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Circolare n. 48 del 20 febbraio Istituto Nazionale Previdenza Sociale

Post n°1561 pubblicato il 23 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

Assegno per il nucleo familiare e assegno di maternità concessi dai Comuni. Nuove soglie ISEE -

INPS
ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE
Direzione Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito


OGGETTO: 
Assegno per il nucleo familiare e assegno di maternità concessi dai Comuni. Nuove soglie ISEE.

SOMMARIO: Importi delle prestazioni sociali e nuovi limiti di reddito applicabili per le domande riferite all’anno 2014, ma presentate successivamente al 1 gennaio 2015.

1)  Nuove soglie ISEE

A seguito della riforma dell’ISEE, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159, con la circolare n. 171 del 2014 sono state comunicate le nuove soglie, che si riferiscono all’ISEE e non più all’ISE, e le modalità di calcolo da applicare, a far data dal 1 gennaio 2015, all’assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minori (art. 65 della legge n. 448 del 1998) e all’assegno di maternità (art. 74 del decreto legislativo n. 151 del 2001) concessi dai Comuni.

Più precisamente, il citato D.P.C.M. n. 159/2013, in relazione alle nuove modalità di calcolo dell’indicatore, fissa con riferimento al 2013 le soglie per l’assegno per il nucleo con almeno tre figli minorenni e per l’assegno di maternità, determinandole rispettivamente al livello ISEE inferiore a 8.446 euro e a 16.737 euro.

Entrambe queste nuove soglie devono essere rivalutate sulla base della variazione nel 2013 dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri con il Comunicato pubblicato nella G.U.  n. 24 del 30 gennaio 2015 ha reso noto le nuove soglie dell’ISEE, da applicarsi per l’anno 2014, rivalutate sulla base dell’incremento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, calcolato con le esclusioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 81, che è risultato pari all’1.1%.
 
2)  Domande presentate entro il 31 dicembre 2014 riferite all’anno 2014

Si ritiene utile precisare che le domande di assegno di maternità e assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minori presentate entro il 31 dicembre 2014 saranno valutate sulla base delle soglie ISE di cui alla circolare n. 29 del 2014.
 
3)  Domande presentate dopo il 1 gennaio 2015, ma riferite all’anno 2014

3.1)     Ambito di applicazione delle nuove soglie dell’ISEE rivalutate

Le soglie dell’ISEE rivalutate, indicate ai paragrafi 3.2 e 3.3, si applicano esclusivamente:

a)   per i richiedenti che presentano la domanda di assegno di maternità, successivamente al 1 gennaio 2015, per i figli nati precedentemente a tale data;

b)   per i richiedenti che presentano, dal 1 gennaio 2015 al 31 gennaio 2015, la domanda di assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minorenni per l’anno 2014.

3.2)     Assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minorenni concesso dal Comune

L'assegno per il nucleo familiare da corrispondere agli aventi diritto specificati nel paragrafo 3.1 lettera b) per l'anno 2014 è pari, nella misura intera, a Euro 141,02.
Per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente, è pari a Euro 8.538,91.

3.3)     Assegno di maternità concesso dal Comune

A seguito del suddetto incremento ISTAT,  l’importo dell’assegno mensile di maternità (per i soggetti specificati nel paragrafo 3.1 lettera a)), spettante nella misura intera, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenuti dal 1.1.2014 al 31.12.2014 è pari a Euro 338,21 per cinque mensilità e quindi a complessivi Euro 1.691,05.
Il valore dell’indicatore della situazione economica equivalente da tenere presente per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenuti nel 2014, è pari a Euro 16.921,11.

4)  Domande presentate dopo il 1 gennaio 2015, ma riferite all’anno 2015

Le soglie dell’ISEE e gli importi delle prestazioni in oggetto, rivalutati e validi per l’anno 2015, saranno resi noti con la pubblicazione di un apposito Comunicato del Dipartimento della famiglia, a cui seguirà una specifica circolare sull’argomento.

Il Direttore Generale f.f.
Crudo                    FONTE :.immigrazione.biz/
 
 
 

Isee 2015, in stallo convenzione tra Inps e Caf. M5S: “Poletti faccia qualcosa”

I Centri di assistenza fiscale chiedono un aumento del 50% dell'onorario per ogni pratica, l'istituto di previdenza non ci sta. A rimetterci sono i cittadini che devono fare richiesta di prestazioni sociali. Un'interrogazione dei deputati grillini chiede "come sia possibile che le pratiche siano più complesse rispetto al passato" visto che secondo la campagna informativa del ministero del Lavoro c'è stata una semplificazione Mentre il ministero del Lavoro porta avanti la sua campagna di comunicazione in tv sul nuovo Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) operativo dall’1 gennaio 2015, sul web e in Parlamento monta la polemica per il mancato rinnovo della convenzione tra l’Inps e i Caf. Il fatto è che tra i Centri di assistenza fiscale e l’istituto di previdenza, che gestisce anche la banca dati per la compilazione dell’Isee – un indice di ricchezza delle famiglie, usato per stabilire chi ha diritto a prestazioni sociali agevolate – è in corso un braccio di ferro. I primi reclamano un aumento del 50% dell’onorario previsto dal vecchio contratto (10-12 euro a pratica), ma l’istituto, che ha conti in profondo rosso e attende l’insediamento del nuovo presidente Tito Boeri, non ne vuole sapere. Risultato: i Caf si stanno rifiutando di compilare leDichiarazioni sostitutive uniche (Dsu) che il contribuente deve inviare all’Inps il quale verifica i dati e compila l’Isee definitivo. “Senza convenzione si fa fatica a garantire il servizio”, ha fatto sapere il coordinatore della Consulta dei Caf, Valeriano Canepari. Ma a subirne le conseguenze sono i cittadini che hanno necessità di fare richiesta di assegni per il nucleo familiare e di maternità, bonus sulle bollette e agevolazioni per affitti, asili nido, mensescolastiche, tasse universitarie e servizi socio sanitaridomiciliari.

Di qui l’interrogazione presentata dai deputati M5S nelle commissioni Affari sociali e Finanze, a prima firma Giulia Di Vita. Che chiama in causa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti chiedendo “se abbia intrapreso o stia per adottare misure che consentano di superare, in tempi brevissimi questa impasse” visto che “il mancato rinnovo della convenzione rischia di produrre una situazione caotica, generando difficoltà e oneri ingenti per i cittadini”. Secondo i parlamentari grillini “in questa situazione di stallo e di tempi ristretti per agire le responsabilità del governo sono di primo piano: il nuovo Isee, infatti, sarebbe dovuto entrare in vigore già nel giugno 2014″.

“Ci domandiamo, inoltre”, si legge, “come sia possibile che le pratiche siano più articolate e complesse rispetto al passato, tanto da spingere i Caf a chiedere un aumento delle tariffe, quando il governo indicava tra i punti di forza della riforma dell’Isee proprio la semplificazione delle procedure. Tra l’altro questa maggiore complessità stride con la campagna informativa appena avviata dal ministero, il cui messaggio verte anche sulla semplicità del nuovo Isee”.

Sullo sfondo restano poi i calcoli – fatti sempre dai Caf – secondo cui il minore spazio lasciato all’autocertificazione e e l’aumento deicontrolli potrebbero ridurre di circa il 20%, rispetto ai 6 milioni di persone del 2014, la platea di coloro che usufruiscono di servizi legati alla situazione economica. C’è però da dire che l’incrocio tra banche dati e le verifiche a campione sono state pensate proprio per diminuire drasticamente il numero dei “furbetti” che ottengono gratis prestazioni a cui non hanno diritto.

 
 
 

ISEE 2015: attenzione a conti correnti e investimenti

Post n°1559 pubblicato il 23 Febbraio 2015 da antonello.mureddu
 

Cambia ancora l’ISEE, l’indicatore della situazione economica equivalente. Dopo lemodifiche 2013 il governo mette nuovamente mano al sistema per il calcolo della situazione economica e familiare. Questa volta nel mirino ci sono conti correnti e investimenti visto che nell’80% dei casi delle domande presentate si dichiarava di non essere in possesso neanche di un conto corrente. E’ dal 1° gennaio 2015 che partirà il nuovo ISEE. Il sistema per il calcolo della situazione economica familiare è stato rivisto e corretto nell’ottica di un contrasto sempre più determinato ai cosiddetti finti poveri. Si tratta, in pratica, di uno strumento che permette di misurare la reale condizione economica di una famiglia che intende accedere a determinate prestazioni sociali.

Nuovo ISEE 2015 con moduli precompilati

Alcune famiglie, infatti, pur di ottenere sconti e prestazioni sociali, omettevano di inserire alcuni dati nella dichiarazione. Il nuovo calcolo ISEE 2015 prenderà in considerazione il reddito di tutti i componenti, il patrimonio immobiliare (valore dei fabbricati e dei terreni ai fini IMU), i depositi bancari, i conti correnti, gli investimenti in Titoli di Stato e azioni e la composizione della famiglia. Dovranno essere dichiarati anche i redditi esenti Irpef come le borse di studio, gli assegni di accompagnamento e le pensioni di invalidità.

Nella nuova versione dell’ISEE sarà data massima attenzione alla disponibilità dei conti correnti. Dal prossimo anno, fermo restando la possibilità da parte del contribuente diautocertificare l’entità di conti, depositi e titoli, se si ometterà di dichiarare di essere in possesso di un conto corrente bancario scatteranno controlli automatici.

Novità anche sulla valutazione degli immobili. Per le abitazioni si prenderà a riferimento la base imponibile ai fini IMU. Tra i beni da dichiarare c’è anche la prima casa che, tuttavia, non concorre ai fini del calcolo fino ad un valore di 52.500 euro. Inoltre, saranno aggiunti 2.500 euro per ogni figlio convivente successivo al secondo. In presenza di mutuo non si considera l’intero valore ma solo la parte che supera l’importo del mutuo residuo.

 

Altra novità per il 2015 è l’obbligo di dichiarare il possesso di auto e moto di cilindrata superiore ai 500 cc. L’obbligo è previsto, inoltre, per il possesso di qualsiasi imbarcazione.

 
 
 

L'Italia sarà la prossima. Varoufakis lo sa. Gli italiani no

Post n°1558 pubblicato il 09 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

Le famiglie italiane si stanno arricchendo. Lo ha dichiarato Renzi al Parlamento europeo in occasione del discorso di chiusura del semestre di presidenza italiano. Quale sia la ricchezza di cui ha parlato il Premier (NasdaqGS: PINC - notizie) italiano non è dato sapere. Si, perchè anche volendo essere ottimisti, è difficile smentire non solo la logica dei numeri ma anche la semplice quotidianità che parla a chiare lettere di famiglie che non riescono a coprire con le entrate non più solo la quarta settimana del mese, ma anche la terza, ormai.

Ricchezza e risparmio

E per farlo sono costretti ad erodere il proprio patrimonio, quindi ad intaccare il risparmio. E farlo non equivale a una ricchezza. I numeri lo confermano: è vero che l’Italia ha il più alto tasso di risparmio privato, pari a 4mila miliardi di euro (parole del primo ministro) ma si tratta di ricchezza netta delle famiglie che è una cosa diversa dal risparmio. Infatti risparmio è quanto resta tra l’incasso del reddito e l’uscita dei consumi i un determinato periodo di tempo. Concetto senza dubbio estremizzato ma che fa capire bene come, con il tempo, questo tenda a stratificarsi, ad aumentare ma anche no, a seconda dell’andamento sempre diverso.

Tornando sempre alla ricchezza netta, quella che Renzi crede ricchezza delle famiglie, questa è ferma da oltre 7 anni ovvero dall’inizio della crisi, periodo in cui si è assistito anche alla caduta dei prezzi delle abitazioni, mentre la pressione fiscale è andata aumentando. Non solo, ma redditi fermi e disoccupazione hanno fatto al loro parte nel rendere più debole la situazione dei nuclei familiari sempre più esposti ai problemi di una crisi che non demorde e che è sempre più difficile da sanare. Ma non è la crisi la vera nemica dell’Italia, bensì l’Italia stessa o per meglio dire quel sistema normativo che imbriglia a sua volta quello produttivo. In altre parole la crisi non ha fatto altro che estremizzare un concetto di fondo: la nazione è organizzata male dal punto di vista dell’industria, dell’innovazione, del lavoro e della formazione delle nuove leve.

E non solo il debito italiano

Nuove leve che, prive di ogni effettiva preparazione, si trovano ulteriormente penalizzate da una flessibilità portata all'estremo, tanto che, dati resi noti ieri, la percentuale degli adulti tra i 18 ai 34 anni che decidono di restare a casa con i propri genitori, secondo Eurostat, nel 2013 ha toccato il 65,8%. Cosa stupisce di questo dato? Soprattutto il fatto che la scelta comprende anche chi un lavoro lo ha, a conferma che il calo del potere d'acquisto impatta, così come anche la difficoltà di accesso al credito e la perdita di fiducia in un futuro "a tempo determinato".

Avrà considerato anche questi fattori Yaris Varoufakis, neo ministro delle Finanze greche quando ha dichiarato che anche l’Italia si trova nella stessa situazione della Grecia e che ha un debito tecnicamente insostenibile?

La politica doppiogiochista

Renzi incontra Varoufakis e gli esprime la solidarietà dell’Italia verso la difficile situazione greca. La bce condanna la politica di Varoufakis e Renzi plaude alle parole di Draghi. Apparentemente dettata da una grave sindrome bipolare, in realtà le parole del premier italiano sono state dettate da un vero e proprio sentimento di terrore che aleggia da tempo in Europa: appoggiare al volontà popolar, soprattutto se va oltre i diktat dei vertici bancari e tedeschi, potrebbe costare caro. Infatti se nemmeno le poltrone di Monti e Letta, pregevoli adepti del miglior rigorismo berlinese, sono state adeguatamente salvaguardate, difficile che possano esserlo quelle di chi affianca e sostiene il perdente per eccellenza. Si, perchè Atene non ce la farà, non può farcela, a meno che non voglia veramente uscire dall’euro. Si è impelagata in un labirinto senza via di uscita. O per meglio dire in un labirinto nel quale Aleis Tsipras si sta perdendo: da una parte non può permettersi di rimangiarsi il programma elettorale, dall’altre non può permettersi di mantenerlo. La paura è che possa avverarsi al profezia di Alba Dorata e cioè il fallimento del neoeletto goverso di sinistra e l’arrivo del partito filonazista. Il che causerebbe veramente la catastrofe.

Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online

 
 
 

Marzotto e il dramma dell'amianto .

Post n°1557 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

di
Alessia Manzi - fonte : http://www.communianet.org

Il principale marchio italiano nella produzione del tessile balzato alle cronache per la nefanda sentenza sulla Marlane si scopre abbia altri scheletri in amianto nel proprio armadio.
 Veneto, Lombardia, Campania, Calabria.
Zone dell'Italia distanti geograficamente e diverse tra loro per usi, costumi, tradizioni ma accomunate nella trama ingarbugliata di una storia raccontata tra aule di tribunali, ospedali e denunce da parte di chi ha subito, direttamente o indirettamente, le politiche padronali.
I protagonisti di questa tipica storia operaia iniziata durante i primi anni '50 sono i lavoratori e le lavoratrici delle fabbriche tessili di proprietà della Marzotto, ricca e potente famiglia nel settore dell'industria tessile.
Un grande marchio famoso, specie dopo la conclusione in primo grado del Processo Marlane, la fabbrica dei veleni di Praia a Mare (provincia di Cosenza); durato per lunghi venti anni tra rinvii e ricorsi, e alimentato dalla voglia di lottare e di avere giustizia per i 107 dipendenti deceduti per cancro. Anni di interrogatori, indagini, sopralluoghi alla ricerca di quei fusti tossici sepolti nell'area circostante il fabbricato. Mesi, giorni, settimane verso una verità necessaria per far luce sullo sfruttamento degli operai e del territorio.
A nulla sono servite le controperizie, l'inchiesta, le accuse del PM e il coraggio della difesa: la magistratura, chinata alla volontà del profitto, ha decretato che nella Marlane di Praia a Mare non è accaduto nulla. Mai. Nessun disastro ambientale. Nessun operaio ha sviluppato un carcinoma per gli agenti presenti in fabbrica.
La vicenda della fabbrica avvelenata sull'Alto Tirreno Cosentino, di cui a breve si saprà se ci sarà o meno un ricorso in appello, ha però riaperto altre ferite fino ad ora poco conosciute alla cronaca più diffusa. 
Qualche chilometro un po' più su, proseguendo sempre sulla costa tirrenica, si arriva nel salernitano. Quì, dal 1959 al 1985, era presente la sede della “Marzotto Sud”. L'impianto dava lavoro a 1.200 operai: molti di loro, purtroppo, sono deceduti a causa del cancro provocato dall'amianto presente nei telai del reparto filatura. Gli ex addetti o i familiari delle vittime, quando hanno richiesto di rivedere i contributi per la pensione, ottengono il riconoscimento del rischio morbigeno qualificato, e solo l'INAIL accoglie 300 domande mentre ne vengono inoltrate altre 600 e 450 invece, sono le controversie instaurate davanti agli organi di giustizia preposti. Cento richiedenti hanno dovuto appellarsi alla Corte di Cassazione, promettendo di affidarsi alla Corte dei diritti umani di Strasburgo ove le loro richieste non siano accolte. E' quindi ancora in corso un contenzioso volto a far luce su cosa sia avvenuto tra le mura dello stabilimento salernitano e sul motivo di rigetto per la domanda di quel centinaio di richiedenti.
Risalendo lo Stivale si fa tappa a Manerbio, in provincia di Brescia. Sembra il copione di un'opera teatrale da portare in scena. Atto I: Amianto e disoccupazione. Peccato vedere come l'unico sipario calato su un palcoscenico silente sia quello della mancanza di lavoro e delle malattie, capaci di portare via troppe vite già vinte dalle pessime condizioni lavorative a cui sono state sottoposte per troppo tempo.
3.000 operai sono stati esposti a rischio amianto, sebbene negli ultimi anni di attività fino ad arrivare all'anno di chiusura, 2003, si contasse un quarto della manodopera attiva rispetto a trent'anni prima. I bassi costi della forza lavoro e i maggiori profitti possibili per il padrone, portano Marzotto ad abbassare le serrande dello stabilimento bresciano ed a trasferirsi all'Estero lasciando 270 lavoratori in mobilità. Disoccupati e con la minaccia dell'amianto come uno spettro nelle quotidiane preoccupazioni.
Continuando il tour nell'Impero del tessile marcato Marzotto si giunge in Veneto tra Valdagno, Piovene Rocchette e Schio.
Anche qui va in scena lo stesso drammatico spettacolo. Gli operai e le operaie lavorano senza alcuna protezione all'interno di un reparto di tessitura in cui gli impianti frenanti dei macchinari, realizzati con amianto rilasciano polveri, mai aspirate da macchinari insufficientemente potenti per ripulire l'ambiente. Tutto questo accadeva anche nel reparto di tessitura, in cui i dipendenti attivavano gli impianti ad aria compressa per evitare l'avaria dei macchinari, mentre le polveri si spargevano ancora di più nell'aria.
E' il 1986 quando muore il primo operaio caldaista dipendente della LANEROSSI dal 1967. Dolori intercostali, tosse, perdita di peso e poi la terribile diagnosi: neoplasia polmonare metastatizzata e ipertensione arteriosa che porterà l'uomo a decedere per un'insufficienza respiratoria.
Tanti altri suoi colleghi hanno riportato gli stessi sintomi attirando l'attenzione di Medicina Democratica e dell'AIEA (associazione italiana esposti amianto), gruppi che hanno presentato degli esposti alla Procura di Vicenza. Nel 2012 è avviata un'inchiesta per la presenza di amianto all'interno delle tre industrie e gli inquirenti acquisiscono dieci cartelle cliniche. Le imputazioni sono violazione del d. lgs sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro per dieci indagati non appartenenti ai vertici dirigenziali.
Tra risarcimenti INPS e parziale bonifica dell'area a rischio si continua a far luce su cosa è accaduto all'intero delle fabbriche una volta appartenenti all'ENI, poi rilevate Marzotto ad inizio anni '80.
Eppure si sa, la storia riporta anche eventi di ribellione contro lo schiaffo del padrone. 
Proprio il 14 aprile del 1969, a Valdagno, esplode una rivolta operaia contro Marzotto. Scioperare e portare avanti una vertenza sindacale risulta essere un'impresa impossibile. A seguito di uno sciopero selvaggio gli operai e le operaie dell'azienda tessile, quella mattina di metà gennaio, decidono di bloccare i cancelli dell'entrata. Dopo alcune ore trascorse in un clima teso, un brigadiere dei carabinieri aggredisce le donne con una catena provocando il lancio di uova da parte degli uomini. Partono le cariche e alcuni operai sono feriti mentre il reparto celere della polizia giunge da Padova per rincarare le manganellate e sparare lacrimogeni. La presenza di un dirigente della fabbrica non fa che scaldare ancora di più gli animi della protesta, così sfociata in una ribellione capace di coinvolgere l'intera cittadinanza quando i principali sindacati, dopo il rilascio di due operai arrestati, predono accordi con l'azienda per sciogliere la manifestazione, senza consultare i dipendenti. Tremila persone invadono le strade della cittadina. Sassaiole contro le forze dell'ordine; bombe a mano e lacrimogeni sulla folla.
“Saluteremo il signor padrone per il male che ci ha fatto, che ci ha sempre maltrattato fino all’ultimo momento.”
Bassi salari, sfruttamento dei lavoratori, controllo pressante e paga a cottimo sono le condizioni che la classe operaia li impiegata rifiuta, rivendicando quella libertà espressa nell'abbattimento della statua del conte Marzotto.
“Con quale mezzo riesce la borghesia a superare la crisi? Per un verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive; per un altro verso, conquistando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti.” (Marx)
Per l'ennesima volta si è costretti a narrare il triste pianto degli sfruttati e la risata dell'oppressore, il dipinto della storia dell'industria italiana. Una cattiva novella scritta per descrivere le mancanze di tutela per i lavoratori e le carenti condizioni lavorative legate alla presenza di inquinanti tossici, capaci di avvelenare le aree circostanti e la salute di chi, per anni, ha mandato avanti quelle stesse fabbriche poi andate via per far posto ad una vita precaria. Una storia sbagliata ove i sindacati e i forti interessi economici hanno preferito il profitto del capitalismo a scapito della vita dei lavoratori.
Ai tempi dello Sblocca Italia, dei reati ambientali a favore di chi inquina, della disoccupazione al 13% che permette ancora di piú il gioco del ricatto guidato dal padrone, diventa necessario pensare ad un reale riscatto per i territori contaminati e per gli operai e le operaie, in molti a pagare i gravi danni dello scellerato industriale di turno.


 
 
 

Per le tasche degli italiani la crisi è come la guerra .

Post n°1556 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

E' cosa nota che durante e dopo ogni guerra, vinta o persa che sia, si assiste ad una redistribuzione consistente della ricchezza di un paese che sposta beni e denari dalle fasce di popolazione più povere a quelle più ricche, con concentrazioni paradossali di enormi ricchezze in pochissime mani.
L'attuali crisi economica sta producendo lo stesso malsano effetto con il conseguente impoverimento di milioni di persone e l'estremo arricchimento di pochi.
I dati emersi in questi giorni e tratti da uno studio della Banca d'Italia, sono così chiari da risultare brutali.
Nel 2013 i 10 (dieci!) italiani più ricchi possedevano 98 miliardi di euro contro i 58 miliardi del 2008 con un aumento del 70%.
Nello stesso periodo il 30% di italiani più poveri (circa 18 milioni) sono passati dai 114 miliardi del 2008 ai 96 del 2013, con una riduzione del 20%.
Quindi in questi 5 anni, mentre circa un terzo degli italiani diventava sensibilmente più povero perdendo mediamente il 4% della loro “ricchezza” ogni anno, i 10 “Paperoni” italiani aumentavano i loro redditi e le loro ricchezze, quasi raddoppiandole, ad un ritmo medio del 14% ogni anno.
Se insomma 5 anni fa la differenza economica era già enorme la crisi ha aumentato il divario in modo impressionante: più avanza la crisi e più i ricchi diventano più ricchi. 18 milioni di italiani hanno visto invece aumentare il loro stato di povertà, ridursi il proprio reddito, sperimentata l'impossibilità di curarsi adeguatamente, mentre in tanti hanno perso il lavoro e magari anche la casa.
Se poi a questo sommiamo il fatto che l'analisi riguarda la ricchezza di soli 10 individui, si può facilmente dedurre che se avessimo preso in esame i 20, 30 o 100 italiani più ricchi, lo squilibrio tra questi numeri e quelli dei più poveri sarebbe risultato ancor più stridente.
Come anche c'è da tener conto che siamo ormai entrati in una situazione internazionale sempre più drammaticamente vicina ad una vera guerra diffusa tra regioni e aree economiche, politiche e culturali del mondo che sicuramente produrrà ulteriori squilibri sociali.
Un sistema che prevede differenze economiche e sociali di queste dimensioni non può più essere corretto semplicemente con un diverso prelievo fiscale, magari più equo, e neanche con patrimoniali più o meno leggere, perché anche se tali provvedimenti venissero adottati, i meccanismi che ormai vengono imposti a 60 milioni di italiani verrebbero comunque modificati per riprodurre gli stessi margini di guadagno per grandi gruppi industriali e finanza nazionale e internazionale.
E' proprio questo sistema che ormai produce e riproduce l'ingiustizia sociale e l'iniqua distribuzione della ricchezza.
E allora c'è da chiedersi come mai la maggioranza di quelle forze sociali, sindacali e politiche che dicono di essere coscienti di questa situazione, non si dichiarino inequivocabilmente per l'apertura di una fase di aperto conflitto sociale e non lavorino per svilupparlo.
E' necessario battere culturalmente l'ineluttabilità di tali squilibri e la logica del cosiddetto “mercato”, indicare una via alternativa, percorrerla con convinzione, senza aver timore di agire quel conflitto sociale che, solo, può inceppare questo iniquo sistema economico.

 
 
 

Il Jobs Act si rivela: "Se vi ammalate, vi licenziamo" .

Post n°1555 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

Il governo Renzi non ha ancora varato i primi decreti attuativi del Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro, che già le imprese si preparano a sfruttare i nuovi strumenti di ricatto che entreranno in vigore tra poco.
Le leggi, lo sappiamo bene, non sono il mezzo attraverso cui si instaurano i rapporti di forza, ma casomai le forme in cui questi si cristallizzano nelle democrazie. Infatti la Fiat (FCA), che certo non aveva bisogno di aspettare la riforma renziana, è uscita da Confindustria per avere mani libere e poter applicare le sue regole, le sue leggi, la sua forza: allora ecco la cassaintegrazione selettiva, senza rotazioni, per andare a colpire i lavoratori più combattivi, ecco la pretesa di non far rientrare a lavoro i 3 operai di Melfi, nonostante la sentenza in loro favore. 

L'eliminazione dei lavoratori più sindacalizzati, guarda caso, è proprio uno dei principali obiettivi del Jobs Act e allora anche l'uscita di Marchionne da Confindustria può essere letta non come una rottura col fronte padronale italiano, ma come un salto in avanti della sua avanguardia, che il resto della truppa è ben felice di seguire non appena le nuove leggi ne sanciranno la possibilità. Su questa base si innesta la riforma di Renzi, il Jobs Act.

Mentre i primi decreti attuativi sono quasi pronti, le aziende cominciano a pensare a come sfruttare le nuove leggi che attaccano ancora una volta i diritti dei lavoratori. Così alla lettera di avviso mandata agli operai Sevel (ditta fornitrice esclusiva di Fiat), segue immediatamente analoga lettera ricevuta dai lavoratori della Piaggio. Il messaggio è chiaro, diretto, inequivocabile: ora tutte le aziende possono lasciarvi a casa facilmente, basterà pagare un piccolo indennizzo, quindi anche le malattie (per quanto reali e dimostrate con tanto di certificato medico) non saranno più ammesse. La produttività, che nel nostro sistema significa sfruttare di più gli uomini, non ha morale: chi è più “malaticcio” stia a casa. Già ma qual è la soglia di assenza accettabile? Man mano l'asticella si alzerà sempre di più, perché le valutazioni sono differenziali: se uno comincerà a non stare mai a casa (anche quando è realmente ammalato), tutti dovranno uniformarsi, altrimenti diventeranno quelli poco produttivi. "Se ce la fa lui, perché non puoi riuscirci anche tu? Ok, stai male, ti credo. Ma se lui sta sempre bene, è un mio diritto scegliere lui e tagliare te. Mica posso pagare io i tuoi legittimi malanni? Anche perché la tua debolezza rallenta e danneggia pure i tuoi colleghi", questo il messaggio, per nulla velato, con cui Fiat (Sevel) e Piaggio hanno augurato “buon anno” ai propri lavoratori.

Intanto Marchionne, ancora lui, annuncia 1000 nuove assunzioni a Melfi: in somministrazione e poi, una volta definiti i nuovi volumi produttivi, col nuovo contratto a tutele crescenti. Applausi dai ed ai sindacati concertativi, la Fim-Cisl si complimenta con Marchionne e riceve elogi per il suo “senso di responsabilità” che ha permesso a 1000 operai di tornare ad avere un lavoro: peccato che ci si dimentichi che in realtà in undici anni di Marchionne la Fiat in Italia abbia perso 21000 posti di lavoro e ne abbia ancora oltre 12000 in cassa. “Evviva”, esultano gli apologeti di Renzi, “vedete, il Jobs Act crea posti di lavoro”. Il problema però è capire che posti di lavoro saranno. Le chiamano “tutele crescenti”, ma, come suggeriva un compagno, sarebbe più onesto chiamarle “tutele zero”: cresceranno sì, del resto calare sarebbe molto difficile, ma di quanto, se già si intuisce che anche la malattia, benché provata, sia troppo? E per chi? Solo per chi riuscirà a stare “dentro” ovviamente: chi non si ammalerà troppo, chi sarà disponibile a lavorare i festivi, a fare più straordinario (senza pagarne poi i costi sulla sua salute, perché “se ti ammali sei fuori”). 

Per capire cosa sia il Jobs Act basta osservare questi primi segnali che si concretizzano nelle lettere della Sevel, come della Piaggio: qua le uniche cose che crescono sono ricatto e sfruttamento! A noi organizzare la resistenza per far saltare i loro piani!

 
 
 

ALTRO CHE NUTRIAMO IL PIANETA, CHI LAVORERA’ PER EXPO FARA’ LA FAME .

Post n°1554 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

Archiviata la pratica della costruzione dell’Expo con qualche decina di funzionari pubblici e dirigenti d’azienda in galera per corruzione e avviata quella per il dopo Expo nella stessa e ben collaudata linea di condotta, si apre adesso il capitolo di chi ci andrà a lavorare in quel bel posto. In sostanza, lavoro sottopagato, precario, gratuito. Con la firma convinta di Cgil, Cisl e Uil che il 23 luglio del 2014 hanno siglato un accordo con il Comune di Milano e Expo 2015. Si torna così indietro di più di 200 anni quando erano la norma schiavitù, servitù della gleba e corvé, cioè in tutto o in parte lavoro gratuito. Oggi, almeno dal punto di vista giuridico, la vendita della propria forza lavoro è invece libera e quindi pagata. Sarà il frutto della modernità, dell’era digitale, di internet che scompaginano vecchie abitudini e modi di rapportarsi tra le persone e le cose. Fatto sta che, a fronte di 800 lavoratori assunti a termine (perbacco!), verranno utilizzati 18.500 volontari per far funzionare Expo 2015, un’azienda che, almeno nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe dare profitti. Tutto illegale, anche se all’interno di un contratto. Ma entriamo nei particolari. Degli 800 precari, 340 saranno a contratto apprendistato con salario iniziale di due livelli sotto quanto prevede il contratto nazionale del terziario e dovranno avere meno di 29 anni. Altri 300 avranno contratti a tempo determinato e un tot dovranno essere ricercati tra disoccupati o persone in mobilità. A questi si devono aggiungere 195 stagisti che prenderanno 516 euro al mese. In più vanno sommati 5.000 figure professionali, selezionati da ManpowerGroup, che andranno a lavorare nei diversi padiglioni con contratti interinali, d’apprendistato, a tempo determinato, pagati al minimo, 700-800 euro al mese. A loro si chiede iniziativa, capacità di lavorare in gruppo, determinazione, conoscenza delle lingue (specie inglese, tedesco e spagnolo, meglio ancora cinese, arabo e russo), ottime capacità relazionali e di gestione dello stress e disponibilità a lavorare sabato, domenica, festività e a turni. Sapete in che razza di lavori professionali saranno impiegati? In prevalenza saranno cassieri, aiuto cuochi, baristi! Sommando tutto a Expo 2015 verranno impiegati 25.000 lavoratori. E pensare che l’Università Bocconi qualche anno fa stimava richieste di lavoro, dal 2012 al 2020, per 191.000 persone, 30.000 per preparare l’evento, 67.000 nei sei mesi di Expo. Ma oggi è di moda il famoso “modello Expo”: quello delle aree acquistate dai privati invece che utilizzare quelle demaniali, quello dei padiglioni che non saranno costruiti per tempo, quello delle strade d’accesso che vedranno la luce ben oltre l’apertura, quello della corruzione imperante e degli appalti senza gara. Quello infine che ha precorso il Jobs act e il piano Garanzia giovani del governo Renzi dove la precarietà diventa norma, non è più atipica. Anzi il contratto Expo-Comune-Cgil-Cisl-Uil lo supera con la istituzionalizzazione del lavoro gratuito. Confronto a questa sinistra Berlusconi era un dilettante.
PS. USB non sta e non starà con le mani in mano: combatte e combatterà questo modello con tutte le sue forze. In gioco c'è la vita dei lavoratori e delle loro famiglie. 

 
 
 

Calendario esercitazioni militari in Sardegna , primo semestre 2015 .

Post n°1553 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu
 

  Pubblico il link del documento della programmazione delle attività militari dei poligoni sardi nel primo semestre 2015 . IL documento è lungo e complesso e di non facile lettura, la cosa più importante sono le tabelle nelle ultimissime pagine,che rappresentano la programmazione definitiva, approvata anche dal CoMiPa . Buona lettura !!! https://drive.google.com/file/d/0BxwkEKfFhJYeSU1OODJHaXdQdGM/view?usp=sharin

 
 
 

MUOS: fermiamo questo impianto di morte .

Post n°1552 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu

di Giada Galletta - fonte :  http://www.lacittafutura.it

Dopo le notifiche dei divieti di dimora a Niscemi per 29 attivisti del Movimento No Muos nella scorsa estate, ecco che arrivano nuove intimidazioni repressive per chi partecipò al corteo del 9 agosto  2014 in cui i manifestanti entrarono nella base americana violando le reti di recinzione. Le "rassicurazioni" a uso mediatico fornite dall’Us Navy, dall’ISS e dall’ISPRA riguardo ai danni alla salute del MUOS sono smentite da importanti studi scientifici secondo i quali il funzionamento pieno ritmo delle antenne satellitari favorirà l’insorgere di leucemie e tumori, oltre che costituire, qualora si verificasse un malfunzionamento, un pericolo per il volo degli aerei, con le prevedibili tragiche conseguenze. Il professore Massimo Zucchetti ha fornito un quadro chiaro sui rischi di un impianto per il quale, tra l’altro, non è stata fatta una valutazione di impatto ambientale né avviata una proceduradi consultazione, secondo quanto previsto dalla legge. Gli atti giudiziari contro Giada Galletta e gli altri attivisti No Muos non fermeranno la nostra  opposizione alla presenza sul nostro territorio di uno strumento di morte la cui installazione  testimonia una perdurante condizione di sudditanza nei confronti di chi vuole che la Sicilia sia un  avamposto di guerra.
Dalla Sicilia alla Val Susa, la lotta non si arresta, la terra non si abusa!
dichiarazione di Giada Galletta
Inauguriamo il nuovo anno con un'altra ondata di denunce ai danni di numerosi attivisti No Muos per  l'anniversario del primo ingresso in base, avvenuto il 9 agosto 2013. Infatti già allora gli avvisi di garanzia non erano fatti attendere e chiaramente, le repressive forze dell'ordine  costituito hanno colpito anche in occasione del 9 agosto 2014 (da intendersi che in quest'ultimo caso le notifiche sono arrivate proprio a tutti: a chi è entrato in base e a chi no, a chi era presente al corteo e a chi  non lo era), quando alcuni manifestanti, dopo il corteo, hanno tagliato le reti e occupato simbolicamente  la base dei “coloni” americani, recuperando i compagni che due giorni prima erano saliti sulle antenne per  bloccare, seppur provvisoriamente, la funzione deleteria del Muos. Occorrerebbe discutere, inoltre, dell'accanimento oppressivo nei confronti del nucleo messinese: infatti sono una quarantina, ad oggi, i provvedimenti coercitivi elevati contro i militanti della città dello Stretto. Lo stato repressivo ha una missione, e la violenza di ogni tipo esercitata sui manifestanti lo dimostra. L'obiettivo è sempre lo stesso: tagliare le gambe ai movimenti di protesta e demotivare ed isolare chi ne fa  parte. Tentativo naturalmente fallito: queste denunce per noi sono delle medaglie al valore! Tutti noi, inquisiti e non, rivendichiamo il valore di quelle giornate e le "buone azioni” che le hanno caratterizzate!
DenunciateciTutti 
#NoMuos
#YankeeGoHome

 
 
 

La Difesa non conosce austerità – spesa militare nel 2015 .

Post n°1551 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da antonello.mureddu
 

Tra tagli annunciati ma non operati, la spesa militare italiana sfiorerà i 23,5 miliardi di euro nel 2015. In aumento, nonostante i tagli alla spesa sociale, rispetto al 2012. L’analisi dei conti e le proposte della campagna Sbilanciamoci -che il 27 novembre presenta il suo Rapporto 2015- e Rete disarmo.
Alle “missioni di pace” 850 milioni di euro, senza ulteriore voto parlamentare.
Nessun “grande taglio”, ma solo una leggera flessione. Che comunque mantiene il totale della spesa militare al di sopra di quanto stanziato nel 2012. E neppure i sacrifici prospettati anche dal Ministro Roberta Pinotti in recenti interviste: quello che esce dalla porta rientra dalla finestra. È quanto emerge dall’analisi dettagliata della Legge di Bilancio presentata dal governo di Matteo Renzi al Parlamento, ed in corso di discussione con la gemella Legge di Stabilità. Non è quindi vero che la Difesa abbia rinunciato a 1,5 miliardi di euro su un totale fondi di 19.
Per arrivare a queste conclusioni e a questi dati occorre andare oltre il semplice Bilancio proprio della Difesa, per come emerge dalla Tabella 11 della Legge, ampliando lo sguardo verso le spese militari complessive, anche per  continuità con quanto analizzato in passato.
La debolezza economica del nostro Paese si riverbera infatti in una problematicità dei conti pubblici che ha costretto il governo Renzi a operare circa 1 miliardo di tagli sui Ministeri. Circa la metà del miliardo di tagli appena ricordato è attribuito proprio al Ministero della Difesa, decisione che ha subito causato le lamentele dei supporter militari di casa nostra. Eppure l’impatto finale di questo intervento, se si considerano tutti i numeri e non si cade nel “gioco delle tre carte” porta ad una flessione ben al di sotto dell’1% complessivo. Come si concilia questo dato con le allarmate (oltre che forzate e fuorvianti) prese di posizione cui stiamo assistendo in questi giorni?
Per capire la situazione occorre mettere in fila i numeri veri, quantomeno quelli che il Parlamento sta discutendo e che in linea teorica potrebbe ancora cambiare. La Legge di Stabilità è infatti un elenco di interventi e decisioni che fanno variare, con operazioni di somma o sottrazione, le spese sui vari capitoli del bilancio dello Stato a partire da quanto già finanziato e previsto dalla legislazione vigente. Nel lungo e complesso testo presentato per il 2015 alla Difesa sono dedicati vari interventi per lo più compresi negli articoli 21 e 31.
Si tratta di provvedimenti correttivi minori comportanti un risparmio complessivo di poche decine di milioni, con l’eliminazione molto “comunicativa” di piccoli sprechi ma una continua mancanza di coraggio rispetto all’eliminazione di uno dei privilegi e sprechi maggiori: il trattamento di “ausiliaria”. Solo per chi vi transiterà a partire dal 2015 ci sarà infatti un abbassamento dal 70% al 50% dell’indennità riconosciuta a chi comunque già percepisce una pensione. Con un risparmio quantificabile in meno di 10 milioni su un totale di oltre 440 milioni dedicato ad un istituto di natura in un certo senso previdenziale previsto solamente per il personale militare (di alto grado).
Più interessante invece il meccanismo che andrà a obbligare la Difesa a mettere a reddito, vendendo o affittando, i propri immobili per circa 220 milioni di euro: se il Dicastero di via XX Settembre non dovesse riuscire a far arrivare tale somma nelle casse del Ministero dell’Economia è infatti già previsto il blocco di una cifra corrispondente nel bilancio previsionale proprio. Un meccanismo di reale forzatura per la messa a reddito dell’immenso patrimonio a disposizione di questa amministrazione. La decurtazione più grossa, quella a cui si faceva riferimento in apertura, proviene invece dall’articolo 24 che prevede, in maniera secca, un taglio di 502 milioni che per il 99% va ad incidere sull’investimento, secondo i dettagli forniti dalla stessa Legge di Stabilità.
L’effetto combinato di tutte queste decisioni si abbatte sul budget previsionale per la Difesa del 2015, che viene esposto nella Tabella 11 della Legge di Bilancio. Cosa ne esce? Una somma totale che scende sotto i 20 miliardi attestandosi a 19.776,8 milioni complessivi ed una flessione di 535,5 mln (-2,64%). Un bilancio totale che in relazione al PIL corrisponde ad una quota pari all’1,20% mentre assomma al 3,3% delle spese complessive dello Stato italiano. Come sempre, nella più recente classificazione in vigore da qualche anno, è la Missione “difesa e sicurezza del territorio” a prendersi la fetta maggiore con 19,2 miliardi di euro a disposizione, lasciando le briciole a ricerca e innovazione e ai servizi istituzionali e generali. La suddivisione interna prevede 5,6 miliardi per i Carabinieri, 4,6 miliardi per le forze terrestri, poco meno di 2 miliardi per le forze navali, circa 2,4 miliardi per le forze aeree ed inoltre 4 miliardi per la pianificazione generale delle Forze Armate. Se ci si fermasse a questi numeri forse alcune delle lamentele del mondo militare, e di tutte le aree connesse sia politiche che industriali, sarebbero giustificabili. Ma non ci si può limitare a considerare la spesa militare italiana (come fanno in molti, forse per abbassare il rapporto sul PIL a meno dell’1%?) composta dalla sola “Funzione Difesa” che esclude i fondi per i Carabinieri e che per il 2015 si prende la maggioranza della decurtazione.
La ripartizione più interessante è invece ancora quella basata, a partire dai fondi realmente operativi, sulle destinazioni funzionali. Si vede così che al personale viene dedicato un iperbolico crescente 76,5% delle risorse proprie del Ministero (circa 72% se ci fermiamo alla sola “Funzione Difesa”), contro un mero 7% per l’esercizio (cioè l’addestramento e l’operatività) e circa il 13,5% per l’investimento (cioè l’acquisizione di materiali e sistemi d’arma). La percentuale restante è ascritta al già citato trattamento di ausiliaria.
Si desume quindi che il problema ormai endemico, e forse inarrestabile, dello squilibrio verso gli stipendi non si inizia nemmeno a risolvere nonostante le decisioni recenti di ristrutturazione dello Strumento militare. E i motivi di questa paralisi, che non tocca niente delle vere problematiche anche di natura operativa-militare, hanno forse un’origine precisa: dalle tabelle si desume infatti come il costo per gli ufficiali sia praticamente uguale a quello della truppa (e quello per il livello dei marescialli quattro volte superiore ai sergenti!).
Detto questo, fermandosi a questi fondi sembrerebbe davvero che il Governo Renzi sia andato ad operare un taglio consistente sulla Difesa? Ma come potrebbero operare le nostre Forze Armate se i soldi dedicati alle attività ed agli investimenti fossero davvero così scarsi? Il punto è che la realtà è ben diversa. Quello che la Legge di Stabilità toglie da una parte, infatti, può regalare dall’altra. Come dice la stessa relazione introduttiva al Bilancio della Difesa “negli ultimi anni l’output operativo è stato garantito (…) grazie all’afflusso dei finanziamenti aggiuntivi pervenuti dai decreti di proroga delle missioni internazionali”, sottolineando parimenti una problematicità derivante dall’incertezza di tali fondi e dallo sfasamento temporale nel loro arrivo. Ed è forse per questo motivo che arriva in soccorso il comma 12 dell’articolo 17 in Stabilità, che incrementa il “Fondo per le missioni internazionali di pace” di 850 milioni (su 2015 e 2016) in aggiunta ai 49,9 milioni di cui il capitolo risulta già dotato. E stavolta, diversamente dallo scorso anno, i soldi arrivano subito e senza bisogno di un ulteriore passaggio e voto in Parlamento. Operatività assicurata. Mentre invece il meccanismo che attutisce il sensibile taglio sull’investimento passa invece, ancora una volta, dal Ministero per lo Sviluppo Economico: da anni e per effetto di varie leggi (di norma proprio quelle di Stabilità) un numero crescente di fondi è iscritto nel bilancio di quel dicastero ma a vantaggio di scelte (industriali e di acquisizione) favorevoli alla Difesa. Anche per il 2015 nel macro-gruppo di fondi “Partecipazione al Patto Atlantico e ai programmi europei aeronautici, navali, aerospaziali e di elettronica professionale” inserito nella Missione “Competitività e sviluppo delle imprese” trovano spazio 2.819 milioni di euro, con un incremento di oltre 200 milioni rispetto allo scorso anno. In questo grosso capitolo troviamo come al solito finanziamenti per Eurofighter e investimenti aeronautici (1,4 miliardi), per le fregate FREMM (778 milioni più 60 per spese di mutui!), per il programma di blindati VBM e da quest’anno l’irrobustimento (140 milioni) del programma pluriennale per le nuove navi della Marina da oltre 6 miliardi complessivi attualmente in corso di approvazione nelle Camere.
Il totale di fondi dedicati all’investimento (cioè nella pratica a nuovi sistemi d’arma) è quindi di 5.528,2 milioni, in calo di 335 milioni rispetto al 2014. Purtroppo diversamente dai fondi MISE appena citate (che derivano da precise leggi di finanziamento pluriennale) non si hanno ancora, ed è grave, tutti i dettagli rispetto alle spese per i singoli programmi d’armamento. Per alcuni vengono forniti gli stati di avanzamento a fine 2013 (ma come possono i Parlamentari decidere su queste basi?) mentre per altri anche tale dato inadeguato è mancante: addirittura per il programma F-35 mancano del tutte le tabelle! Di questa grava mancanza di trasparenza, soprattutto se consideriamo che i Parlamentari devono votare e decidere in base ai documenti presentati, abbiamo chiesto direttamente conto a varie strutture del Ministero della Difesa. Non ricevendo al momento alcuna risposta.
Tutto sommato e previa conferma parlamentare la spesa militare italiana ammonterà nel 2015 a 23.496 milioni di euro, con riduzione lieve di 131 milioni (o lo 0,6%, se preferite) rispetto allo scorso anno. Il decremento rispetto al 2013 è del 2,65%. Ma tra il 2012 e il 2015 il segno è positivo per il 2,34%. Stiamo parlando dunque di una spesa militare che equivale all’1,42% del PIL e al 3,9% della spesa finale dello Stato.
Non si preoccupino perciò tutti coloro che vogliono sempre più soldi per eserciti ed armi: anche perché oltre ai fondi di partenza alla fine qualcosa in più si trova sempre. Nelle previsioni assestate per il 2014 sono stati infatti ben 600 i milioni ulteriori rispetto alla bozza andata al voto parlamentare: ciò significa che nel 2014 si è in concreto sfondato il muro dei 24 miliardi per la spesa militare. C’è sempre la “speranza” (sicurezza?) che ciò avvenga anche per il 2015, annullando del tutto i tagli tanto sbandierati in questi giorni.
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=4940

 
 
 

L’esperto risponde su… Contachilometri scaricato

Post n°1550 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

937 (Sdc – gen. 2015) – I no­stri esper­ti ri­spon­do­no alle do­man­de più fre­quen­ti dei con­su­ma­to­ri. La do­man­da di oggi è: cosa devo fare se sco­pro che il con­ta­chi­lo­me­tri del­l’au­to usata che ho ac­qui­sta­to è stato “sca­ri­ca­to”?

Il vei­co­lo non è con­for­me al con­trat­to, per­ché il dato ri­por­ta­to dal con­ta­chi­lo­me­tri è un dato con­trat­tua­le; il ven­di­to­re è ob­bli­ga­to a re­sti­tui­re parte del prez­zo (0,4% del prez­zo pa­ga­to per ogni sca­glio­ne di 1000 Km) fino ad una dif­fe­ren­za di 50.000 Km; oltre que­sto li­mi­te po­te­te esi­ge­re la ri­so­lu­zio­ne del con­trat­to, se la sco­per­ta av­vie­ne du­ran­te il pe­rio­do di ga­ran­zia le­ga­le.

Oltre il ter­mi­ne della ga­ran­zia le­ga­le non po­tre­te agire sul fron­te della ga­ran­zia, ma po­tre­te con­te­sta­re un “vizio oc­cul­to”, per il quale il Co­di­ce Ci­vi­le non pre­ve­de sca­den­za, dei ter­mi­ni e ri­cor­re­re al­l’Au­to­ri­tà Ga­ran­te della Con­cor­ren­za e del Mer­ca­to, che ha già se­ve­ra­men­te san­zio­na­to pro­fes­sio­ni­sti per aver ven­du­to un vei­co­lo con il con­ta­chi­lo­me­tri ta­roc­ca­to, in­di­pen­den­te­men­te da chi ma­te­rial­men­te lo ha fatto.

La cor­ret­ta ma­nu­ten­zio­ne pre­gres­sa è un ele­men­to cri­ti­co per la fu­tu­ra af­fi­da­bi­li­tà del vei­co­lo; se non vi viene con­se­gna­to il li­bret­to dei ta­glian­di, dal quale ap­pa­ia che tutti i ta­glian­di pre­vi­sti dalla casa sono stati re­go­lar­men­te ese­gui­ti, il vei­co­lo è molto più lo­go­ro di quan­to si possa pre­su­me­re leg­gen­do il conta chi­lo­me­tri.

Au­to­re: Raf­fae­le Ca­rac­cio­lo
Data: 28 gen­na­io 2015

 
 
 

Ruminanti ed impatto ambientale: problema vero o presunto?

Post n°1549 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

Mi è capitato per le mani un libro di zootecnia del 1910. Nella sua introduzione si parla dell’allora patrimonio zootecnico italiano. Il nostro Paese era popolato da oltre 2 milioni di equini, da poco più di 6 milioni di bovini, circa 2,5 milioni di suini e quasi 14 milioni tra pecore e capre. Non si parla di conigli, polli, e neanche degli animali di affezione cani e gatti. Presumibilmente il numero era relativamente esiguo. I cittadini erano circa 35 milioni.

Dai dati disponibili risulta che in Italia attualmente gli equini sono circa 400.000, i bovini circa 7 milioni, i suini intorno ai 9 milioni e gli ovini sono quasi dimezzati a 8 milioni. Sono enormemente aumentati polli, conigli e tacchini, che nel complesso superano abbondantemente i 600 milioni. Infine i cani ed i gatti sono almeno 10 milioni. I cittadini sono 60 milioni.

È molto diffusa l’opinione che gli erbivori, ed i ruminanti in particolare, siano tra i maggiori responsabili della emissione dei gas “serra” e che quindi la loro presenza dovrebbe essere contenuta. Se così è, il nostro Paese è un fulgido esempio di sobrietà, perché nonostante il forte incremento demografico non ha aumentato il numero di bovini ed ha quasi dimezzato il numero degli ovini. Inoltre i bovini sono allevati con criteri tali da aumentare l’efficienza degli alimenti e quindi ridurre le emissioni di CO2 e di metano. I ruminanti inoltre si nutrono prevalentemente di foraggi e sono scarsamente competitori alimentari dell’uomo.

Da queste elementari osservazioni si può facilmente intuire che, almeno in Italia, appare strano puntare il dito contro gli allevamenti in generale e dei ruminanti (bovini ed ovini) in particolare. Forse bisognerebbe cominciare a ragionare in modo complessivo su quali forme di zootecnia e di agricoltura debbano essere attuate per aumentare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale. Paradossalmente, forse, potrebbe essere utile aumentare il numero di ruminanti sviluppando tecniche di alimentazione tali da ridurre l’emissione dei gas serra.

Per gli altri animali è necessario studiare le possibilità di migliorare l’efficienza nutritiva degli alimenti che vengono somministrati, considerato che per i suini ed i polli una buona parte dei nutrienti ingeriti vengono eliminati per via fecale. In ogni caso, sempre facendo riferimento al nostro Paese, il contributo alla emissione di gas con effetto serra da parte dei ruminanti dovrebbe essere veramente modesto.

Probabilmente era percentualmente maggiore all’inizio del secolo scorso, quando il loro numero era più elevato e le “sorgenti” di emissione erano minori; allora però il problema del “riscaldamento globale” era totalmente inesistente.

Il vero problema è invece l’emissione di CO2 che avviene con la combustione dei carburanti, del carbone e del gas. Forse è giunto il momento di far capire ai cittadini che lo spostamento da casa al lavoro con la propria utilitaria fa più danni all’ambiente di una mucca che se ne sta tranquillamente a ruminare nella sua stalla. (Agostino Macrì,Fonte “Cibo e salute” de La Stampa del 20.01.2015)

 
 
 

Equitalia: '' una azienda privata quando fa comodo e pubblica quando ne ha la convenienza ''

Post n°1548 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

ost n°1 pubblicato il 31 Luglio 2012 da federcontribuenti.it
 

Equitalia lo aveva promesso e ha mantenuto la parola data: da nord a sud è un piovere di cartelle esattoriali. Veneto e Liguria le due regioni flagellate, a seguire il Lazio e la Campania. A Brescia una famiglia che aveva rateizzato nel 2005 il debito con Equitalia nord e dopo aver finito di pagare senza ritardi sei anni di rate, il suo debito, si è vista chiedere dalla stessa agenzia altre 5 mila e 500 euro di interessi o more. Spesso l'agenzia iscrive a ruolo anche i ritardi di un solo giorno. La famiglia ha richiesto l'aiuto della Federcontribuenti; l'ufficio legale fa sapere che sugli estratti di ruolo della famiglia, Equitalia nord ha evidenziato con la biro la voce, '' oneri ''. Il vicepresidente della Federcontribuenti, Marco Paccagnella: “Equitalia è una azienda privata quando fa comodo e pubblica quando ne ha la convenienza. Vorremmo vedere le gare d’appalto per cui gli enti pubblici si affidano ad Equitalia, visto che è una Spa di diritto privato, oppure i bandi di assunzione del personale, visto che è controllata dal Tesoro e dall’inps. In realtà non esistono né i primi né i secondi perché l’ente, che drena miliardi di euro di tasse sulle tasse, tra interessi di mora e aggi vari, si muove in uno spazio grigio tra diritto pubblico e diritto privato”. Va denunciato che spesso Equitalia vince gare di appalto per la riscossione di debiti prescritti per legge, a Salerno ha vinto l'appalto per occuparsi del recupero coatto della Tarsu mai pagata tra il 1999 ed il 2008 pari ad 11 milioni e mezzo di € ma anche delle morosità idriche pari a 4 milioni di € relative allo stesso periodo. Spiega il responsabile dell'ufficio legale di Federcontribuenti, l'avv Fortunato Forcellino, '' la Tarsu va in prescrizione dopo 5 anni, numerose le sentenze della Cassazione in questo senso, quindi, se vi arriva una cartella Equitalia per la Tarsu del 1999 impugnatela, anche se la cartella ha la data di oggi ''. Il nodo delle rateizzazioni. “Sempre più spesso – spiega Paccagnella – le persone che si rivolgono ai nostri sportelli per essere tutelate ci rappresentano una situazione che ha del grottesco: i funzionari di Equitalia non ammettono alla rateizzazione le singole cartelle esattoriali. Se il contribuente su una parte delle posizioni chiede chiarimenti o la sospensione per ricorsi legittimi, la Spa fa correre gli interessi senza dare la possibilità di rateizzare le cartelle su cui il contribuente non ha nulla da eccepire, anche su cartelle andate in prescrizione o per cartelle su cui un giudice si è già espresso in favore del contribuente. Inoltre su molte cartelle periziate emerge usura. Una situazione che non è degna di una democrazia”. Il nodo Equitalia. Attilio Befera,incontrastato imperatore sia in Equitalia Spa, sia in Agenzia delle Entrate, protetto dalla Italpol. Definito un autentico miracolo giudiziario scampato alla lunga indagine condotta a suo carico dal pm della procura partenopea, Valeria Gonzales y Rojero, che per Befera aveva chiesto addirittura l’interdizione dai pubblici uffici. Nel 2009 l'allora Equitalia Polis veniva definitivamente condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di un milione e mezzo di euro, “Nessun dubbio – dicono i magistrati contabili- sul fatto che la concessionaria di riscossione non ha affatto curato con la necessaria diligenza l’organizzazione e il funzionamento del servizio, vigilando adeguatamente sull’attività dei dipendenti”. Compilazioni di verbali attestanti ricerche di contribuenti o di beni pignorabili mai effettuate o effettuate in giorni in cui gli ufficiali preposti agli accertamenti erano assenti. La pm inizia ad indagare anche sul fenomeno delle cartelle pazze: ipoteche su immobili per somme irrisorie e spese a carico del contribuente per la cancellazione dei pignoramenti illegittimi. Abbiamo un caso emblematico a Cava dei Tirreni di cui si è occupata anche la televisione francese. Il reato: abuso d’ufficio nell’attività di riscossione. Quando l'indagine si chiude con la richiesta di rinvio a giudizio per i massimi dirigenti di Equitalia, dove si attendeva solo il pronunciamento del Gip Maria Vittoria De Simone, questa viene promossa e trasferita, sostituita dalla meno esperta Giuliana Polito, che il 26 settembre si pronuncia con l'archiviazione su richiesta dello stesso pm Gonzales y Rojero che aveva in prima istanza chiesto il rinvio a giudizio. L’ente di riscossione negli ultimi anni ha ipotecato o pignorato oltre 426 mila immobili.

 
 
 

IMPRENDITORE RICEVE CARTELLA EQUITALIA DA 30 MILIONI

Post n°1547 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

La cifra si riferisce a presunti reati per i quali è stato prosciolto. Ma la macchina del fisco non si è fermata... [Commenti]


Pamela Bevilacqua

 

Imprenditore spoletino finito nel mirino delle fiamme gialle e della procura, per un contributo comunitario. L'uomo finisce sotto processo per un sospettato giro di fatture false e per vendita fittizia, ma le accuse non reggono. Il tribunale lo assolve in due processi penali. In


contemporanea, l'allora ufficio delle imposte non stoppa la questione sul piano amministrativo e, Pietro, questo il nome del protagonista di questa storia, a distanza di venti anni, si vede arrivare da Equitalia, una cartella esattoriale di 30 milioni di euro. Disperato, decide di scrivere un accorato appello, a Federcontribuenti. "Una situazione da cui non si viene più fuori - sottolinea - che ha distrutto completamente la mia famiglia. Aiutatemi a denunciare l'accaduto prima che commetta un insulso gesto. Non devo nulla allo Stato, anzi, io sono il danneggiato''. Lo spoletino, nel 1995, era titolare di tre società per la produzione, trasformazione, confezionamento e commercializzazione dell'olio extra vergine d'oliva. Decide di chiedere un contributo comunitario che all'epoca esisteva sulla commercializzazione dell'olio. Tutto bene fino a quando riceve un controllo. All'inizio le fiamme gialle sospettavano un giro di fatture false e vendita fittizia e viene rinviato a giudizio. Nei due processi a suo carico però riesce a dimostrare la sua innocenza. All'epoca dei fatti, la guardia di finanza, chiede l'autorizzazione al procuratore incaricato per utilizzare i dati riscontrati per i fini penali, anche per i fini fiscali e amministrativi. L'autorizzazione viene concessa e a Pietro vengono notificati degli avvisi di accertamento da parte dell'allora ufficio delle imposte e Iva. "Dimostrato in sede penale che i capi d'imputazione non sussistevano perché non si è fermata anche la procedura fiscale?". Chiede l'uomo. A distanza di 20 anni, Equitalia ha inviato a Pietro cartella pari a 30 milioni di euro, col conseguente pignoramento presso azienda dello stipendio e presso la banca dove ha un conto da 25 anni. L'ufficio legale della Federcontribuenti si è già mosso ma l'amarezza è molta.". Se per una sezione penale i reati contestati non sussistevano, perché la macchina fiscale non è stata fermata? Un esempio concreto di cattiva gestione della giustizia. Lenta e slegata" chiosa Federcontribuenti.

 
 
 

Fronte Indipendentista unidu: tutti i motivi contro Abbanoa

Post n°1546 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

"Mancanza di trasparenza. Il nuovo Gestore avrebbe dovuto dare immediata comunicazione del cambio agli utenti e informare sulle nuove regole di erogazione e tariffe realizzando una lettura dei consumi al 22/12/2005. Invece gli utenti si sono ritrovati a dover pagare bollette dai costi triplicati
in quanto Abbanoa ha applicato tariffe maggiorate anche per quel periodo in cui il servizio non era gestito dalla società ma era ancora in mano alle varie amministrazioni, configurandosi in tal senso un aumento retroattivo delle tariffe.

- Conciliazioni e Bollette "matte". Abbanoa propone conciliazioni sulle cosiddette "bollette matte" che spesso ammontano a decine di migliaia di euro. Perché per anni non si è provveduto a spedire le bollette ogni due mesi, come da contratto? Poi dopo anni Abbanoa invia fatture da capogiro e sulle stesse propone rateizzazioni con tasso di interesse, nonostante ciò vada contro la sua stessa carta dei servizi. È ovvio che quando si chiede il saldo per nove anni e mezzo di consumi, tutti insieme, come è successo in più di una occasione, i cittadini non ce la facciano. Peraltro: in seguito alla mancata regolarità della fatturazione, sono stati presentati 200mila reclami. La società era obbligata, anche dalla sua stessa Carta di servizi, a rispondere entro 30 giorni e, in caso di inottemperanza, a risarcire gli utenti con 50 euro. Abbanoa non ha fatto sapere nulla in quel mese di tempo, né ha erogato i rimborsi. Bisogna far notare infine una strana coincidenza: la pioggia di fatture esorbitanti è coincisa con la rinuncia alla procedura di fallimento e attualmente il debito di Abbanoa ammonta a circa 900 milioni di euro. - Dispersione Acqua. È inutile gridare periodicamente allarme siccità perché gli invasi sono sotto la soglia di sicurezza quando la metà dell'acqua che dovrebbe giungere alle case si perde nella rete colabrodo. Per stessa ammissione di Abbanoa ci sono punte di dispersione del 70%. Tra i Comuni
con le reti colabrodo, ai primi posti ci sono Cagliari, Sassari, Macomer, Quartu Sant'Elena e Oristano. Di media viene perso almeno il 45% dell’acqua. Ciò non è frutto della fatalità, ma di uno spaventoso ritardo nella programmazione. Sino a quando la rete colabrodo non sarà sostituita da un
sistema efficiente Abbanoa sarà perennemente in perdita e farà ricadere i costi di gestione sulle spalle dei cittadini. Abbanoa esiste da 10 anni e qualcuno dovrebbe pur prendersi la responsabilità di un sistema di infrastrutture idriche da terzo mondo.

-Sospensioni del servizio. Abbanoa applica indebite sospensioni del servizio in caso di morosità, nonostante il diritto all’accesso all’acqua sia considerato un “diritto umano” dalla risoluzione ONU del settembre 2007.

– Acqua non potabile. È possibile che periodicamente l’acqua erogata non sia potabile? Quando sgorga dai rubinetti (perché spesso ci sono interruzioni anche molto lunghe e quasi sempre senza preavviso) l’acqua è marrone o gialla e puzza. Dalle analisi è piena di sottoprodotti della disinfezione. In particolare ciò avviene nel Sassarese.

-Deposito cauzionale. Riteniamo illegittimo il deposito cauzionale richiesto da Abbanoa. A che titolo Abbanoa chiede questo deposito, nonostante operi in regime di monopolio e sia da tempo oggetto di numerosi disservizi verso gli utenti? A questo si aggiungono gli oltre 100 milioni di euro a titolo di conguaglio che Abbanoa vorrebbe richiedere per adeguare la tariffa ai costi di fornitura. Come giustamente sostiene il presidente dell’associazione Giorgio Vargiu “Il deposito cauzionale chiesto da Abbanoa non va pagato, perché è illegittimo”. Si tratta di un vero e proprio balzello medievale che i sardi pagheranno per salvare Abbanoa dal collasso e permettere a questo ente di continuare una politica di sprechi ed interessi clientelari
.
- Abbanoa-Equitalia. Abbanoa si affida ad Equitalia per il recupero crediti senza avere alcuna autorizzazione da un organo giudicante, nonostante le sanzioni Abbanoa continua a procedere con il recupero crediti tramite Equitalia.

- Responsabilità e ipocrisia del Comune di Sassari. Il comune di Sassari è socio fondatore di Abbanoa SpA (l’adesione fu volontaria) e ne possiede il 13,82 per cento del capitale sociale, cioè il secondo socio per peso su tutti i 343 soci di Abbanoa SpA. Da questo punto di vista appare paradossale la proposta del sindaco Sanna di chiedere ad Abbanoa di installare le “case dell’acqua”. Tanto varrebbe ripristinare le fontane pubbliche, magari valorizzandole. La Giunta di centro sinistra è corresponsabile dei disservizi di Abbanoa e deve assumersi la sua quota di responsabilità sostenendo i cittadini e non il management di Abbanoa. Questa sarebbe fra l’altro la scusa per non rimborsare i cittadini per la mancata erogazione di acqua potabile che ormai sta diventando la norma. Il Fronte Indipendentista Unidu sostiene la class action del “Comitato cittadino contro Abbanoa”. Il Fronte Indipendentista Unidu chiede che venga azzerata la dirigenza di Abbanoa dimostratasi incapace di gestire l’ente. Il Fronte Indipendentista Unidu denuncia la connivenza degli amministratori Sassari che è uno dei maggiori azionisti di Abbanoa e che, al contrario di altri comuni pubblicamente esposti, invece di fare valere il suo peso politico all’interno dell’ente per cambiare le cose sbandiera una non meglio precisata propaganda sulle case dell’acqua."

 
 
 

Conguagli Abbanoa, 151 euro a famiglia

Post n°1545 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

Rateizzazione fino a novembre per importi superiori a 40 euro

(ANSA) - CAGLIARI, 22 GEN - Arrivano i conguagli per i consumi 2012 dell'acqua. Lo annuncia il gestore idrico Abbanoa. In media a ogni famiglia saranno richiesti 151 euro. Per importi superiori ai 40 euro sarà possibile saldare in otto rate (media di 18,87 euro) con scadenza tra fine ottobre e novembre, oppure in un'unica soluzione con scadenza tra fine marzo e aprile.
Per agevolare gli utenti, in fattura saranno presenti sia gli otto bollettini per la rateizzazione sia il bollettino per pagare tutto assieme. Per importi inferiori ai 40 euro si potrà invece pagare in un'unica soluzione tra fine ottobre e novembre.
Abbanoa spiega che "come per l'energia elettrica, anche per l'acqua a livello nazionale sono stati disciplinati i conguagli regolatori da parte dell'Autorità per energia elettrica, gas e servizi idrici. L'importo totale richiesto alle utenze è stato deliberato lo scorso 26 giugno dalla Gestione Commissariale Straordinaria per la Regolazione del Servizio Idrico Integrato della Sardegna (ex Autorità d'Ambito)".
Il gestore sottolinea anche che "non si tratta di conguagli retroattivi, ma di una componente della tariffa 2014 che tiene conto del disallineamento tra i costi ammissibili (operativi e per investimenti) sostenuti in passato e gli importi tariffari applicati all'utenza". Le risorse ottenute dai conguagli saranno reinvestite da Abbanoa in interventi nelle reti e negli impianti con l'obiettivo di migliorare il servizio..
Sono ben 52 mila gli interventi di riparazione eseguiti nel 2014 che hanno portato la percentuale di acqua dispersa in rete dal 53% al 52%, con un risparmio di oltre quattro milioni di metri cubi. (ANSA)

 
 
 

ANSA/ Archeologia: Mont'e Prama, ancora tesori dal passato

Post n°1544 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

 

Scoperti nuovi dati grazie a Dna e statua con sandali

(di Marzia Apice)

(ANSA) - ROMA, 21 GEN - Il sito archeologico di Mont'e Prama a Cabras (Or), celebre per i suoi Giganti, continua a restituire tesori e testimonianze dal passato, a dimostrazione della centralità che nell'antichità la Sardegna ha rivestito nel Mediterraneo. Le nuove scoperte, dopo le prime ottenute con gli scavi del 1975 e del 1979, sono state al centro della giornata di studio "I riti della morte e del culto di Mont'e Prama - Cabras" organizzata oggi a Roma presso l'Accademia dei Lincei durante la quale sono stati illustrati i risultati della ricerca "Archeologia di Mont'e Prama". "Abbiamo ottenuto nuovi dati antropologici, grazie a studi sul Dna che quaranta anni fa erano impensabili - ha dichiarato l'Accademico Mario Torelli, che ha proposto il convegno - oltre alle tre classi di età, i pugilatori, gli arcieri e i guerrieri, già identificate, abbiamo scoperto un'altra figura che indossa dei sandali ai piedi: bisogna capire cosa può indicare".
    Elaborato dalle Università di Sassari e di Cagliari d'intesa con la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano, il progetto ha predisposto l'analisi geofisica e delle ortofoto del giacimento e, attraverso nuovi scavi e le tecniche di archeologia del paesaggio, anche lo studio del popolamento umano del territorio nell'antichità.
    "Dalle prospezioni geofisiche abbiamo avuto la conferma che il sito di Mont'e Prama è monumentale, e la sua storia va vista in relazione dialettica con quella dei Fenici - ha spiegato ancora il professore - Le tombe sono accompagnate da segnali: ci sono statue, torri, betili. Attraverso questi scavi possiamo comprendere cosa accadeva in quegli insediamenti, cosa mangiavano le popolazioni, quali attività svolgevano. Questo gigantesco luogo di culto funerario può farci capire se ci troviamo di fronte a una tribù, a un lignaggio o a una famiglia.
    Ma i nuovi risultati danno origine a ulteriori domande, aprono problemi e prospettive che necessitano di studi ulteriori".
    Il sito archeologico si conferma dunque una risorsa che potrebbe essere sfruttata per lo sviluppo del territorio dal punto di vista del turismo culturale. Ne è convinto anche il sottosegretario al Mibact Francesca Barracciu, che ha partecipato al dibattito: "I giganti sono diventati il simbolo della Sardegna forse più dei quattro Mori - ha dichiarato - E' necessario creare attorno a loro un progetto di valorizzazione per incrementare l'indotto economico". Lanciando infine l'idea di "organizzare una ospitalità temporanea di una di queste sculture presso il Quirinale per promuovere la divulgazione di questi beni che appartengono a tutti e non solo ai sardi".
    (ANSA).

 

 
 
 

Famiglia asserragliata: Pili, grave 'esercito' per sfratto

Post n°1543 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

 

Deputato Unidos, Stato usa forza per imporre sistema oppressivo

(ANSA) - CAGLIARI, 22 GEN - "Lo schieramento di cento uomini delle forze dell'ordine per uno sfratto di una famiglia dalla propria azienda agricola di Arborea è un fatto di una gravità inaudita e senza precedenti": lo afferma il deputato sardo di Unidos Mauro Pili che ha annunciato un suo intervento in aula a Montecitorio sulla famiglia che aveva minacciato di darsi fuoco, uscita poi spontaneamente dall'abitazione.
    "Schierare un vero e proprio esercito per sottrarre l'azienda venduta all'asta dopo mille vicissitudini - sostiene Pili - è un fatto che dimostra che lo Stato vuole usare la forza per imporre un sistema oppressivo sia sul piano fiscale che sociale. Per questo motivo ho trasmesso un fonogramma urgente al ministro Alfano per sospendere questa aggressione senza precedenti".
    (ANSA).

 

 
 
 

Famiglia asserragliata: attivista rischia l'arresto

Post n°1542 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da antonello.mureddu

(ANSA) - ORISTANO, 22 GEN - Nell'ambito del blitz delle forze dell'ordine per lo sgombero dell'azienda di Arborea, un attivista, che assieme ad altri aveva cercato di impedire lo sfratto forzoso della famiglia Spanu, è stato portato in Questura a Oristano e rischia l'arresto. Per impedire lo sfratto si era chiuso nella casa e si era legato a una bombola del gas.
    I manifestanti hanno anche bloccato la strada e la volante con l'attivista a bordo per raggiungere Oristano è dovuta passare per percorsi secondari di campagna.
    Sul posto ci sono ancora carabinieri e poliziotti, che ormai hanno preso il controllo della zona e riportato la calma. Nel frattempo sono già arrivati i primi camion del nuovo proprietario cagliaritano, Pino Mossa, titolare di un'impresa vivaistica di Elmas, che ha acquistato l'azienda a un'asta giudiziaria. I suoi operai hanno iniziato a svuotare la casa.
    (ANSA).
   

 
 
 
 
 

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Un blog di: antonello.mureddu
Data di creazione: 19/07/2012
 

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