Creato da m_de_pasquale il 05/10/2009
"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
 

 

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dioniso contro il crocifisso

Post n°20 pubblicato il 05 Novembre 2009 da m_de_pasquale
 

Grande scalpore sta producendo la sentenza della Corte di Strasburgo sulla questione dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Questi i fatti. Nel 2002 due genitori di Abano Terme chiedono al Consiglio d’istituto della scuola frequentata dai loro figli di non esporre il crocifisso sul muro dell’aula scolastica nel rispetto della laicità dello stato e della Scuola pubblica. Il Consiglio d’istituto respinge la richiesta. I genitori ricorrono al TAR contro il Consiglio d’istituto: il Tribunale Amministrativo, pur definendo non infondate le motivazioni dei ricorrenti, rimette la questione alla Corte Costituzionale. La suddetta Corte rispedisce il ricorso al TAR perché non ha competenza nel dichiarare incostituzionale un regolamento: infatti l’esposizione del crocifisso è definita da un regolamento (non una legge) e pertanto non è sottoposto a giudizio di legittimità costituzionale. Il TAR del Veneto respinge, quindi, il ricorso che, successivamente, viene portato dai ricorrenti al Consiglio di Stato il quale, a sua volta, lo respinge perché il crocifisso “esprime valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”. I genitori non si arrendono e ricorrono alla Corte Europea di Strasburgo che ha emanato nei giorni scorsi la discussa sentenza: la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è "una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni". Io continuo a pormi ingenuamente, ma credo con buon senso, la domanda: che c’entra il crocifisso (simbolo religioso) con un’aula scolastica (che non è una chiesa o un luogo di culto) dove si fa e trasmette cultura? Il crocifisso è un simbolo “scandaloso” perché chi pretende di essere Dio appare come un essere umano povero, umile e sofferente. Kierkegaard riflettendo sull’inno contenuto nella Lettera ai Filippesi di Paolo [“ … Rinunziò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo tra gli uomini … fu ubbidiente sino alla morte, alla morte in croce”] scrive:  “Lo scandalo nel senso più stretto, lo scandalo kat’exochén si riferisce all’ Uomo-Dio […] quando lo scandalo è in direzione dell’abbassamento, nel senso che colui che è Dio è quell’uomo umile che soffre come un umile …  impotente, il quale, nel momento di passare ai fatti, si mostra assolutamente incapace di tutto”. Nella polemica di questi giorni il crocifisso da scandalo in senso kirkegaardiano, viene brandito come un’arma politica: stride il contrasto tra la debolezza della croce e l’uso arrogante e violento che si fa di essa. Simbolo omologante per la chiesa (di una parte di essa) e i suoi baciapile politici (quelli che alla luce del giorno moraleggiano, e poi di nascosto fottono minorenni e pippano) per controllare meglio masse uniformate,  viene presentato come un fattore importante dell’identità di una nazione. Ma si può fondare un’identità collettiva (ammesso che sia possibile oggi) su una tradizione religiosa che nella pratica degli italiani spesso è solo una formalità che ha perso il carattere scandaloso, di contraddizione, di paradossalità che evidenziava Kierkegaard? Più che di identità, non si dovrebbe parlare di senso di appartenenza che rende stabile una società, il quale è rafforzato dall’aumento della solidarietà? La solidarietà non si acquisisce quando esiste un impegno concorde nel garantire a tutti i suoi membri libertà ed uguaglianza, rimuovendo tutti gli ostacoli per i quali tanti cittadini non sono uguali e liberi come recita l’art. 3 della nostra Costituzione? Scrive Stefano Benni: “Quanti cristi inchiodati a una sedia o a un letto la gente scavalca, per inchinarsi a un cristo di legno. Quanti sacrifici dimenticati, per ricordarne uno. Se mi facessero entrare in una chiesa, griderei: smettete di guardare quell’altare vuoto. Adoratevi l’un l’altro”. Pertanto ha prodotto più danni alla solidarietà - sociale, politica, economica - l’approvazione dello scudo fiscale che quella che potrà produrre l’eventuale rimozione dei crocifissi! Ed allora si comprende che la posta in gioco – mai dichiarata - che infiamma l’anima di tanti prelati e politici non è tanto l’identità (cristiana) di un popolo, ma il mantenimento del potere di una certa chiesa sulla società italiana: che miseria quando si pensa ai temi che impone la riflessione sul dolore e la morte insite nel simbolo del crocifisso! Il crocifisso nella tradizione cristiana sintetizza la funzione del dolore nell’economia della salvezza: il dolore è la conseguenza di una colpa originaria che chiede riparazione, ma esso concorre, anche, alla redenzione e alla salvezza spostata in un’altra vita. Nietzsche chiude Ecce homo con una frase sibillina “Dioniso contro il crocifisso…”  non nel senso di opporre la gioia al dolore, ma nel senso di opporre la vita [Dioniso] – che riconosce la necessità del dolore e della morte come suoi momenti - ad una vita [crocifisso] che, rifiutando il dolore e la morte, aspira ad una da cui è bandita la morte. Scrive Nietzsche: “Dioniso contro il “crocefisso”: eccovi l’antitesi. Non è una differenza in base al martirio – solo essa ha un altro senso. La vita stessa, la sua eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la distruzione, il bisogno di annientamento. Nell’altro caso il dolore, 'il crocefisso in quanto innocente' valgono come obiezione contro questa vita, come formula della sua condanna. Si indovina che il problema è quello del senso del dolore: del senso cristiano o del senso tragico”. Si scontra il senso tragico del dolore col senso cristiano. Per la tradizione greca il dolore è costitutivo della esistenza; e questa circolarità della vita con la morte è colta dalla coscienza tragica. Ed allora il problema non è quello della contrapposizione tra vita e morte [la nostra vita individuale che vorrebbe essere eterna, ma è segnata dalla precarietà della morte], ma tra vita della natura (che per vivere esige la morte delle singole esistenze) e vita della singola esistenza (che per vivere deve allontanare la morte). Se una riflessione sul crocifisso ci porta a tali pensieri sul dolore, la morte, la vita, non gli si rende un cattivo servizio se viene brandito come un’arma per mantenere il controllo sociale?

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