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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE E POETA MODERNO

Post n°8 pubblicato il 08 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

LADRO DI SABBIA

(concerto in rima 1986 - ’91)

 

LA CHIAVE

Ladro di sabbia,

e i sassi raccolsi dal greto

in proda alle cascate…

ogni ciottolo un’idea.

Li presi con me,

da specchio mi fece il torrente:

polvere sulla mia giacca di fustagno

e voglia che mi lessi in viso

di riscoprire il presente…

o prendere al tramaglio

- Dio volesse! -

i giorni di ieri e di domani.

Rete a lungo strascico la Vita

in un mare di rena

là dove un cannone di cemento

non può sommergere i grani

a volo cieco verso la Follìa!

Trepida corsa

come ogni fune dietro alla sua vela,

scaglia di rupe all’universo,

ladro di sabbia a scalare il suo cielo.

 

COS’ ALTRO LA VITA?

(favola agreste)

"Rimarrà la Vita?"

Fu questa la domanda inquieta.

E la Quercia,

fra i giovani lecci e le piante venute di fuori,

parlava in orchestra:

ma sudicio e bianco,

uscito da insolite bufere,

un giovane pioppo

(il più alto e più bello)

con foga intervenne

come ai tempi addietro…:

"Donna ritrosa, fiera selvaggia da prendersi a covo,

cos’altro la Vita?"

Qualcuno degli altri…veloce insinuò le parole…

Samàra, la Vergine-olmo,

eterea,

in ali di mantide pia,

fidata al suo vento

e di cielo compresa,

umilmente propose,

in parlare di foglie…:

"Cos’altro la Vita?"

Su fuso girevole - disse -

una guglia di filo

(e un laccio inatteso la stringe)…

lei fugge per chine di verde

verso altre sponde lontane

(impercettibile filo!)

e nella corsa quel filo

s’inerpica strano

su alberi, muri, scogliere…

in nodi ogni tanto s’intriga,

ma rapida poi si distriga e si scioglie

(un cappio ne mozza il respiro!),

le piante, posandosi, imbriglia…i fiori e le foglie

a proteggere il creato,

e poi si scompone per ricomporsi di nuovo

in un’incredibile realtà:

l’ordito e il ripieno del Vuoto."

Il Pioppo…annoiato commentò:

"Banalità prolissa!" -

e un leccio si aggiunse a quel coro:

"Inspiegabile enimma…l’esistere umano."

 

CONFESSIONE UDITA

 

(al campo dei Cerri)

Samàra, la Vergine-olmo alla Quercia:

"Tu che sei giovane da secoli

e incredula ti fingi (anche dell’Ippocastano

che per il campo frascheggia

e fa pompa di sé

tra le foglie

da finto suicida…)

puoi dirci a chi credi,

e se credi a qualcosa, veramente…

oppure, superba!…

se credi solo a te stessa?"

L’Arcavola punta nel vivo,

spronata dal Vento,

dette un diluvio di parole:

"Ecco a cosa credo io,

volete saperlo?

imbranata gioventù,

camporaioli,

sterili piante senza fede,

oliandoli a riposo…crederei…

Io credo alle radici

che in cielo diramano radici

e affondano nel fango…

agli dei d’ogni pianeta credo…

purchè in buona fede,

all’altra vita credo,

agli eletti…

credo al loro dio…

mi affido ai mari,

al ceppo da cui venni,

credo perfino ai manigoldi

se in tempo si ravvedono…

ai più scriteriati

se morire seppero…

credo agli uomini grandi

che piccoli si credono…

ai meno previdenti

che si affidano…

a chi si fa credere al prossimo

quello che è…

Non credo alle bugìe degli altri

(piuttosto alle mie!)…

credo all’Impossibile

che si fa vero…

credo a me stessa

(alle Cascate, forse?),

alla Malinconia,

di guardia alla gioia sfrenata…

Perché non credere ai sensi, allora?…

che ti avvisano del Bello,

della Carità, del Bene…

alle cose più tremende credo,

veloci e cupe come temporali…

credo all’armonia

che disaccordo non è…

credo alle cose più vive,

l’amore, la poesia…

alle cose più semplici credo,

a voi del campo, alle Spighe…

a ciò che amo veramente

e ieri ho smarrito per via…

Credo a quanto mi resta da vivere

e amando rivivrò…

 

VAGABONDA FEDE…

(magico "epilemma")

Vagabonda Fede,

se il Nulla può esistere da solo,

senza Dio,

rinnega l’anima…(in fondo che vale?),

ma non tacermi di là dalle tombe la tua verità

per non saper che dire…

Piccola o grande che tu sia (nascosta qua e là)…

dai la tua voce a un trovatello,

ed éi risponderà…Voglio saperlo!…

se tu quel giorno a prendermi verrai

dritta…e in ala di luce senza più ombre,

quasi alle soglie d’inattesi cieli…

Figlia dell’Indugio non fui mai, vengo da te!…

Inganno che mi fai, rovescierò il creato,

e un calcio darò a ogni scienza possibile!…

Vivere senza pensare (questo il mio "credo"),

godere in attimi il vuoto,

il mio secondo sangue se ce l’ho,

i voli curiosi a cavallo ai pianeti, la mia libertà!…

Bigotta, ruffiana!…Ecco cosa sei!…

(?…)

Perdonami!…Ero gelosa d’ogni cosa bella,

odiavo chi spenge di noia la vita,

o rovina le città,

i boschi, la natura, l’umano progresso…

Ben vengano gli altri a corteggiar la Pace,

ma chi si fida più? (Ruffiani, bugiardi smisurati!…)

Varrebbe il Sole che invecchia e non muore

in archi di parabola sul mare

a spiegarci l’esistere dei mondi, la nascita, la morte?…

Oh, la mia storia non finisce qui!

Rimani pure, o Fede, a recitar te stessa,

l’Ombra carceriera fosti…(e il merito a chi va?…

d’essere il Mossiere più unico che raro

dell’Immortalità?)!…

Il Credere va sulle acque a piede asciutto, vero?…

e dai gangheri usciresti, bella mia,

se ora ti dicessi: "Non è cosa semplice."

Lo scandalo fortifica! E adìrati, o Fede,

rivòltati, strabalza, fa’ pure come vuoi…

(?….)

sott’altro cielo, impiccati!…Ma credo.

 

ALIDÀDA, l’enimma

(torneo di liriche 1988)

LA CHIAVE

 

Su fondoscena di stelle

un uomo qualunque,

Beniamino Gaudeamus,

volle inventarsi un torneo

da empire gli spazi alle nubi.

Cavalli…si chiamarono le Idee,

salite in gara dal Nulla:

immagini, versi, poemi

che dessero voce all’infinito.

E mèta fu "ALIDÀDA"

(in arabo "traguardo", fine).

Chi il termine sfiorasse

avrebbe colto lassù…

l’ambito lauro della Poesia!

Beniamino si scelse un padrone

(di strada lo prese)

che avesse la tempra d’un dio,

la spada cingesse,

corazza fin sotto le reni…

(dio Kappa!…)

e nuvole pazze cavalcasse

al grido solenne di…"ALIDÀDA"!…

simbolo nell’oscurità.

 

AL VALICO DEL SOLLEONE

Soave Umidità,

intrisa d’azzurro e di fresco,

pallido genio

che salvi dalla calura e dall’astio

la terra…

e sveleni l’amara Speranza

di nostalgie…

no, non andartene di qui!…

Pigra di sensi,

ritròvati!

e in margine al fiume

solleva le messi

riarse.

Vi hanno frodato sul nascere,

giovani Spighe,

abbandonate al suolo…

Avanti che venisse l’Ombra

la vita vi toglieste,

orripilate!…

povere Spighe,

rifiutando il mondo

come v’era apparso:

misterioso, turpe…

oscena ballata in controfuga

(il Bene col Male)

nel perno di macchine avverse.

Fatale ironia, controsenso.

Chi se non Dio vi permise

(voi così belle!)

quel lento suicidio

al vàlico del solleone?…

L’una di seguito all’altra,

vergini Spighe,

il capo chinaste al destino,

desiderando la Falce.

Ricordo.

Il Mare amavate, lontano…

e il fiume era secco.

I lidi costieri, e l’acqua morta,

indietro vi trattennero…

il Cielo di bronzo

risparmiò le lacrime…

L’orrido ballo in controfuga

mosse le febbri malsane

a ribellarsi a Dio!

Fu macabra danza in palude…

i vecchi Licheni accusarono se stessi:

aveva vinto il Fango,

e una lacrima colmò l’Eternità!……

………………

Finalmente il Cielo pianse,

tanto a lungo pianse

quanto era durato il suo silenzio,

la sua pena.

E l’Onda ruppe i lidi…

soave, beata Umidità!…

Per un gesto d’amore, infinito,

le Spighe rinacquero ai solchi.

E l’Attesa fu come quell’augure

in un cielo tutto suo…

 

 

 

 
 
 
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