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il tutto avvolgente di Anassimandro

Post n°5 pubblicato il 09 Ottobre 2009 da m_de_pasquale
 

 

Oggi con i ragazzi di terza abbiamo studiato Anassimandro (“Principio di tutte le cose è l’àpeiron che comprende in sé tutte le cose e a tutte le cose è guida.”).  Nella discussione ci siamo soffermati sul termine principio (archè): come intenderlo? Noi occidentali, cresciuti in una cultura cristiana e poi tecnico-scientifica, affibbiamo a questo termine il significato di causa. La relazione di causa, introdotta dalla ragione, ci ha liberato dall’angoscia e dalla paura perché ha messo ordine nel mondo: un fenomeno fintanto che è ignoto ci fa paura, quando scopriamo da che cosa deriva rientra sotto il nostro controllo. Tutte le cose nel momento in cui soggiacciono alla relazione di causa sono sottoposte alla nostra disponibilità: la categoria della utilità (a che servono?) determina il senso delle cose [il denaro completa l’opera perché consente l’appropriazione/utilizzazione delle cose]. Dio ci rassicura perché è la super-causa di tutto. La scienza non ha ragionato diversamente dalla cultura cristiana facendo della relazione di causa l’ossatura della fisica. Anche Dio – sebbene sia definito l’essere – è diventato un ente (super-ente) ed in quanto tale noi ne disponiamo. L’apeiron di Anassimandro parla, invece, un linguaggio precedente alla nostra riduzione di tutto ad ente: parla il linguaggio dell’essere. Esso è l’inesauribile, l’infinito, è ciò che abbracciando fornisce l’essere alle cose. Non è la causa trascendente (come Dio) esterna al mondo, ma è una trascendenza immanente perché l’essere essendo onnicomprensivo consente l’accadere dell’ente ma non si identifica con esso: quando appare l’ente, l’essere indietreggia e scompare (una presenza che si annuncia nell’assenza) lasciando l’apertura e non rinchiudendo l’orizzonte in quello della utilizzabilità. Dovremmo ritornare a questo linguaggio per guarire dalla smania del possesso.

 

 
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