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ma di cosa parliamo?

Post n°7 pubblicato il 12 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 

Talvolta uso facebook per inviare un messaggio a più utenti, ma anche per tastare il livello della comunicazione giovanile (lo strumento è molto usato dai giovani). Purtroppo spesso è una delusione: tra “cazzeggi”  che riproducono luoghi comuni, post standardizzati o la “rivelazione” di azioni eclatanti compiute dallo scrivente (“Franco si è alzato nervoso” … “Maria si sta scaccolando il naso” …), risulta arduo rintracciare una comunicazione profonda. Sembrerebbe che la potenza dello strumento [con due click ci si può mettere in contatto con l’altra parte del mondo] non riesca a stare al passo con la sua finalità [instaurare una comunicazione]. Lo strumento ha prevalso sul fine: l’estensione della comunicazione ha avuto il sopravvento sulla sua intensità. Anche se sono individui che scrivono, ciò che si legge sembra tutto impersonale, nulla a che fare con la singolarità dell'esistenza, con la sua interiorità; esteriorità, leggerezza, immediatezza impulsiva, banalità della chiacchiera che corrode ogni dialogo. Scrive Heidegger: “Nell’uso dei mezzi di comunicazione pubblici, ognuno è come l’altro. Questo essere assieme dissolve completamente il singolo esserci nel modo di essere ‘degli altri’, sicchè gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità e determinatezza. In questo stato di irrilevanza e di indistinzione il Si esercita la sua tipica dittatura. Ce la passiamo e ci divertiamo come ci si diverte; leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come si vede e si giudica; troviamo scandaloso ciò che si trova scandaloso. Il Si, che non è un esserci determinato, ma tutti (non però come somma), decreta il modo di essere della quotidianità… La medietà sorveglia ogni eccezione. Ogni primato è silenziosamente livellato. Ogni originalità è dissolta nel risaputo, ogni segreto perde la sua forza. La cura della medierà rivela una nuova ed essenziale tendenza dell’esserci: il livellamento di tutte le possibilità di essere….”. Alla dittatura del Si [all'omologazione] ci si sottomette perché è tranquillizzante fare e comportarsi come generalmente “si” fa e ci “si” comporta. E’ il vivere della quotidianità in cui si riduce il più possibile l’eccezionale, il diverso, per uniformarsi a quel modo d’essere che è “in generale”. E’ possibile auspicare che la comunicazione d’esistenza [il rapporto empatico fatto di ascolto autentico e di parole significative] abbia il sopravvento sull'uso superficiale dello strumento? Trovare un po’ di post intelligenti, divergenti, insoliti, originali su network come facebook sì che "il colloquio - come dice Gadamer - possieda una forza trasformatrice e lasci in noi qualcosa che ci ha cambiato" ?

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