italiane dal 26 febbraio, Invictus non è, dunque, un film sullo sport in senso stretto, né la biografia di un uomo. Tuttavia, l'accorta regia di Eastwood e la sceneggiatura di Anthony Pcekham tratta dal libro Ama il tuo nemico di John Carlin (Sperling & Kupfer) danno un tono quasi epico alle scene agonistiche caricandole di un pathos che richiama i classici del genere, come Fuga per la vittoria o Momenti di gloria. Così come il fulcro della vicenda sembra perfetto per analizzare i tratti essenziali del carisma politico di Mandela.
Lungi dal voler dipingere un santino del leader dell'African national congress (Anc), che ha trascorso in carcere 27 anni prima di diventare presidente del Paese e un simbolo planetario della lotta per i diritti civili e per la libertà contro ogni oppressione, Eastwood, grazie all'ottima interpretazione di un Morgan Freeman perfetto nel ruolo del protagonista, ne condensa in efficaci quadri la personalità complessa, segnata da un'esistenza dolorosissima.
Emerge così la figura di un uomo intelligente e realista. «E una domanda lecita» risponde spiazzante ai fedelissimi risentiti per l'astio che si cela dietro il titolo di un giornale l'indomani del voto: «Ha vinto le elezioni ma sarà in grado di governare?». Efficace e convincente nel far passare le sue idee, per quanto apparentemente contraddittorie con la sua storia e con quella dei suoi fratelli neri, capace di vedere oltre la limitata prospettiva dei suoi collaboratori più stretti che lo sconsigliano di occuparsi del rugby e di quella squadra amata soltanto dai bianchi, Mandela comprende invece quanto quel campionato del mondo sia importante. Il Paese sta vivendo un momento cruciale, l'ombra dell'apartheid ancora incombe nei rapporti tra le persone ed egli sa che occorre fare appello all'orgoglio nazionale; per questo punta sull'unica cosa che in qualche modo può unire la sua gente.
Contro tutti, a costo di apparire persino un traditore della causa per la quale ha pagato in prima persona un altissimo prezzo, Mandela riesce a dissuadere i dirigenti dell'Anc dall'abolire la squadra degli Springbooks e dal cancellarne gli odiati colori: «Il passato è passato. Guardiamo al futuro adesso». E gioca la sua carta più efficace: portare dalla sua parte il carismatico capitano della squadra, Françoise Pienaar, interpretato da un convincente Matt Damon, e attraverso lui tutti i giocatori. Lo fa citando una poesia di epoca vittoriana che era stata la sua fonte di ispirazione durante gli anni trascorsi in prigione, lnvictus, di William Ernest Henley. Pienaar, sportivo improvvisamente al centro di una questione politica, comprende che la posta in gioco è ben più alta persino di una coppa del mondo; si appassiona al progetto e controbatte alla diffidenza e alle resistenze dei compagni, uno solo dei quali nero, che convince persino a cantare il nuovo inno nazionale, Nkosi Sikelei i Afrika, cioè «Dio benedica l'Africa» nella lingua dei sudafricani neri: «Che ci piaccia o no - dice ai suoi - siamo più di una squadra di rugby. I tempi cambiano. Anche noi dobbiamo cambiare».
La missione che Mandela affida a quei ragazzi è vincere la coppa del mondo che verrà disputata proprio in Sud Africa, ma il vero obiettivo è la pacificazione nazionale sintetizzata nel motto «una squadra, un Paese». L'occasione è unica, irripetibile. Ma anche sportivamente è un'impresa al limite deI possibile. Tuttavia nulla è impossibile se si persegue l'obiettivo con tenacia e convinzione. «Sentite? Ascoltate il vostro Paese. E questo. Questo è il nostro destino», urla il capitano ai compagni nel momento più difficile della partita della vita, invitandoli a udire il portentoso incitamento degli oltre sessantamila tifosi sugli spalti e di altri 42 milioni di sudafricani bianchi e neri, per la prima volta uniti, incollati davanti alla tv e alla radio.
Pur non essendo allo stesso livello di Gran Torino, di Mystic River o di Letters from Iwo Jima, Invictus è comunque un ottimo film, senza quella retorica che pure sarebbe stata comprensibile visto il tema, che racconta una scommessa rischiosa ma vinta e, soprattutto, una vicenda realmente accaduta. Una bella lezione della storia, dunque, portata intelligentemente al cinema da un grande regista a beneficio di un più vasto pubblico.

 L'Osservatore Romano,

 

 

 
 
 
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Non dire che hai abbandonato il sogno.

Non c'è altro per noi a cui aggrapparci, se non questo.

Non dire che hai abbandonato il sogno.

Non c'è per noi altra strada se non questa.

 Asakusa Kid, Takeshi Kitano

 

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