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tutte le verità sono ricurve, il tempo è un circolo

Post n°43 pubblicato il 07 Marzo 2010 da m_de_pasquale
 

Perchè quando siamo felici il tempo scorre velocemente e quando soffriamo lo stesso tempo scorre lentamente? Perchè quando siamo in ansia il tempo non passa mai? E perché siamo rapiti da un senso di struggimento quando ricordiamo episodi del nostro passato? Cos’è il tempo? La difficoltà nel definirlo dipende forse dal fatto che scorre e ciò che è mobile è difficilmente oggettivabile? Già Agostino nelle sue Confessioni prospetta il problema: “Che cosa è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so: eppure posso affermare con sicurezza di sapere che se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro: se nulla esistesse, non vi sarebbe un presente”. Probabilmente la famosa definizione di Platone contenuta nel Timeo (“immagine mobile dell’eternità”) vuole rappresentare il mistero del tempo che coniuga divenire con stabilità. E non è che questa difficoltà si sia risolta col progredire del pensiero se ancora Husserl nel secolo scorso può dire: “Naturalmente, cosa sia il tempo, lo sappiamo tutti: è la cosa più notoria di questo mondo. Tuttavia, non appena facciamo il tentativo di renderci conto della coscienza del tempo, di porre nel loro giusto rapporto il tempo oggettivo e la coscienza soggettiva del tempo, di renderci comprensibile come l’oggettività temporale, e quindi l’oggettività individuale in genere, possa costituirsi nella coscienza soggettiva del tempo, anzi, non appena tentiamo di analizzare la coscienza puramente soggettiva del tempo, l’importo fenomenologico dei vissuti del tempo, ecco che ci avvolgiamo nelle più strane difficoltà, contraddizioni, confusioni”. Allora il profilo  problematico è nell’incontro tra il tempo oggettivo e la coscienza soggettiva del tempo, tra il tempo dell’orologio che scorre implacabilmente e il tempo interiore che in ciascuno di noi si svolge in modi radicalmente diversi nella misura in cui siamo lieti o tristi, interessati o annoiati, angosciati o stanchi, allegri o disperati. Precisa Borgna che “questi diversi stati d’animo, queste situazioni emozionali diverse, trascinano con sé una diversa coscienza soggettiva del tempo: frenandolo o accelerandolo, inibendolo o facendolo precipitare in caroselli tumultuosi”. Le emozioni che proviamo contribuiscono alla particolare esperienza (durata, qualità …) che facciamo del tempo: è un tempo vuoto di attese e di speranze quando siamo pervasi dalla noia; il futuro è assente ed il nostro presente è risucchiato nel passato quando siamo malinconici; il passato, il presente e il futuro si fondono e confondono nell’angoscia; il futuro è ambiguo e dilemmatico quando siamo sospesi nell’attesa; mentre è aperto e luminoso quando siamo pieni di speranza. C’è un’ulteriore considerazione possibile stimolata dal pensiero di Agostino quando riflette sulla non esistenza del passato e del futuro: “Futuro e passato non esistono; impropriamente si dice ‘tre sono i tempi: il passato, il presente e il futuro’. Più esatto, sarebbe dire ‘tre sono i tempi: il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro’. Queste ultime tre forme esistono nell’anima, né vedo la possibilità altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l’intuizione diretta, il presente del futuro è l’attesa”. Siamo consapevoli del divenire (dello scorrere implacabile) del tempo quando mettiamo a confronto il passato col presente, il futuro col presente: rendendo presente il passato attraverso la memoria cogliamo la tensione tra ciò che è stato e che non potrà più essere; rendendo presente il futuro con l’attesa cogliamo la tensione tra ciò che potrebbe essere e che non è ancora. La tensione è dialettica tra due poli e la dialettica è il segno della vita; ma la tensione deve esprimersi nel giusto equilibrio tra i due poli altrimenti la dolcezza della nostalgia (nostos=ritorno e algos=dolore) provata perché si è reso presente il ricordo del passato attraverso la memoria potrebbe diventare depressione; e l’attesa vissuta perché si è reso presente il futuro potrebbe diventare angosciante dato che si aspetta nell’inquietudine qualcosa che non si conosce. Insomma il vero tempo, quello reale, che viviamo è il presente: “Ed anche l’ora si svolge in istanti fuggitivi; quello volato via è passato, quello che gli resta è futuro. Se possiamo farci un’idea del tempo, quel solo punto si può chiamare presente che non si può più suddividere in particelle, per quanto piccolissime: ma anche quel punto trasvola così rapido dal futuro al passato, da non avere estensione alcuna di durata” (Agostino). Il presente è il punto fermo che deve relazionarsi nella giusta misura con passato e futuro, prodotti della nostra immaginazione. Esso deve acquisire una centralità per vaccinarsi dalla depressione e dall’angoscia. Probabilmente se la concezione lineare del tempo introdotta dal cristianesimo (dove il futuro è privilegiato rispetto al passato e costituisce anche il senso del presente) si lasciasse fecondare dall’annuncio nietzschiano dell’eterno ritorno all’uguale (dove in un’ottica circolare il futuro non è altro che la ripresa del passato e dove il presente non ha bisogno di trovare un senso esterno), “l’attimo” acquisirebbe una centralità tale da farci desiderare di vivere con gioiosa accettazione il presente in tutta la sua tragica bellezza. Solo così l’uomo potrà sopportare a dirla con Nietzsche il peso più grande” di accettare e vivere gioiosamente il suo presente con tutte le sue gioie e i suoi dolori. Non si “getterebbe a terra digrignando i denti” all’annuncio che “questa vita che vivi adesso e che hai vissuto, dovrai viverla ancora innumerevoli volte; e non ci sarà niente di nuovo, in essa, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro e tutto quello che in essa c’è di indicibilmente piccolo e grande deve tornare”. Non voler nulla di diverso da quello che è.

 
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