Creato da francescoperniola il 09/04/2009
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ritardo nell'assistenza non produce necessariamente responsabilità

Post n°16 pubblicato il 24 Settembre 2015 da francescoperniola
 

 

Corte di Cassazione

Quarta sezione Penale

sentenza n. 9834/2015


In un incidente automobilistico a seguito del quale e' rimasta gravemente infortunata una donna, deceduta poi in ospedale dopo un intervento chirurgico, e' stata esclusa la responsabilità dei sanitari per il ritardo con cui la paziente e' stata trasportata dalla precedente struttura ad un’altra munita di divisone di ortopedia. 
Sulla scorta della documentazione medica acquisita non sono emersi profili di colpa, non essendo stato accertato con dati di fatto sia il colpevole errore diagnostico dei sanitari sia il nesso causale tra quest’ultimo e il decesso. 
Il ritardo ha determinato un possibile aggravamento delle gia' precarie condizioni di salute della donna, ma non e' stato tale da elidere il rapporto di causalita' con la condotta precedente che ha determinato l'evento, cioè il comportamento dell’automobilista che ha causato il sinistro, per cui gli eventuali profili di colpa dei sanitari si sarebbero comunque atteggiati a mere concause successive comunque inidonee da sole a determinare la morte della paziente.

 

cerca il testo: http://95.110.224.81/anaao/public/aaa_4129367_casspen_9834_2015.pdf

 
 
 

Cassazione penale , sez. IV, sentenza 17.05.2013 n° 21285

Post n°15 pubblicato il 20 Novembre 2013 da francescoperniola
 

Infermiere non appone sponde a letto, paziente muore: omicidio colposo

La  mancata apposizione delle spondine del letto, per il rifiuto opposto dal paziente,non esimono l’infermiere da responsabilità per omicidio colposo in caso di decesso per grave trauma contusivo conseguente a caduta accidentale. E non può essere richiamato il comportamento negligente tenuto dagli altri operatori sanitari quale scusante, poiché sia l’obbligo di protezione che la posizione di garanzia gravanti sulla figura dell’infermiere determinano l’ obbligo di adozione di misure preventive atte ad evitare il verificarsi di eventi accidentali.

Così la Suprema Corte di Cassazione sezione IV Penale con la sentenza del 12 febbraio-17 maggio 2013, n. 21285, che rigetta il ricorso presentato dall’infermiere.

La questione scaturiva dal decesso di un paziente ricoverato presso l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica per la mancanza di apposizione, da parte dell’imputata, delle spondine al letto. Il paziente si presentava, già dal mattino dello stesso giorno dell’incidente, a elevato rischio di caduta per condizioni di grave agitazione, disorientamento e confusione mentale, e l’apposizione delle sponde al letto, quale strumento non cruento e non invasivo avrebbe contribuito a diminuire fortemente il rischio di caduta.

Dal procedimento conseguiva in primo grado sentenza di condanna dell’infermiere per i reati di cui agli artt. 40, cpv., 113 e 589 cod. pen., sentenza confermata anche in appello con ridimensionamento in aumento del trattamento sanzionatorio.

Con il ricorso in Cassazione la difesa dell’infermiere poneva l’attenzione sulla sussistenza di responsabilità in capo agli altri componenti del personale infermieristico nei turni precedenti quelli dell’imputata che, valutate le condizioni del paziente, avrebbero dovuto adottare misure preventive del rischio caduta così da pervenire all’esclusione o all’attenuazione della responsabilità dell’imputata stessa. Inoltre adduceva, a difesa del comportamento dell’imputata, il rifiuto apposto dal paziente al posizionamento delle spondine al letto.

La valutazione di tutto ciò rimane, però, negativa anche in sede di legittimità in cui viene confermata la responsabilità colposa dell’imputata in ragione dell’elevatissima negligenza e della notevole gravità del reato con conseguente applicazione della pena di reclusione.

Per la Corte, infatti, è evidente che vi sia un obbligo di protezione in capo all’infermiere, in ragione delle mansioni esercitate e quindi della posizione di garanzia rivestita, ad adottare la misura dell’apposizione delle sponde al letto "volta ad evitare il verificarsi di eventi accidentali, peraltro ampiamente prevedibili", non potendo tra l’altro l’imputata giovarsi del rifiuto opposto dal paziente, facilmente e doverosamente superabile richiedendo l'Intervento del medico di guardia. Ritiene la Corte inoltre superflua la richiesta di verifica della sussistenza di eventuali responsabilità in capo ad altri componenti del personale infermieristico poiché tale accertamento non avrebbe condotto all'esclusione od alla limitazione della colpevolezza della imputata

 

(Altalex, 21 agosto 2013. Nota di Tiziana Rumi)

 
 
 

cisl fp

Post n°14 pubblicato il 10 Agosto 2013 da francescoperniola
 

Sanità

Ordini professionali in Sanità: positivo il ddl, accelerare percorso parlamentare

“La decisione assunta dal Ministro alla Salute di presentare un disegno di legge sul riordino complessivo del sistema ordinistico delle professioni sanitarie è una scelta opportuna per il reale rilancio di tutte le professioni sanitarie”. Lo affermano in una nota congiunta Fp-Cgil, Cisl-Fp, Uil-Fpl.
Il ddl prevede infatti la trasformazione in ordini dei collegi degli infermieri, delle ostetriche e dei tecnici di radiologia, nonché l’istituzione degli albi e degli ordini delle altre professioni sanitarie.
“Nel sistema sanitario Italiano che si fonda sulla regolamentazione delle professioni sanitarie in ordini” spiegano le federazioni del pubblico impiego, “con la trasformazione dei collegi degli infermieri, delle ostetriche e dei tecnici sanitari di radiologia medica in ordini e con l’istituzione degli albi e degli ordini delle altre professioni sanitarie si completa il percorso iniziato nell’anno 2006. E finalmente riparte il percorso di riforma, riconoscimento e valorizzazione dei professionisti della salute, che per troppo tempo è stato sospeso”.

 
 
 

Infermieri, pronto il testo sullo sviluppo delle competenze

Post n°13 pubblicato il 10 Agosto 2013 da francescoperniola

Cisl Fp: “Più forza alle professionalità per migliorare la presa in carico dei pazienti”
E’ ormai pronto il testo di accordo sulla valorizzazione delle competenze dell’infermiere. Testo che, approvato dalla Commissione Sanità, attende ormai solo il via libera definitivo dalla Conferenza Stato Regioni. Molto positivo il giudizio della Cisl Fp che proprio sullo sviluppo delle professioni sanitarie insiste da tempo: “puntare sulla crescita e l’integrazione delle competenze vuol dire valorizzare le persone, migliorare i percorsi di cura dei pazienti e ridurre il peso della spesa sanitaria”.
L’accordo raggiunto tra tutte le rappresentanze sociali e professionali, anche quella medica, “accompagnato da analoghi provvedimenti sulle altre professioni sanitarie, può dare corso ad una reale e concreta riorganizzazione del SSN in favore dei cittadini” sottolinea la federazione del pubblico impiego Cisl. “E segue una proposta che come sindacato di categoria abbiamo messo a punto fin dal 2008”.


“Bisogna tener conto – spiega la Cisl Fp – che le richieste di salute sono profondamente mutate negli ultimi decenni. La popolazione Italiana, con un trend superiore a tutti gli altri paesi europei, è progressivamente più vecchia e la speranza di vita nei prossimi 40 anni aumenterà ancora. Cronicità, disabilità, pluripatologie, fragilità sociali e nuove tecnologie impongono un cambiamento anche nella risposta del sistema sanitario, per assicurare prestazioni e servizi appropriati, di qualità, efficaci ed efficienti. Così come bisogna preoccuparsi dei 6.000 infermieri che mancano per garantire l’assistenza”.
“Queste ragioni – prosegue il sindacato – ci inducono a non comprendere e giustificare più gli arroccamenti di “casta”, di alcuni rappresentanti della professione medica, che rifiutano di rapportarsi con la realtà socio-economica del paese e si disinteressano dei reali bisogni delle persone, mortificando anche l’alto compito che gli stessi medici devono sostenere. Oltretutto il provvedimento sulla valorizzazione della professione infermieristica, analizza e traduce in pratica il contenuto del profilo professionale dell’infermiere e propone di dare finalmente completa attuazione ad una normativa rimasta incomprensibilmente inapplicata da anni”.
“Il SSN Italiano deve finalmente porre al centro del sistema il cittadino. E un concetto avanzato di “presa in carico” dei pazienti demandato non a singole figure, ma ad un insieme coordinato ed integrato di professionisti” conclude la Cisl Fp. “La sostenibilità del nostro sistema sanitario dipende anche e sopratutto da questo. Ecco perché continuiamo a sollecitare uno scatto in avanti da parte delle istituzioni centrali e periferiche: per rimettere mano alla rete dei servizi alla salute con più assistenza domiciliare, più prevenzione, più investimento nella formazione del personale, a tutto vantaggio dei cittadini e delle comunità”.

 
 
 

da: http://www.gliscritti.it/approf/fisichella/fis_pinocchio.htm

Post n°12 pubblicato il 05 Novembre 2009 da francescoperniola

da: http://www.gliscritti.it/approf/fisichella/fis_pinocchio.htm


Alcuni interrogativi su Pinocchio e sul suo autore.
Conferenza tenuta a Collodi venerdì 16 aprile 1999 dall'Arcivescovo di Bologna, Cardinale Giacomo Biffi, tratto dall'Osservatore Romano del 17 aprile 1999

Devo molto a Pinocchio. Il mirabile burattino mi ha tra l'altro procurato l'onore inatteso dell'attenzione garbatamente critica di Giovanni Spadolini, il compianto storico e uomo politico che tutti abbiamo stimato. Per il centenario della morte di Carlo Collodi, all'Archiginnasio di Bologna, avevo svolto un tema abbastanza singolare e per la verità anche un po' provocatorio: "Pinocchio e la questione italiana". A differenza di altri che hanno reagito "a caldo" e senza diretta conoscenza di ciò che avevo detto, Spadolini molto correttamente si era fatto inviare il testo dell'intervento, e dopo qualche settimana ha reso pubbliche le sue considerazioni in un articolo della Stampa di Torino. Quelle argomentazioni sono state poi riproposte in un capitolo del suo ultimo libro (Il mondo frantumato, Milano 1992); un capitolo intitolato: Burattino d'Italia: l'unità secondo Pinocchio, che è tutto dedicato a discutere le mie posizioni.
Senza dubbio la preoccupazione principale di quelle pagine è di contestare una valutazione del Risorgimento che certo egli non poteva condividere. Ma questa è una discussione che non è il caso qui di riprendere.
Spadolini però esprimeva anche contestualmente alcune persuasioni a proposito di Collodi e di Pinocchio, che si possono sintetizzare in cinque punti.

  1. Per l'intelligenza della personalità e dell'opera del Lorenzini è fondamentale non dimenticarsi della sua adesione al messaggio politico e alla filosofia di Giuseppe Mazzini. È il suo mondo ideale, anche se bisogna riconoscere che con la partecipazione alle due prime guerre d'indipendenza egli si è poi di fatto adeguato a sostenere l'iniziativa sabauda del Regno Sardo, che risulterà vincente (cfr p. 386).
  2. Il pensiero mazziniano è perciò il sostrato teorico dell'inimitabile capolavoro, il quale manifesta il desiderio e la "finalità ideale, tipicamente mazziniana, di una società migliore" (p. 387).
  3. Sicché "la morale di Collodi è la morale dei doveri dell'uomo" (ib.), l'opera in cui Mazzini traccia la sua strada verso la rigenerazione dell'umanità.
  4. Pinocchio è un libro che annuncia questa "redenzione": "la redenzione laica di chi si appoggia sulle proprie forze, di chi fa leva sul libero arbitrio, sullo sforzo individuale, sul lavoro" (ib.).
  5. Nel lavoro si ravvisa appunto il mezzo salvifico decisivo: "solo il lavoro può difendere l'uomo da tutte le tentazioni e da tutte le perdizioni" (ib.).

Le ragioni delle mie riserve nei confronti dell'analisi spadoliniana emergeranno dal seguito di questa mia conversazione, che intende più che altro richiamare l'attenzione su alcuni interrogativi, ai quali non si è ancora data, mi sembra, una risposta esauriente e persuasiva.
Le questioni essenziali saranno due: una prima che concerne la biografia interiore di Carlo Lorenzini e una seconda che indirettamente tocca l'indole della famosa e impareggiabile fiaba. Ne aggiungerei una terza - e mi scuso di dover discorrere di qualcosa che mi riguarda personalmente - circa la mia "lettura teologica" di Pinocchio.

La questione della "crisi" di Carlo Lorenzini

Ferdinando Martini ha affermato che il Lorenzini "tornò a Firenze dalla guerra nell'agosto del '48 mazziniano sfegatato". Che valore possiamo dare a questa notizia?
Nell'infanzia era stato educato da una madre religiosissima. Nell'adolescenza era andato a scuola dai preti, alunno per cinque anni del Seminario di Colle Val d'Elsa. Poi fino a diciotto anni frequenta i corsi di retorica e filosofia dei padri scolopi.
Ma tra il 1845 e il 1848 - mentre è impiegato alla libreria Piatti - ha tempo di assimilare le nuove idee di libertà civile e di indipendenza nazionale. Ed è plausibile che il magistero mazziniano si facesse sentire e apprezzare anche nell'atmosfera un po' sonnolenta del Granducato.
Sarà anche stato mazziniano, e dunque repubblicano e federalista. Ma nel 1859 prende la divisa del Re di Sardegna e serve la causa annessionistica e unitaria del Governo Piemontese.
Quando poi torna dalla seconda guerra d'indipendenza, il suo mazzinianesimo si è ormai dissolto. Nel 1860 - Pinocchio comincerà a percorrere le vie del mondo più di vent'anni dopo - su La Nazione il Collodi arriva a scrivere: "Tutto è favola in questo mondo, tutto è invenzione, dall'idea di Mazzini all'Ippogrifo dell'Ariosto... Che il cielo mi perdoni, ma l'anarchia regna nello Zodiaco..." (citato da Bruno Traversetti, Introduzione a Collodi, p. 65, Bari 1993). [È curiosa l'analogia con una frase di Euripide: "Nelle cose divine e nelle umane regna un grande disordine" (Ifigenia fra i Tauri)].
È una confessione sorprendente, e non va trascurata. Se nella prima frase ci rivela lo scolorimento delle sue precedenti convinzioni politiche, la seconda ci dà la misura della sua profonda inquietudine che qui pare raggiungere addirittura una dimensione cosmica e, per così dire, metafisica.
Del resto, facciamo fatica a pensare che tra il padre di Pinocchio e il pensatore ligure potesse istituirsi una consonanza autentica e duratura, tanto i due erano umanamente lontani e diversi; scanzonato e spregiudicato, ma concreto e realistico il primo; serioso, sistematico, intransigente, ma astratto e utopistico l'altro.
Collodi non avrebbe mai scritto un libro intitolato I doveri (e si ha qualche dubbio che potesse mai leggerlo). Il 3 agosto 1860, recensendo la commedia di Pietro Thouar (Dovere), così annotava: "I doveri sono sempre un peso! Ed io, che non sono mai stato troppo appassionato per i pesi né per i doveri, avrei fatto volentieri a meno di sentire per la seconda volta il Dovere e il peso in tre atti del sig. Pietro Thouar" (citato da Renato Bertacchini, Il padre di Pinocchio, Milano 1993, p. 183).
Ma non era solo la visione mazziniana a diventargli sempre più estranea: un po' tutte le idee ispiratrici del sommovimento risorgimentale, che pure avevano affascinato seriamente la sua giovinezza, non lo incantano più.
Beninteso, non rinnega niente del suo passato, non diventa affatto un reazionario; ma i risultati della grande impresa, cui aveva fattivamente contribuito, non gli piacciono. Non arriva a essere un nostalgico dell'Ancien Régime, anche se è stato notato che l'ambientazione del suo più famoso racconto sembra essere quella del casalingo e pacioso mondo del Granducato. Forse faceva capolino inconsciamente in lui anche l'insofferenza toscana nel dover ammettere che in fin dei conti l'Italia l'avevano fatta i "buzzurri". Più profondamente, è deluso della meschinità e della scarsa attenzione all'uomo del nuovo stato; e gli stessi miti dell'illuminismo, perfino l'istruzione obbligatoria per tutti, cadono sotto la sua ironia.
Comunque, a partire dal 1860 il suo malessere è così intenso da trasparire anche all'esterno e da essere percepito da chi gli sta attorno: "Non era più del suo umore di una volta - scrive il nipote Paolo Lorenzini - appariva chiuso, taciturno, malinconico, per quanto avesse sempre pronta la barzelletta e la facezia quando si animava un po'" (citato da E. Petrini in Studi collodiani, p. 486).
È sintomatico che la crisi spirituale e politica del Collodi coincida col suo "ritorno a casa". A partire proprio dal 1860 egli ricomincia a vivere con la madre, cui rimase sempre attaccatissimo. Angelina morirà solo quattro anni prima del figlio nel 1886 quando già il fatale burattino aveva cominciato la sua fortunata corsa nel mondo.
Non sarebbe il caso di studiare un po' più da vicino, accantonando gli schematismi ripetuti e convenzionali, la vicenda interiore del Lorenzini? E in che misura la sua lunga "crisi" sta all'origine della sua decisione - nel 1875 con la traduzione dei Contes di Perrault - di dedicarsi a scrivere per i bambini? Forse anche Le avventure di Pinocchio potrebbero ricevere un po' di luce in più.
Renato Bertacchini ha ben capito la fondatezza e anzi l'ineludibilità della problematica sulla quale ho cercato di attirare l'attenzione. Gli sono grato e gli lascio la parola.

"Le recenti polemiche suscitate dal Cardinale Giacomo Biffi...hanno fatto perdere di vista almeno due punti fondamentali riguardanti la "svolta" collodiana...
La crisi e il "rifugio" nella cosiddetta letteratura infantile che segnano gli ultimi quindici anni di vita e di lavoro del Lorenzini non sono un fatto soggettivo, ma devono iscriversi oggettivamente nella vicenda storica del Risorgimento, in quanto il padre di Pinocchio era deluso dai miti illuministici (alla base del processo risorgimentale), non meno che degli altri, moderni miti professati dal socialismo, dai quali non fu mai persuaso.
Fino allora, da pubblicista, il Lorenzini si era rivolto soprattutto "alla classe di quelli che contano, a quanti erano occupati nell'azione politica"; a un certo momento, il suo pessimismo, o meglio "il pessimismo del suo realismo" lo convince dell'inutilità di un simile orientamento. "Egli decide allora di cambiare destinatari e di spendere le sue fatiche non più per gli adulti, non più per i personaggi importanti sì sulla scena pubblica ma ormai ideologicamente fissati e sclerotizzati senza rimedio, bensì per i ragazzi che possiedono un'umanità ancora nativamente fresca aperta alla verità" (R. Bertacchini, Il padre di Pinocchio, Milano 1993, p. 203).

La fortuna dell'opera

Le avventure di Pinocchio costituiscono un fenomeno letterario che a prima vista non è agevole giustificare.
L'Italia unita non ha dato all'umanità nessun'altra opera che, per il successo senza confini e la risonanza in ogni cultura, possa essere paragonata a questa.
Ed è libro nato quasi per caso. Anzi, si ha proprio l'impressione che il libro sia stato anche scritto di malavoglia. Apparso a puntate con scadenze irregolari sul Giornale per i bambini di Ferdinando Martini, non si ha notizia che sia stato preceduto da un disegno accuratamente elaborato e rifinito.
Due volte la pubblicazione è stata interrotta, e la prima addirittura con il proposito di non dare altro seguito alla vicenda.
È difficile immaginare peggiori premesse e condizioni più sfavorevoli alla nascita di un capolavoro.
Eppure Pinocchio si è imposto all'attenzione universale, è stato tradotto in quasi tutte le lingue, continua dopo più di un secolo a provocare dotti commenti e disquisizioni sottili. C'è dunque una evidente e strana sproporzione tra le premesse e gli esiti, che incuriosisce e fa riflettere.
Qual è la ragione di tanta fortuna? La domanda non ha ancora trovato una risposta decisiva e convincente.
Innegabilmente il fascino del libro è dato anche dalla freschezza della lingua, asciutta, essenziale, ma sempre scintillante e briosa. Siamo conquistati tutti, piccoli e grandi, dall'originalità e dalla imprevedibilità della trama. Una fantasia inesauribile sorregge l'intera favola e avvince ineluttabilmente chi si pone in ascolto di questo straordinario narratore.
Ma sono spiegazioni che francamente non ci sembrano sufficienti. Quei pregi si ritrovano, magari in misura minore, in altri scritti collodiani che, fossero rimasti soli, non avrebbero assicurato al Lorenzini molta fama oltre gli ultimi decenni dell'Ottocento e di là da un ambito poco più che regionale. Se quelle pagine ancora ci interessano, è perché sono del padre di Pinocchio.
Tanto meno si può indicare tra le cause della riuscita "cosmica" del racconto il suo messaggio etico e il suo valore educativo.
C'è sì del moralismo facile e convenzionale ne Le avventure di Pinocchio. Ma è precisamente l'aspetto del libro che alla mia giovinezza l'aveva reso uggioso e insopportabile. Per fortuna - e me ne sono poi avveduto - è un moralismo alleggerito e superiormente riscattato dal distacco e dall'ironia dell'autore, il quale (è già stato notato) dimostra più simpatia per il suo sfaticato e trasgressivo protagonista che non per il Grillo parlante (il solo di tutta la storia che poteva forse aver letto I doveri di Giuseppe Mazzini).
C'è anche in quelle pagine, doverosamente, l'esaltazione del lavoro. Ma su questo argomento il Lorenzini si è sempre dimostrato allergico a ogni enfatizzazione e a ogni retorica. Proprio nel 1881 - anno di nascita dell'immortale burattino - a chi si congratulava con lui che aveva raggiunto il giorno bellissimo della pensione, rispondeva: "Potrà essere un bel giorno per chi ha sgobbato cento anni, ma per me, che non ho fatto nulla, è un giorno come tutti gli altri".
Si sente una certa condivisione e un'attitudine di simpatia nei confronti del suo accuratamente delineato "ragazzo di strada".
"L'uomo che lavora, dice il ragazzo di strada nella sua arguta ignoranza, non può essere fatto a immagine e somiglianza di Dio: perché Dio lavorò appena sette giorni e sono ormai seimila anni che riposa" (Collodi, Opere, Milano 1995, p. 181).
Penso che il Lorenzini si sarebbe meravigliato - e probabilmente anche divertito - nel sentirsi lodare come il cantore di quella religione del lavoro, "segno distintivo del nuovo laicismo operoso su cui doveva fondarsi lo stato italiano" (Spadolini, c.c., p. 387).
Egli del resto si è sempre compiaciuto di presentarsi non solo come uno scrittore ma anche come un lettore che non aveva propensioni pedagogiche prevalenti: “io chiamo belli i libri che mi piacciono, e se, oltre a piacermi, si provano anche a volermi istruire, chiudo un occhio e tiro via. All'opposto chiamo brutti i libri che mi annoiano...".
Come si può risolvere allora questa questione?
La mia ipotesi è che la forza intrinseca e l'attrazione nascosta di Pinocchio stanno nel fatto che vi si raffigura oggettivamente la realtà delle cose come è davanti agli occhi del Creatore, come è stata rivelata dal figlio di Dio, unico Salvatore e unico vero Maestro, come è da sempre offerta alle genti dalla predicazione ecclesiale.

"Il Collodi aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, una carisma profetico più alto della sua militanza politica. Così poté porsi in comunione forse ignara con la fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo.
L'ortodossia, che non avrebbe potuto superare con le proprie vesti gli sbarramenti censori della dittatura culturale dell'epoca e della stessa coscienza esplicita dello scrittore, travestita da fiaba eruppe dal profondo dello spirito e risonò apertamente. In quella fiaba gli italiani di istinto riconobbero la loro canzone di sempre e gli uomini di tutti i paesi avvertirono inconsciamente la presenza cifrata di un messaggio universale" (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia, Milano 1998, pp. 16-17).

Legittimità e correttezza di una lettura teologica

È quasi un luogo comune che i massimi libri italiani per l'infanzia - Pinocchio appunto, e il Cuore di De Amicis - siano del tutto areligiosi: non vi compare mai il nome di Dio e meno che meno c'è in essi qualche traccia o qualche flebile eco del culto cristiano. Possiamo convenirne, anche se nessun collodiano degno di questo nome dovrebbe sentirsi lusingato dall'accostamento.
Non meraviglia perciò che un commento teologico a Le avventure di Pinocchio sia stato accolto, fuori dall'area cattolica, con poco entusiasmo e molta sufficienza, in alcuni casi con qualche fastidio e persino con indignazione.
Si è parlato di "libro parallelo", e dunque estrinseco, gratuito e arbitrariamente giustapposto a quello del Lorenzini: un'operazione illegittima di annessione di un autore assolutamente "laico" a una "parrocchia" che non era la sua. Insomma, un ennesimo caso di invadenza clericale.
Per la verità, mi ero dato premura di informare i miei eventuali lettori del carattere innocente e pacifico dei miei intendimenti: lungi da me il pensiero - dicevo - "di incolonnare dietro i santi stendardi uno spirito laico e libero come il Collodi" (G. Biffi, o.c., p. 222).
Con giovanile impertinenza avevo anzi dichiarato che il pensiero dell'autore non mi interessava affatto: mi bastava rendermi conto della stupefacente analogia - di più, della perfetta concordanza - tra la struttura oggettiva del racconto e la struttura oggettiva della visione di fede.
Confessavo di essere stato ammaliato e divertito dal "gioco del Padre che si compiace di caricare del suo messaggio le parole più disparate, anche quelle che a un primo esame sembrerebbero disadatte o lontane" (o.c. p. 223). Che se il Lorenzini fosse stato ateo - scrivevo - "il gioco mi sarebbe piaciuto anche di più, perché sarebbe apparso più scintillante l'umorismo di Dio" (ib).
Il problema è dunque uno solo: quello di appurare la fondatezza di quella "analogia" e di quella "concordanza" di cui si parlava. Il volume da me pubblicato non mira ad altro.
Non potendo qui infliggere l'esposizione analitica dell'intero suo contenuto, mi limiterò a indicare gli elementi più rilevanti e, a mio parere, meno contestabili.

  1. La prima corrispondenza che si impone riguarda la concezione della storia del mondo e dell'uomo. Nell'Orlando Furioso - cui Pinocchio è stato giustamente paragonato per la felice arbitrarietà degli accadimenti e l'indole quasi marionettistica dei personaggi - la vicenda non ha un inizio necessario né una fine obbligata: il poema potrebbe cominciare e concludersi in qualsivoglia punto, senza che l'economia generale dell'opera ne risulti alterata. È la visione del paganesimo greco: la storia è una interminabile tela di Penelope. Qui invece c'è un avvio (creazione e fuga dal creatore) che è la premessa indispensabile e il senso di tutto ciò che poi avviene: c'è lo sviluppo di un dramma in cui si determina la scelta tra due opposti destini (quello di Pinocchio e quello di Lucignolo); c'è una "escatologia" conclusiva (ritorno al Padre e trasnaturazione). Vale a dire, qui c'è esattamente la prospettiva cristiana.
  2. Pinocchio all'origine non è "generato", è "costruito": c'è dunque una eterogeneità di natura col "costruttore". Ma il "costruttore" lo chiama subito "figlio". Il Creatore misteriosamente vuol essere anche "padre", in questo modo viene immessa nella creatura l'aspirazione a oltrepassare l'alterità e a elevarsi ontologicamente. È la verità della "vocazione soprannaturale": colui che è stato fatto dal niente è destinato a partecipare nella vita di grazia alla natura divina
  3. La nostra libertà è una libertà ferita. Pinocchio in tutte le occasioni capisce sempre qual è la cosa giusta da fare e la vorrebbe, ma sceglie infallibilmente la cosa sbagliata. È l'incapacità dell'uomo a operare secondo giustizia in virtù del solo libero arbitrio, come è denunciata da san Paolo: "Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rm 7, 29).
  4. La drammaticità della nostra condizione è accresciuta per la presenza attiva di forze estranee che spingono al male. Esse sono raffigurate primariamente dal Gatto e la Volpe, ma raggiungono la migliore e più efficace rappresentazione nell'Omino, corruttore mellifluo che conduce i ragazzi al Paese dei Balocchi. Non c'è in tutta la letteratura della cristianità immagine del demonio più intelligentemente effigiata. Tenero in apparenza, perfido nella realtà, è il nostro insonne nemico: "Tutti la notte dormono, e io non dormo mai" (Pinocchio c. 1).
  5. L'ideologia illuministica aveva diffuso l'orgogliosa affermazione di una possibile "autoredenzione" dell'uomo. Ebbene, tutta la seconda parte di questo libro (dal capitolo 16 alla fine) parrebbe costruita proprio per smentire questa che è l'illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente svigorito, esteriormente insidiato da esseri maligni più astuti di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza nonostante la sincerità dei suoi sforzi, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo al padre, di riportarlo a casa, di dargli una nuova natura. Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini manifesta appunto questa necessaria mediazione salvifica, che secondo la fede è svolta dal Figlio di Dio fatto uomo, il quale prolunga la sua azione nella storia per mezzo della Chiesa.

Non mi resta allora che rivendicare l'intemerata correttezza metodologica della mia lettura.
A darne una giusta valutazione, il pensiero personale del Lorenzini, le idee diffuse nella società in cui viveva, la cultura all'epoca dominante, non vanno chiamate in causa. Il nocciolo del problema si riduce ad accertare se ci sia o non ci sia questa sorprendente correlazione tra il racconto collodiano, come è in se stesso a prescindere dagli intenti dell'estensore, e la storia della salvezza, come è contenuta e proclamata nell'annuncio evangelico.
Né gli studiosi della vita e delle opere del Collodi né i critici letterari né gli indagatori del nostro Ottocento, propriamente parlando, hanno a questo proposito qualcosa da dire. Competente a giudicare se la struttura oggettiva di una narrazione sia o no conforme alla struttura oggettiva della verità rivelata è il teologo e, in ultima analisi, il magistero della Chiesa.
Senza dubbio, questo modo di accostarsi a Pinocchio abbastanza spregiudicato e divertito non è esente da un certo gusto di cantare fuori dal coro.
Ma proprio per questo - se non mi illudo - non è troppo lontano dallo stile e dall'estro del Collodi. Se è presunzione, posso ancora sperare nella misericordia del Signore e nella vostra.

 
 
 

da: http://www.gliscritti.it/approf/fisichella/fis_pinocchio.htm

Post n°11 pubblicato il 05 Novembre 2009 da francescoperniola

da: http://www.gliscritti.it/approf/fisichella/fis_pinocchio.htm

Le verità fondamentali di «Pinocchio»
da Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di Pinocchio, Jaca Book, Milano, 1977

Che cosa in realtà ha espresso il Collodi nel suo più celebre libro, di là dalle sue intenzioni consapevoli e dichiarate?
Non ha espresso nessuna delle ideologie correnti, che erano tutte ignote ai suoi destinatari e che d'altronde non erano più pacificamente accettate nella profondità della sua coscienza. E sarà sempre una prevaricazione dare di Pinocchio delle spiegazioni ideologiche di qualunque tendenza e di qualunque colore, come di fatto sono state date: conservatorismo moralistico, liberalismo illuministico, pauperismo, marxismo, psicanalismo ecc.
Non le ideologie ma la verità, di sua natura universale ed eterna, è contenuta in questo magico racconto e, servita com'era da un'alta fantasia e da una fresca ispirazione poetica, spiega la sua rapida affermazione e il suo duraturo trionfo.
Ma, per non lasciare nel vago le nostre affermazioni, quali sono specificamente le verità che senza possibilità di discussione, traspaiono nella storia del burattino?
Sono sette quelle che reggono e illuminano tutta la vicenda.

a) Il mistero di un creatore che vuole essere padre

Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. C'è qui l'arcano di un'alterità di natura, superata da uno strano, gratuito, imprevedibile amore.
Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l'ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l'approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità.

b) Il mistero del male interiore

In questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell'illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell'ideologia liberalborghese in polemica con l'Ancien Régime o nell'ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21).
Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l'alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell'uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19).

c) Il mistero del male esteriore all'uomo

La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all'opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Esse non sono viste come forze impersonali, quasi oggettivazioni delle nostre inclinazioni malvagie o dei nostri squilibri, ma come esseri astuti e intelligenti che si accaniscono inspiegabilmente ed efficacemente contro la nostra salvezza.
Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell'Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico:
«Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).

d) Il mistero della mediazione redentiva

L'ideologia illuministica aveva diffuso nel mondo l'orgogliosa affermazione dell'autoredenzione dell'uomo: l'uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall'alto.
Tutta la seconda parte del libro (dal c. 16 in avanti, che si potrebbe considerare quasi il Nuovo Testamento di questa specie di Bibbia) è costruita per smentire questa che è l'illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l'esistenza di questa salvezza che è donata dall'alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.

e) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà

La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch'essa una cifra: è il simbolo dell'uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.
Il burattinaio di turno può anche essere soppresso dall'una o dall'altra rivoluzione, ma fino a che la creatura umana resta solitaria marionetta, ogni burattinaio estinto avrà fatalmente un successore.
Pinocchio non può restare prigioniero del teatrino di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l'uomo.

f) Il mistero della trasnaturazione

Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell'essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia.
Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l'uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.

g) Il mistero del duplice destino

La storia dell'uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due:
se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s'imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.

Verità cristiane

Queste sette convinzioni, si è visto, sono affermate e concIamate dal libro, e non so come sia possibile con qualche ragionevolezza dubitarne.
Orbene, è anche fuori dubbio che esse siano sette fondamentali verità della visione cristiana, e cioè:

  1. La nostra origine da un Creatore e la nostra vocazione a diventare suoi figli
  2. Il peccato originale e la decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male
  3. Il demonio, creatura intelligente e malvagia, che lavora alla nostra rovina
  4. La mediazione salvifica di Cristo, come unica possibilità di salvezza
  5. Il senso di Dio, fondamento della dignità umana e della nostra libertà di fronte a qualsivoglia oppressione
  6. Il dono della vita di grazia, che ci fa partecipi della natura di Dio
  7. I due diversi destini eterni tra i quali siamo chiamati a decidere.

Il Collodi che sazio delle ideologie si rivolge ai ragazzi d'Italia, con felice intuito di artista riscopre nell'anima dei destinatari l'unica concezione della realtà che accomunava tutti gli abitanti della penisola, prima che l'unificazione politica li dividesse nel profondo ed erigesse tra loro le barriere avverse delle ideologie.
I ragazzi italiani del 1881 potevano certo avere padri e zii clericali o anticlericali, cattolici intransigenti o conciliatoristi, filo-sabaudi o repubblicani, liberali o socialisti; ma nessuna di queste contrapposizioni li toccava minimamente. I ragazzi italiani del 1881 avevano come sola chiave interpretativa della realtà la concezione che potevano desumere dalle preghiere delle loro mamme e delle loro nonne, dagli affreschi e dalle vetrate delle loro chiese, dalle spiegazioni del vangelo del loro parroco, dal catechismo studiato per la prima comunione, dalle espressioni popolari della sapienza cristiana. I ragazzi italiani del 1881 non conoscevano ideologie, conoscevano la verità.
E il Collodi, entrando in comunione di spirito con loro in virtù della capacità penetrativa della sua arte, riconquista senza volerlo e probabilmente senza saperlo la verità della sua primissima giovinezza, la verità che aveva dato a sua madre la forza di vivere, la verità che ogni cuore umano non prevenuto percepisce d'istinto come la loro luce che salva. Si è in modo singolare avverata per lui la parola profetica del Signore Gesù: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3). «Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18, 4).

Conclusione

E' dunque una lezione di vita che possiamo imparare: le ideologie. possono servire per far politica, per arricchire, per far carnera, per organizzare meglio l'esteriorità della vita terrena, per assicurarsi onori e vantaggi, per avviare rivoluzioni che lasciano la sostanza delle cose come prima, per intraprendere liberazioni che di solito si risolvono in un cambio di schiavitù; ma per la salvezza dell'uomo come uomo non servono. Per la salvezza occorre la verità: la verità sulla vita e sulla morte, sul senso dell'esistenza e sulla sua insignificanza, sulla felicità e sul dolore, sulla possibilità di speranza e sulla disperazione, sulla nostra origine e sul nostro ultimo destino.
La salvezza comincia quando l'uomo si rende conto che la sua vera alienazione sta nel rifugiarsi nell'una o nell'altra ideologia per la paura di misurarsi con la verità, e comincia a capovolgere questo mortificante processo. E' l'insegnamento più elevato e più utile che si possa trarre dalla vicenda umana di Carlo Lorenzini detto Collodi e dal «caso» letterario de «Le avventure di Pinocchio».

 
 
 

da: http://www.equilibriarte.org/museohermetico/blog/pinocchio

Post n°10 pubblicato il 05 Novembre 2009 da francescoperniola

http://www.equilibriarte.org/museohermetico/blog/pinocchio

PINOCCHIO


E' risaputo che Collodi fosse un assiduo frequentatore dei circoli degli ermetisti toscani. La favola di Pinocchio è infatti densa di simboli che descrivono le tappe della trasformazione della consapevolezza focalizzata sulla soddisfazione dei bisogni (il burattino di legno) nella consapevolezza di, mentale e autocritica, che contraddistingue l'individuo che ha cura di, del proprio corpo, così come della propria istruzione (il bambino vero)

Per la Neuroscienza contemporanea la coscienza corporea si distingue in primaria e secondaria. La coscienza primaria è uno stadio di consapevolezza in cui si hanno immagini mentali del presente a cui non si accompagna affatto la sensazione di essere una persona con un passato e un futuro. La coscienza del burattino è "intagliata" dall'ambiente, dalla cultura e dalla morale di riferimento (Geppetto), ma per diventare un vero individuo, dotato di consapevolezza sensoriale del tempo e dello spazio (i piedi bruciati dal fuoco), di riflessività e di creatività, Pinocchio deve "andare a scuola " e imparare l'abbecedario della natura umana, ovvero i fondamenti della coscienza umana e spirituale

L'uomo contemporaneo è apparentemente libero di pensare, agire e creare spontaneamente nel mondo (il burattino senza fili), ma in realtà ogni sua azione è condizionata dai modelli culturali e sociali che "permangono" nella memoria di "lavoro" di ogni individuo, anche quello più dotato di intelletto e comprensione della realtà. La trama della favola descrive il processo di trasformazione della coscienza primaria nella coscienza di ordine superiore" in cui l'individuo riconosce i propri atti e sentimenti (senso di e senso di responsabilità), incorpora un modello dell'identità del "passato" e del "futuro", oltre a quello del presente, e rivela una consapevolezza di episodi mentali."

Se si legge la favola a partire da queste considerazioni di fondo si possono cogliere particolari significativi di come avviene questo processo di trasformazione. Ogni essere umano, per propria natura (il peccato originale), ha l'istinto di disobbedire alle regole codificate dalla società, alle leggi e alle raccomandazioni dei genitori. Soprattutto nell'età adolescienziale c'è un naturale istinto di "rapportarsi" con il mondo in base al proprio modo di sentire che è il fondamento del "principio di individuazione" teorizzato da Jung. L'istinto di vivere, di evolvere, di diventare autonomi, originali e diversi dagli altri, spinge Pinocchio a disobbedire a Geppetto (la coscienza morale della società), a rifuggire dalla coscienza emotiva suscitata dall'anima (il grillo parlante), per ascoltare invece la "voce" proveniente dalla pulsione psichica (il gatto) e dalla propria libido (la volpe).

Questi passaggi "iniziatici" sono comuni a tutti gli uomini e rappresentano il viatico necessario per entrare nella società in cui sono dominanti i principi morali, etici e spirituali. Imparare dalle esperienze e dagli errori di valutazione della realtà e di giudizio critico è da sempre considerata la scuola di vita indispensabile per trasformare la coscienza egocentrica nella coscienza allocentrica in cui diventano prioritari i legami affettivi, le regole del rispetto e la difesa dei valori morali che emergono dalle esperienze del sacrificio, del conflitto e del tradimento.

Tuttavia il racconto di Collodi non è così perbenista come potrebbe sembrare. La vicenda di Pinocchio contiene una dura critica al sistema di potere vigente, incapace di educare i "propri figli" alla riflessione, all'autocritica e all'esame di coscienza, al fine di evitare, per quanto possibile, le esperienze spesso traumatiche causate dai cattivi maestri (il gatto e la volpe e i loro sostituti sociali, culturali, politici e pedagogici).

Collodi spedisce Geppetto (la coscienza civile fondata sulla coscienza del padre di famiglia) nel ventre della "Balena", metafora con cui gli alchimisti alludono, sin dai tempi di Giona, all'esame di coscienza. Pinocchio dal canto suo diventa consapevole di inseguire piaceri e godimenti effimeri (le orecchie e la coda di asino) che non soddisfano l'istinto evolutivo dell'anima creativa (il Se) illuminata da Fata Turchina (Venere Urania). Pinocchio, non diversamente dagli eroi epici, va così alla ricerca del "Vero Padre", metafora della verità che è riposta nella dimensione universale della coscienza evolutiva.

Si getta in mare, metafora dell'alchimia dei sentimenti, e la pelle d'asino che lo ricopre viene mangiata dai pesci, simbolo del processo di trasformazione dei sentimenti particolari (rabbia, ira, egoismo, gelosia..) nei sentimenti individuali (affetti, amore, rispetto, ecc). Attraversando l'oceano di coscienza immaginato dagli alchimisti, Pinocchio incontra, nel "ventre molle" dei maestri spirituali, l'essenza del "Padre" e completa il processo di trasformazione della coscienza conforme alle finalità sociali, nella coscienza dell'individuo finalmente libero (il bambino vero) di pensare con la propria testa, consapevole di, delle proprie azioni e di tutto ciò che lo aspetta nel tempo futuro.

15 maggio 2007 21:16 [modificato: 15 maggio 2007 21:39]

 
 
 

da ASCA agenzia stampa quotidiana nazionale del 2-10-2009

Post n°9 pubblicato il 01 Novembre 2009 da francescoperniola

 
 
 

DAL SITO IPASVI.IT - EDITORIALE

Post n°8 pubblicato il 01 Novembre 2009 da francescoperniola

 

Editoriale


07/10/2009 - Dlgs Farmacie: un'occasione mancata per i cittadini e gli infermieri.
Il testo licenziato dal Consiglio dei ministri limita l'esercizio professionale autonomo degli infermieri in farmacia

Una piccola rivoluzione attende le farmacie italiane, che si trasformeranno a breve in presidi sanitari e centri di primo soccorso grazie all'introduzione di nuovi servizi per i cittadini. Ma in questa rivoluzione, contrariamente a quanto annunciato a più riprese dal viceministro Ferruccio Fazio, gli infermieri italiani reciteranno un ruolo marginale.

Non si può nascondere la delusione per una mancata inversione di tendenza che avrebbe assicurato più opportunità ai cittadini e adeguate prospettive di inserimento agli iscritti Ipasvi. Infatti, in una prima fase, si era parlato di una presenza fissa di infermieri nelle rinnovate farmacie/presidi sanitari.

Lo schema di Dlgs licenziato il 2 ottobre dal Consiglio dei ministri sui nuovi "Servizi erogati dalle farmacie pubbliche e private operanti in convenzione con il Ssn", invece, limita gravemente l’esercizio autonomo degli infermieri all’interno della farmacie. Le farmacie potranno infatti mettere a disposizione per le attività di assistenza domiciliare infermieri e fisioterapisti, ma questi professionisti potranno operare solo sulla base delle prescrizioni del medico di medicina generale o del pediatra.
Di conseguenza, la loro presenza all'interno delle farmacie dovrebbe essere limitata “all’erogazione di servizi di secondo livello rivolti a singoli assistiti e a ulteriori prestazioni individuate con decreto dal ministero del Welfare”, ha annunciato Fazio al Congresso degli specialisti ambulatoriali Sumai.
"L'infermiere in farmacia può essere collegato, per ora, ad attività al domicilio del paziente – ha spiegato il viceministro – mentre per le attività più dirette per il momento non è previsto il loro utilizzo. Ma apriremo dei tavoli con i medici di medicina generale per una regolamentazione futura. La professionalità dell'infermiere, che è elevata vista anche la loro formazione universitaria, dovrà essere valorizzata. Ma ciò va fatto in armonia con la centralità della figura del medico di famiglia, che resta il centro del sistema".

La presidente Ipasvi Annalisa Silvestro, in una nota ai Collegi, ha commentato 'a caldo', in attesa di prendere visione del testo ufficiale del decreto, non ancora disponibile: "Ancora una volta le forti pressioni esercitate dalla lobby medica hanno sortito il loro effetto e a nulla sono valse le azioni poste in essere dalla Federazione dei Collegi Ipasvi e dalla Federazione dei farmacisti italiani.
Evidentemente davanti agli infermieri si affermano alcune cose (Congresso nazionale del febbraio 2009 e convegno Sanit a Roma), per poi farne delle altre".

Le novità
Il decreto legislativo punta sullo sviluppo dell'assistenza domiciliare integrata.
Oltre a mettere a disposizione dei cittadini infermieri e altri operatori socio-sanitari, le farmacie potranno consegnare farmaci e presidi sanitari, preparare e consegnare preparati per la nutrizione artificiale e farmaci per il controllo del dolore.
E' prevista la possibilità di prenotare alcuni esami diagnostici presso strutture accreditate e ritirare in farmacia i relativi referti.
Le farmacie, inoltre, saranno impegnate in servizi di educazione sanitaria e in campagne di prevenzione.
L'iter legislativo dovrà essere concluso da un successivo decreto relativo all'individuazione di ulteriori prestazioni infermieristiche o fisioterapiche da effettuare in farmacia, che dovrà essere emanato dal Ministro del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e le province autonme di Trento e Bolzano.

Roma, 7 ottobre 2009

 
 
 

dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 22 ottobre 2009

Post n°5 pubblicato il 23 Ottobre 2009 da francescoperniola

L'assessore alla Sanità vieta di sfiorare i tetti di spesa
di Massimiliano Scagliarini

BARI -È una vera e propria guerra fredda quella scoppiata nelle ultime ore tra un pezzo della sanità privata pugliese e l’assessore regionale Tommaso Fiore. Proprio mentre i sindacati (si veda l’articolo in basso) protestano per il mancato rinnovo dei contratti, la clinica Anthea di Bari preannuncia il blocco dei ricoveri e minaccia la cassa integrazione per una parte dei dipendenti. Una situazione che potrebbe essere presto estesa alle altre cliniche del gruppo Villa Maria, il principale operatore della sanità privata pugliese, nonché punto di riferimento per la cardiologia.

tetti di spesaIl nodo della vertenza è legato ai tetti di spesa, ovvero i budget annuali che le Asl assegnano alle cliniche. L’Anthea nel 2008 aveva un budget pari a 33 milioni, che la Asl di Bari ha ridotto per il 2009 a 19 milioni.
Il management della clinica lamenta che la definizione del tetto di spesa è avvenuto solo a settembre, e che la cifra non tiene conto del «potenziale erogativo» della struttura. Il problema riguarda tutte le cliniche private, ma per Anthea è particolarmente pesante perché la struttura è di recente accreditamento e quindi non ha uno «storico» su cui la Regione può determinare il budget.

ricoveri sospesi?La conseguenza? A partire dai prossimi giorni l’Anthea potrebbe sospendere i ricoveri in regime di accreditamento fino al 31 dicembre, garantendo soltanto le emergenze. Per sottoporsi ad angioplastica presso l’Anthea, i cittadini insomma rischiano di dover entrare nelle liste di attesa delle strutture pubbliche, rinviare l’intervento di tre mesi oppure pagare di tasca propria.
Per accrescere il senso della minaccia l’azienda ha chiesto di poter accedere alla cassa integrazione: a questo proposito, domani è in programma un incontro all’ufficio provinciale del lavoro di Bari.

l’assessoreLa posizione del gruppo Villa Maria lascia però freddino l’assessore Tommaso Fiore. «Ai privati - dice - va già il 24% del fondo sanitario regionale: mi pare che non si possa fare di più».
Fiore non teme l’eventualità di un blocco dei ricoveri ordinari: «Se si concentrassero solo sulle emergenze sarebbe un fatto assolutamente positivo, visto che finora ne hanno garantite poche se non in qualche specialità».

La Regione, insomma, non intende cedere: «Credo che la nostra posizione sia largamente condivisibile, né ho ancora visto un privato portare i libri in tribunale». Anthea ha fatto notare che la sua attività specialistica ha fatto calare la mobilità passiva (il numero dei pugliesi che si spostano fuori regione): «È vero - riconosce Fiore - una piccola riduzione c’è stata, ma lo sforzo del privato è stato molto oneroso per il pubblico. Credo che le cliniche dovrebbero concentrarsi proprio sull’attrazione di pazienti da fuori regione, come accade in Emilia Romagna dove i tetti di remunerazione sono bassissimi, ma le cliniche lavorano moltissimo grazie alla mobilità».

distanzaLa distanza tra Fiore e gli operatori sembra insanabile. «C’è un problema di carattere oggettivo - dice Max Paganini, presidente dell’Aiop (una delle associazioni delle cliniche private) -, i budget rinvengono dal 1998, le tariffe sono ferme al 1997, le strutture hanno modificato il loro setting assistenziale sulla base della programmazione regionale e oggi si trovano in difficoltà perché hanno budget che non sono adeguati rispetto alle prestazioni. Chiediamo alla Regione di trovare una soluzione».
sindacatiI sindacati, invece, si spaccano. «Villa Maria - accusa Antonella Morga della Cgil - ha già agitato il ricatto occupazionale quando fu chiusa Villa Giustina a Molfetta (la vicenda penale si è poi chiusa con l’assoluzione dell’azienda - ndr). Non intendiamo prestarci a questo ricatto: chiederemo, tramite la Regione, la verifica tra il volume delle prestazioni erogate e le unità di personale adibite. E dalla prossima settimana ci saranno occupazioni e presidi permanenti all’esterno della clinica».

 
 
 

la confessione del lupo

Post n°4 pubblicato il 03 Maggio 2009 da francescoperniola
Foto di francescoperniola

 
 
 

PASQUA 2009

Post n°3 pubblicato il 12 Aprile 2009 da francescoperniola

Kristos Anesti!

Vere Resurrexit!

Amen Alleluja!

 
 
 

Master in Infermieristica Forense

Post n°2 pubblicato il 09 Aprile 2009 da francescoperniola
 
Tag: master
Foto di francescoperniola

il giorno 31 marzo 2009

concluso il Master in Infermieristica Forense presso l'Università degli Studi di Bari Facoltà di Medicina e Chirurgia.

 

 
 
 

pasqua 2009

Post n°1 pubblicato il 09 Aprile 2009 da francescoperniola
 
Tag: storia

Un uccellino, sdraiato sul dorso, tendeva verso il cielo, rigide, entrambe le zampine. Un altro uccellino gli volò accanto e gli chiese stupito: "Che cosa fai? Perchè te ne stai coricato a zampe i su? Ti è successo qualcosa?".

Senza muoversi, il primo uccellino rispose: "Con le mie zampe sostengo il cielo. Se mi muovo e ritiro le zampe, il cielo cade giù".

In quel momento, da un albero vicino si staccò una foglia che cadde a terra, veloce e silenziosa.

L'uccellino si spaventò tantissimo. Si alzò e spiccò il volo, rapidissimo.

Il cielo, naturalmente, rimase al suo posto.

 
 
 

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