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“Le colline sono sempre più belle delle case di pietra.

In una grande città la vita si riduce ad un 'esistenza artificiale.

Molti uomini sentono ancora a stento la vera terra sotto i piedi,

vedono ancora appena crescere le piante, eccetto che in vasi da fiori,

e solo di rado lasciano dietro di sè le luci delle strade,

per lasciar agire su di loro la magia di un cielo notturno cosparso di stelle.

Quando gli uomini vivono così lontano da tutto quello che il Grande Spirito ha creato,

allora dimenticano facilmente le sue leggi.”

(Tatanga Mani)

 

Partigiani: ci chiamavano ribelli

 

Birmania libera !

 

 

Qual e' la verita'?

Post n°17 pubblicato il 08 Dicembre 2007 da paolo_54dgl

Dov'e' Osama Ben Laden? Chi controlla le borse, le guerre ed i maggiori traffici mondiali?

Saro' malfidato, ma credo che la maggior parte delle dispute politiche nel mondo sia frutto di intrighi e congiure di palazzo. I mass-media sono un palcoscenico per attori che di volta in volta "convogliano" l'opinione pubblica di questo o quel paese verso certuni indirizzi, attraverso dialettiche invisibili, affinche' la societa' arrivi a determinare, apparentemente in maniera autonoma, quelle decisioni che, invece, molto subdolamente le vengono continuamente inculcate.

Io la chiamo "inoculazione subcosciente subliminale". In pratica e' possibile, attraverso uno stimolo continuo, posto artificiosamente al di sotto della soglia avvertibile, creare delle pulsioni inconsce che, pur non influenzando la sfera cosciente, hanno il potere di concentrare o distogliere l'attivita' del singolo individuo da-in un ruolo predeterminato. Il concetto, attraverso la globalizzazione dell'informazione, puo' essere esteso ad un'ampia parte dell'umanita' e coinvolgere societa' intere, a carattere nazionale e persino pan-nazionale, schieramenti trasversali di enorme impatto culturale.


Qualcuno di voi potra' anche sorridere di queste cose, ed io non ho nessuna prova di quel che dico, proprio per il peculiare aspetto di queste manovre occulte. Ma provate a pensare: cui prodest?

A chi giova la diffusione capillare del terrorismo? A chi giova tenere in vita un nemico inafferrabile e camaleontico di cui si ignora persino l'essere ancora in vita o meno? A chi giova diffondere guerre nazionaliste, secessioniste in quei paesi di enorme ricchezza potenziale, nei quali e' difficile ammansire popolazioni, archetipe d'una vita tutt'altro che consumistica e quindi inaffidabili sia per condotte politiche che per scelte economiche? Facili prede di sovvertimenti improvvisi?
A chi giova tenere in ansia le popolazioni pacifiche attraverso eclatanti e pretestuosi accadimenti al solo fine di giustificare una politica estera dura, inflessibile che finisce per ripercuotersi anche all'interno delle nazioni che la adottano?

Chi puo' trarre vantaggio dal censurare questo o quel comportamento palesemente liberista che alcune societa' occidentali vorrebbero porre in essere? Chi gioisce nel tenere i 2/3 della popolazione mondiale nell'indigenza, nell'ignoranza presupposti d'un facile sfruttamento da parte di fazioni senza scrupoli? E si potrebbe andare avanti per parecchio, ancora...

La risposta e' una sola, esiste al mondo una frangia di popolazione, estremamente risicata in numero di componenti, opulenta ed opportunista, che detiene un potere enorme che esplicita attraverso queste abominevoli "procedure", attraverso l'uso invalso della violenza prima ed in seguito dello sfruttamento, giustificato per mezzo dell'informazione manipolata.

Non un complotto mondiale, ma una sorta di tacito accordo tra i potenti che assume, comunque, i connotati di complotto, ma che e' impossibile smascherare. Il capitalismo, inteso come privato accumulo economico e di potere, sfocia inevitabilmente nella creazione di caste sociali di siffatte caratteristiche, con prerogative tutt'altro che umanitarie, operanti in direzione opposta a quella della difesa della sopravvivenza della specie e del suo scibile piu' nobile.

In tutto cio' rientrano gli episodi eclatanti di tutti quegli omicidi di chi non s'e' fermato davanti all'apparenza, ma ha indagato a fondo, fino alla morte, come ad esempio Ilaria Alpi, Politkovskaia ed innumerevoli altri di cui non conosciamo nemmeno i nomi e cio' che hanno fatto per rendere al pubblico un'informazione trasparente, verita' cristallina. Episodi che non possono essere giudicati, se non storicamente, solo tra qualche decennio, quando le cose potranno essere viste con maggiore obiettivita'. Silenzio e rispetto per le persone, per gli esseri umani brutalmente assassinati, dubbi di manipolazioni dettate da ordini di scuderia per la loro opera informatrice in vita.

E in Italia? Chi tira le fila di questa informazione forzata? Chi trarra' profitto dalle notizie tendenziose e faziose che vengono propinate su larga scala, piu' e piu' volte al giorno, come veri e prorpi psicofarmaci?

Paolo
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Drogati di sicurezza Nichi Vendola

Post n°14 pubblicato il 24 Settembre 2007 da pdci.borgo
 

Drogati di sicurezza
Nichi Vendola

Nelle sabbie mobili dell'insicurezza percepita - che è cosa differente dai dati materiali dell'insicurezza reale - si sta giocando una partita di assoluto rilievo che riguarda la politica, la cultura diffusa, le forme della convivenza in una società sempre più complessa e sempre più inquieta.
I lavavetri sono «eroi del nostro tempo», piccola umanità che la globalizzazione sbalza negli spigoli dei nostri marciapiedi: all'ombra dei nostri sospettosi semafori, armati di secchio e spugna, attentano alla nostra quiete borghese. La guerra ai lavavetri somiglia troppo a tutti i fenomeni di criminalizzazione dei poveri che hanno accompagnato le epoche di transizione: all'alba della modernità europea l'accattonaggio e il vagabondaggio vennero perseguiti come reati. Ognuno può inventarsi la propria idea di insicurezza, il proprio fantasma, il proprio capro espiatorio: con l'accortezza di non soffermarsi su ciò che è più pericoloso, ma su ciò che più infastidisce. La quiete, appunto, e l'estetica, e il sentimento dell'ordine.
Il lavavetri merita più accanimento criminologico del grande inquinatore, del piromane, dell'usuraio, dell'evasore fiscale. Il graffitaro sporca più di qualsiasi palazzinaro. I clandestini sono tutti in agguato sui nostri pianerottoli. E gli zingari comunque «rubano» i nostri bambini, e poco importa che i loro bambini possano essere molestati dai piccoli Klu klux klan leghisti o possano ardere vivi nelle nostre povere periferie.
Quando si sgombera il campo da qualsiasi analisi differenziata di fenomeni distinti e peculiari quali la criminalità, la devianza e il disagio sociale, si imbocca un vicolo cieco. Che non ci spianta solo dai valori della sinistra, ma dai valori minimi della cultura liberal-democratica. E l'ossessione della governabilità s'impenna nella prospettiva di un nuovo blocco d'ordine: questa sembra la svolta che i sindaci di Firenze e Bologna propongono al nascente Partito Democratico. Si tratta di una vera fascinazione per il «sorvegliare e punire», assunto come antidoto darwiniano alla propria crisi, cioè alla crisi di quel «riformismo rosso» che seppe fare del governo delle città un laboratorio collettivo di incivilimento.
L'ideologia securitaria insegue la morte della politica (la politica intesa come autoeducazione e solidarietà) e veste come una panciera elastica l'Italia del basso ventre, dei rancori corporativi e delle fobie; insegue la destra lungo i dirupi delle semplificazioni superstiziose, predispone il terreno per l'edificazione di tanti dissimulati apartheid. Non porta più sicurezza, offre una droga potente che ci fa dimenticare le nostre banali e prosaiche insicurezze quotidiane: quella di 5 morti sul lavoro tutti i santi giorni, quella della precarietà che rimbalza dal mercato del lavoro al mercato della vita, quella di periferie degradate e degradanti, quella di una tv-spazzatura che ha surrogato tutte le agenzie formative, quella delle mafie finanziarie internazionali che da internet precipitano nella locride o nella megalopoli napoletana o nelle campagne pugliesi abitate da antichi schiavi e moderni caporali.
La legalità è il contrario delle rincorse emergenziali e degli stati di «eccezione», non puoi impastarla con la farina del diavolo pensando che venga un buon pane. Se questi pensieri mi fanno essere inadeguato alle funzioni di governo, poco male. Di «radicale» nella nuova sinistra vorrei portare soprattutto il sentimento dell'inviolabilità della vita e della dignità di ciascun essere umano.

(editoriale tratto da "Il Manifesto" del 23.09.2007)

 
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 L'aria (fritta) si fa pesante

Post n°13 pubblicato il 22 Agosto 2007 da paolo_54dgl
Foto di pdci.borgo

Alle ultime elezioni ho votato Prodi per colpa di Berlusconi. Sono andato al seggio con il mio SUV (un fuoristrada di 20 anni che mi occorre per svolgere la mia attivita'). Ho persino partecipato alle c.d. Primarie, versando il famoso euro e votando il compagno Fausto. Il resto della mia famiglia, siamo 3, si e' divisa tra DS e Comunisti Italiani Al seggio mi sono intrattenuto con un manipolo di carabinieri (cosa che ha dell'inverosimile per me!) che raccontavano una storia molto antica.......

Un tempo, una formichina, come tutte le altre, avendo lavorato tutta l'estate, sotto il sole e sotto il coro sfottente ed dileggiante dei corbelli (didimi) del potente clan del cicale si apprestava, nei giorni cupi invernali, a godere del proprio onesto lavoro, sudato per molte ore al giorno, per molti giorni, per tanti, troppi anni, per intere generazioni.

Sul calar delle tenebre, reali e metaforiche, una masnada di cicale che si auto-proclamavano governative si impadroniva dei suoi pochi averi, e di tutti quelli delle altre formichine, attraverso leggi ed imposizioni arbitrarie che la forza bruta dell'antica gendarmeria, un tempo, e dei carabinieri oggi, appunto, faceva e fa rigorosamente rispettare. Così, anno dopo anno, le cicale hanno continuato a cantare e ballare, non solo d'estate, sfruttando il lavoro delle povere formichine che non avevano il coraggio di ribellarsi agli ignobili squadroni del potere, ormai consoloidatisi ed avvezzi a ogni sorta di angheria e di sopruso.

Poi, un giorno, le teste delle formichine, per la rabbia, diventarono rosse, e da allora, essendosi riunite sotto quest'emblema, che raccoglie anche gli arnesi da lavoro, un minimo di equanimita' comincio' ad essere garantita, soprattutto a quegli altri insettini sprovveduti e facile preda delle potenti lobbie cicaliniche. Ora si sta dimenticando tutto questo. Mi sembra che anche a sinistra la solidarieta' cominci a venir sovrastata dal piu' conveniente amore per la poltrona, dalla sete di potere. Forse ci vorrebbe un nuovo '68, visto che i certificati elettorali non hanno utilita' alcuna, essendo persino rigidi e semi-plastificati...

Questo frammento di cronaca e' stato ritrovato su carta di papiro, ovviamente scritto in forma affatto ironica, ma storiografica. Pare risalga al primo periodo monarchico egiziano, quando, ci fu il primo sciopero documentato (e questo e' storicamente vero!!! Da - Vita quotidiana nell'antico Egitto - Cimini) degli schiavi costruttori contro i funzionari corrotti dell'epoca: intervenne l'equivalente del primo ministro odierno. Chi interverra' in quest'Italia fasulla??? Peccato che Tutankhamon non sia piu' qui fra noi...

Paolo
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Merce e lavoro (una specie di poesia)

Post n°12 pubblicato il 14 Agosto 2007 da molinaro

MERCE E LAVORO

Il lavoro è mercificato – si lamenta
qualche anima bella in sinistra apparente.

Il lavoro è mercificato? Non direi.
Alla merce si presta una certa attenzione.
Si cerca di venderla al prezzo più alto.
La merce è ben protetta. Sulla merce
si fanno studi amorevoli. Ci si cura
che la merce sia libera, senza frontiere.

La sua patria è il mondo intero! Della merce, dico.
La sua legge è la libertà! Della merce, dico.

I sacerdoti del tempio del mercato
(nessuno scaccia i mercanti dal tempio – in realtà
nessuno mai li ha scacciati – in realtà
sono loro, da sempre, a costruire i templi
– in realtà da sempre è un mercato il tempio)
officiano i riti dell’adorazione della merce,
recitando le nuove formule eucaristiche:
«È da merce che deriva la parola mercato.
In principio era la merce. La merce è il verbo.
La merce è il padre, il mercato è il figlio,
la multinazionale è lo spirito santo
che procede dalla merce e dal mercato:
con la merce e il mercato è glorificata».

La merce è grande e il mercato è il suo profeta.

Chiesa moschea e sinagoga sono
la stessa merce in tre distinte ipostasi,
sono la stessa sostanza della merce.

Nel contesto di questa nuova religione
(forse neppure così nuova, in fondo),
la moderna religione della merce e del mercato,
mercificare è sinonimo di santificare.

Il lavoro no, non è mercificato.
Il lavoro è merdificato – e così sia.

                                                     Carlo Molinaro


 
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Base USA di Vicenza - Aeroporto Dal Molin

Post n°11 pubblicato il 13 Agosto 2007 da pdci.borgo
 

Per rispondere alla sollecitazione di "Ale" riportiamo le dichiarazioni di Severino Galante sugli ultimi fatti relativi alla base militare USA di Vicenza:

Galante: Vicenza. Inaccettabile che un ambasciatore straniero annunci via a lavori

Ufficio Stampa

Roma 14 giugno 2007

Riteniamo inaccettabile che sia un ambasciatore straniero ad annunciare il via ai lavori della nuova base statunitense a Vicenza. Sarebbe stato opportuno che la questione fosse stata trattata preventivamente dal Parlamento. Fino a prova contraria l’aeroporto Dal Molin è territorio italiano. E’ necessario a questo punto discutere di tutte le basi militari straniere in Italia, convocando quanto prima una conferenza sulle servitù militari, di rilievo nazionale ed europeo, che si potrebbe anche tenere a Vicenza. Del resto tale conferenza è prevista dal Programma dell’Unione. Nel frattempo ogni decisione su qualsiasi installazione militare sul territorio italiano dovrebbe essere congelata.

 
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evvai, alèèèè, che bellezza!!!

Post n°10 pubblicato il 16 Luglio 2007 da pdci.borgo
 

Nella valle di San Felix, l´acqua piú pura del Cile  scorre nei fiumi alimentati da due ghiacciai. Grandissimi giacimenti d´oro, argento e altri minerali sono stati individuati sotto questi  ghiacciai.
Per arrivare a questi giacimenti, sará necessario rompere e quindi distruggere questi ghiacciai, - niente di cosí folle é mai stato concepito nella storia del mondo, (forse si) - e fare due  grandissimi buchi, ognuno dei quali sará grande come una montagna, una per l´estrazione e l´altro per lo scarico della miniera.
Questo progetto si chiama PASCUA LAMA. La compagnia si chiama Barrik Gold.
L´operazione é stata pianificata da una multinazionale della quale é membro George Bush padre. www.barrick.com

Il governo cileno ha approvato il progetto che doveva cominciare giá nel 2006. L´unico motivo per cui non é ancora cominciato é perché i contadini hanno ottenuto una sospensione dei lavori. Se distruggono i ghiacciai, non distruggono solo questa speciale fonte d´acqua pura, ma inquineranno anche i due fiumi, cosí che non saranno piú adatti al consumo sia umano che animale dovuto al cianuro e all´acido solforico usato nel processo di estrazione.

Tra l´altro tutto l´oro che sará estratto verra inviato tutto alla multinazionale straniera e non ci sará nessun guadagno per la gente che vive in questi luoghi.
A loro resteranno l´acqua avvelenata e le conseguenti malattie.

I contadini hanno abbastanza tempo per lottare per la propria terra, peró non hanno potuto usufluire della televisione perché il ministero dell´interno lo ha proibito.

L´unica speranza per bloccare questo progetto è ottenere l´aiuto della Giustizia Internazionale. Il mondo deve sapere quello che sta succedendo in Cile. Il posto dove si puó cominciare a cambiare il mondo é questo.

 
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Indeterminazione, dubbio ed ideologia

Post n°9 pubblicato il 13 Luglio 2007 da paolo_54dgl
 

Esiste un'ideologia pura?
Tranquilli, nessuno studio approfondito sul principio di Heisenberg (mi troverei in difficoltà ed imbarazzo), al limite qualche piccolo richiamo. Mi accingo a considerare il concetto di ideologia ed a cercare di capire se esiste un concetto puro, scevro da ogni dubbio. La mia NON é una pretesa di insegnamento, ma la volontà di apprendimento attraverso il dibattito. La tendenza che sempre auspico nei dibattiti é l'arricchimento dell'idea oggetto del disquisire e non la ricerca della ragione ad ogni costo, poiché, come vedremo, il concetto di ragione é completamente effimero ed in taluni casi privo di senso logico. E qui vorrei invitare altri ad esprimere opinioni senza il timore di essere valutati, etichettati, e prezzati, poiché vi é una verità che oserei definire indubbia: non é importante stabilire da che parte é la ragione né il grado di preparazione di chi la sua ragione protesta, ma ottenere una "ragione ideale" quanto più valida possibile che tenda all'universalità.

Occorre, allora, introdurre il concetto (non nuovo, non credo di inventare nulla) di incertezza, da intendersi non come mancanza totale di certezza, ma come circoscrizione del dubbio. Il principio di Heisenberg dice semplicemente che é impossibile stabilire contemporaneamente con precisione assoluta due parametri fondamentali per le particelle sub-atomiche, quantità di moto e posizione in un dato istante, per via delle perturbazioni che la misura introdurrebbe, cosicché si potrà avere un'alta precisione sulla valutazione di un parametro a scapito della precisione dell'altro o viceversa. Semplice, ma con implicazioni sostanziali: leggi razionali non si adattano alla realtà perché imprecise. Assodato che l'incertezza (il dubbio) esiste, scientificamente provato, passiamo oltre.

Se é vero che il razionale non si adatta alla realtà é altrettanto vero che ciò avviene per carenza di dati da elaborare. Se, viceversa, fossimo in possesso della totalità dei dati che concorrono ad un fenomeno, la legge razionale che ne scaturirebbe sarebbe la rappresentazione fedelissima della realtà stessa (nell'800 si pensava di poter predire matematicamente il futuro e, quindi, di eliminare qualsiasi problema alla fonte). Dunque, sembra una via senza uscita: non abbiamo tutti i dati, saremo sempre nel dubbio. In parte é vero; possiamo però congetturare un dubbio che sia parte di se stesso. Con questa affermazione intendo rispondere ad un primo quesito: dubitare del dubbio dovrebbe significare certezza? No, bensì crea un dubbio più grande poiché se il dubbio esiste non può esservi certezza, essendo la sua negazione.

Potrebbe, però, un dubbio contenerne altri, diciamo, di livello inferiore, non che siano più certi ma che abbiano un'oscillazione rispetto al "vero" più piccola del dubbio primevo. E' questo, secondo me, il grado di incertezza; esso può essere valutato piccolo, medio, grande, enorme etc. in dipendenza del contesto in cui opera o viene misurato.
Prendiamo ad esempio il nostro microcosmo del Forum e le sue idee.

Immaginiamolo come una stanza in cui tutti noi prendiamo posto in piedi. All'inizio siamo tutti nella stanza, tutti da una parte, infatti non siamo fuori della stanza. Tracciamo, ora, una linea da intendersi come una divisione intellettuale su un determinato argomento: una linea-idea. Ognuno si disporrà da una parte della linea, avremo due schieramenti che per la ragione della linea sono divisi, ma per quella più generale del Forum sono insieme. Il grado di certezza di stare da una parte é naturalmente legato al grado di libertà di movimento in una delle due regioni limitata dalla linea-idea.

Continuiamo a dividere la stanza in modo che la linea-idea diventi una rete. Ovvero, condizioniamo sempre più l'idea di cui si deve discutere, approfondendola, alla fine ci ritroveremo in una rete a maglie così fitte da impedirci il movimento. L'incertezza in quel momento sarà massima poiché l'oscillazione dal punto centrale della singola maglia (che rappresenta la certezza), sarà in grado di farci scavalcare una delle linee, quindi lo "stare da una parte" sarebbe sostituito dallo "stare da più parti" nonostante si oscilli attorno ad una certezza. Vi sarà, comunque, sempre una rete così stretta (un'idea così estrema) da isolare ognuno di noi nella propria maglia e, addirittura, in grado di rendere impossibile il posizionare i nostri piedi al suo interno, abbracciando, così, un certo numero di verità diverse tra loro.

Con questo voglio dire che vi sarà, per ciascun individuo, sempre un dubbio che può attestare con la sua esistenza l'impossibilità di stare totalmente o categoricamente da una parte: di essere solo comunisti, solo democratici, solo socialisti, solo liberisti ecc...

Ora, permettetemi una regressione tornando all'oggetto della discussione che era provare l'esistenza dell'ideologia pura. Se la intendiamo rigida nel suo significato e cioè: invariabile nel tempo e nelle circostanze, ci si può senz'altro schierare da una parte dichiarandosi sostenitore di quell'ideologia. Se, invece, teniamo conto dell'impossibilità di collocarsi esattamente in un punto di certezza ideale per via della frammentazione dell'ideale stesso, rappresentata dalla sua intrinseca complessità, lo schierarsi da un lato non ha più significato poiché la realtà implica una notevole mole di dati di cui tener conto: una poliedrica diversità di cui non potremmo non disporre mai nella sua totalità. Dunque ognuno di noi sarà in parte democratico, in parte comunista, in parte socialista e via discorrendo, ognuno in modo soggettivo e diverso e non c'è un'ideologia che ha ragione sulle altre.

Comunque, la diversità non sempre implica contraddizione, infatti, ritengo si possa congetturare l'esistenza di categorie di elementi che nella loro diversità concorrano allo stesso effetto quali cause inscindibili ed imprescindibili che, in tal senso, hanno anche lo stesso scopo. E' questo, a mio avviso, il caso di una qualsiasi ideologia applicata alla realtà sociale.


Pragmatismo.

Senza voler scomodare le filosofie di Peirce e James (per carità!), ho ritenuto di poter ammettere l'esistenza di un ideale comune (di cui ultimamente s'è persa la concezione) nell'area politica di sinistra e quindi attribuire al pragmatismo quel significato che si suole dargli di atteggiamento, e non di filosofia, che privilegia l'azione politica tesa al raggiungimento di fini materiali concreti che, comunque, siano in linea con l'idea fondamentale o, almeno, con l'idea che esprima il convergere delle diverse ideologie, e non il sostituirsi ad esse; quindi l'ho inteso come l'azione "economicamente" più valida per raggiungere l'inevitabile compromesso; meta auspicabile di una coalizione politica più o meno omogenea: l'utilitarismo al servizio dell'idea.

Il concetto è tirato per i capelli, me ne avvedo; ma è difficile comprendere come una coalizione possa nascere ed esistere con ideali diversi al suo interno se non per essere semplicemente contrapposta ad un'altra. La somiglianza tra gli ideali, di fatto, non esiste; ognuno è un tratto a sé stante di logica intellettuale e, tutt'al più, possono avere radici comuni, ma esito diversissimo. La differenza tra le varie ideologie è sempre enorme, nettissima, ed in fondo, credere in un'ideale altro non è che un atto di fede. Ben difficilmente si può trovare una somiglianza seppur minima tra loro; ciò che si può (e si deve) invece ricercare è un'azione comune che conduca, diciamo così, "nei pressi" dell'idea stessa, anche per evitare quel fanatismo, proprio dell'ideologia in generale, che tutti (ed anch'io, s'intende) deploriamo.

Eppure, se ci si pensa bene, l'unica maniera di attuare un'idea fedelmente e totalmente è proprio seguirla ed eseguirla fanaticamente, che sia poi moderata, integralista, estremista, oltranzista, utopica ecc. dipende solo da essa e da come viene etichettata, specie dagli ambienti ostili, ma non da come viene attuata: un ideale moderato non ha meno carica di uno estremista. Certo, non voglio assolutamente giustificare la violenza che li appoggia; se un ideale è violento di per sé lo combatto, e lo combatto contrapponendogli il mio ideale che, nella fattispecie, potrebbe essere reputato un ideale-spazzatura né più né meno di quanto io, alla stessa stregua, reputi l'altro. Quindi, sono pienamente convinto sull'esigenza di ricercare i più svariati compromessi, sempre che questi somiglino ad un chiaro disegno politico che miri ad una idea anche variabile nel tempo, e non ad un continuo cambiamento di rotta o ad un adattamento alla realtà di volta in volta diversa.

Questa mia critica nasce dal voler considerare la programmazione politica non solo un momento diverso del fare politica rispetto agli ideali, ma una sostanziale conseguenza di quest'ultimi che attua l'idea sul piano reale. In sostanza, l'azione può solo seguire l'ideale e non può esistere in mancanza di esso. Né di secondaria importanza può essere considerata l'indecisione dei leader nello scegliere la filosofia trainante: la confusione ideologica altro non è che una mancanza di ideale comune che si traduce in una mancanza d'ideale assoluto, quando non sfoci in una frattura dello schieramento. Inoltre, non sono affatto convinto che un leader debba decidere l'ideologia da seguire per mera esigenza di pragmatismo, queste cose le abbiamo lasciate sempre agli altri che, per impedire l'avvento del comunismo, hanno prodotto le più incredibili alleanze: deve pur esistere una distinzione che ci caratterizzi rispetto al più comodo comportamento qualunquistico.

Se c'è un cambiamento di rotta è la base che lo decide, ossia, si osserva il cambiamento e se ne predispongono i piani di programma, ma senza subirlo: che senso ha un cambiamento programmato? Le idee nascono in tanti modi nelle menti, ma quelle indotte per convenienza hanno più il sapore del plagio. Quando vi siano convergenze d'intenti la coalizione delle forze in gioco è un avvenimento dal tutto spontaneo, senza la ricerca demagogica dell'unione; solo a questo punto l'azione derivante, il pragmatismo appunto, potrà essere studiato tecnicamente dagli "addetti ai lavori".

In sintesi, se la sinistra per restare a galla deve comportarsi in maniera da non essere più tale e deve convincere i suoi stessi sostenitori che sia persino una scelta giustificata preferisco uscire dallo schieramento; preferisco più essere una scheggia impazzita che non venire a patti con la mia coscienza perché la distinzione ideologica è fatto fondamentale! Chissà, forse non avere ideali è la cosa più democratica... ma è possibile? Non è anche questo un ideale?

Dunque, bisogna riconoscere che l'ideologia pura esiste solo come astrazione, NON esiste in concreto e tanto meno come realizzazione di un impianto sociale, cosa che molti politici si rifiutano di ammettere.

Quindi, tornando allo schierarsi da una parte, non si può generalizzare tracciando un unica linea di demarcazione pretendendo che ogni individuo trovi collocazione al di qua o al di là di essa, ma solo immaginando una rete a maglie più o meno larghe potremo avere chiaro il concetto di utilizzo di questo mezzo ideologico applicato alla realtà.

E sarà, comunque, limitativo, sia per la mancanza della totalità dei dati da elaborare sia per la fluidità del cambiamento che, sostanzialmente, modifica non solo la rete suddetta, ma, cosa ben più importante, la logica e le leggi che regolano il nostro valutare la causa che spinge ognuno di noi a collocarvisi. In altre parole, anche se nel tempo non dovessero cambiare le motivazioni di un ideale potrebbero cambiare i nostri metodi per valutarli, quindi ne avremmo una rappresentazione diversa di volta in volta che tenteremo di concettualizzarlo.

Per concludere, dubito di tutto e cerco di spiegare tutto per restringere la mia oscillazione attorno alla certezza, quando non posso allargare le maglie della realtà. Se questo é impossibile e la costrizione ad allargare le maglie di questa rete (accettazione passiva di idee non condivise), che a volte diventa ossessiva, diviene necessità impellente, mi rifugio semplicemente nella fantasia, ciò mi da modo di essere più sereno.

La serenità la intendo quale status della nostra psiche quando la mente conscia ha la certezza (meglio dire, il dubbio minimo) di aver fatto il possibile per limitare l'effetto del dubbio attraverso la conoscenza, poiché tra i valori umani più alti, amore, saggezza, etc. ce n'è uno che li sovrasta e li contiene tutti: La Conoscenza. Ma questa é un'altra storia.....

Paolo

 
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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 11 Luglio 2007 da pdci.borgo
 
Foto di pdci.borgo

"Siamo governati da organismi non democratici"

Parla il Premio Nobel Josè Saramago

«Nessuno di noi ha eletto la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale. Ci troviamo di fronte ad un sistema plutocratico. Sono i ricchi a governare» 

Una presa di posizione durissima, ma affatto insolita, quella di José Saramago durante un incontro tenutosi a Bogotá, al teatro Jorge Eliécer Gaitán, a cui hanno partecipato più di tremila persone. L’occasione è stata una tavola rotonda con la scrittrice Laura Restrepo, in cui si discuteva di letteratura, politica e vita. Da sempre schierato, Saramago denuncia l’uso retorico che si fa della “democrazia”, mentre i governi dei vari Paesi sono controllati da lobbies di potere che impongono, grazie alle proprie risorse finanziarie, i propri interessi. (La Jornada, 11/07/2007)

 

 
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