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Post n°102 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
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Post n°101 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
NON LO SANNO PIÙ FARE Imita, il nuovo cinema, la vita e crede di rappresentarla. Non recitano più e vanno, i dialoghi, per conto loro, a rotoli di intelligenza fritta. E inerti e sciatte le scene, sempre un po’ gonfie troppo e prolisse. Davvero bene diceva la Lollo che, un tempo, "ci faceva sognare". Adesso storcono il naso i giovani al bianco e nero. Io ancora come una ricchezza covo Capitan Blood, Beau Geste, Quai des orfèvres. IL MESSAGGERO DELLE GALASSIE (a Italo Calvino) Di una inconsumabile materia, uno di quei tuoi uccelli tutti osso e becco, pure gli occhi… Era questa, non so perché, da sempre la mia idea che tu fossi. Così - fosse quella balbuzie, o la finezza superiore - adesso non mi è d’impaccio immaginarti nella morte non quale la si disse, ma, con quel sorriso automatico sulle mascelle afflosciate, e le palpebre anche, da qualche parte ancora instancabile in viaggio ad annotare vive le meraviglie e a crearle dentro il nero pneumatico di un volo. LA LOSANGA DI SOLE Luminoso mattino, e azzurro. Lì, a sinistra, una losanga gialla di sole. Se anche l’aria appena più fresca, l’inizio delle "Lettere da Capri". Tanta desolazione da che, sabato, Mario Soldati se n’è andato e sembra d’un tratto mai esistita quella sua curiosità ecumenica: le farmacie notturne, i "pezziduri", quella furiosa alacrità capace di rinsanguare i luoghi, dare un senso credibile alle cose, che pareva non dovere finire. E questo vento freddo, la gente in fretta che va, più povera senza saperlo… Ma, allora, di dove (e perché mi rincuora?) così assurdo il pensiero che non era, in quell’esatto punto, diverso il sole nei suoi anni: cara sterminata voragine che una serie di foto in bianco e nero adesso ci rimanda: la Valli sul set di un film poi mai distribuito, e altre. E altre… Anche lui lo sapeva, che non perdeva un minuto di vita, che il presente ha ragione, che erano perfino le onde di Tellaro un ultimo prestito alla passione: qualcosa prima di lui, qualcosa dopo.
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Post n°100 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Da "Donne, ancora" LA DONNA CHIMERICA Dal basso dell’emicrania il suo fascino è prova flagrante che non può più finire, persuade a preferire che rimanga a tarlare all’ipotesi (ragna, incubo, rebus) di muovere domani alla conquista. UN ALTRO SOGNO Nera, ma rada e corta sulle guance lattee, Sonia aveva la barba. Me ne accorgevo solamente dopo averla cinta alle spalle guardando, giù da una balaustra, una partita, credo di pallanuoto. Ma non era, il mio, dentro tutto quel chiaro, un ribrezzo. Piuttosto il cruccio di non potere più stringere come una volta quei suoi seni unici dai capezzoli acini, sgranati, spalmati, anzi, sopra e sotto. E c’era poi la questione più importante: la sua dolcezza. Quella non potevo - e il visetto dolcemente concavo - a nessun costo accettare di perdere. LA TARDA SESSUALITÀ Questa quota di desiderio realizzabile a costo del ridicolo. Ma dove c’è gusto, dicono a Napoli, non c’è perdenza. E, allora, ben venga la finalmente e davvero solidale creatura senza punte, dimentica per una volta di sé e a te solo votata non per soldi: puttana per dolcezza.
DONNA DI MEZZ’ETÀ Persa l’eternità con l’onniscienza, l’ubiquità, la non appartenenza, non più regina di qualcuno, ora persona finalmente democratica. LA MUSA INQUIETANTE Nel sogno Alessia (credo, almeno, lei, talmente dirupati i lineamenti, annacquati, e anche il tondo dell’occhio, come qualcuno avesse urtato al gomito chi, in inchiostro di china, lo formava): "Ma lei è un uomo pericolosissimo" sibilava con odio e paura, stringendo gli occhi e scostandosi. Io trasecolavo. Sapevo di non avere mosso un dito, dopo, per ritrovarla. Ma, allora, che altro? E soprattutto, cosa di così insopportabile le avevo fatto, soltanto col glorificarla? LA CITTÀ SPIETATA La brutta ragazza mostra l’ombelico. È suo diritto. Ma fa peggio, perché subito scatta malevolo lo sguardo al naso da faina, alla bocca da lepre e così cassa la realtà di quel tondo. Così, nella città d’oggi, spietata, vendica la bellezza ogni indebito assalto ai suoi emblemi, preserva a possibilità di pieno anelito. NUDO La diceva d’argento, certo indebitamente (e infatti, subito, di rame) immaginandola. Ma così, rame o argento, i suoi occhi, la pelle, i capelli perfino, e i denti, come alonati dal tutto, solo la presagiva. E, quel colore, uniforme, spruzzato meticolosamente giù giù dal filo della schiena fino sopra i molli risvolti delle dita… Ma poi solo Mantegna può spiegarla, se voluttuosamente (conscia o meno) schiacciata come da una gravità, ma eretta ai gomiti, tutta un’orografia la marca: le natiche dune, elmi esattamente segati uguali alla base; e, appena due centimetri sopra, quella sua ossea svasatura: fiore, foce, area franca indifesa in apparenza e, invece, svincolo, cellula della sua potenza, più struggente quanto più silenziosa lei, o altera. Poi, è ancora l’argento che si fa sogno nella parola, immaginato consenso a me, incredulo che, così inafferrabile, inspiegabile anzi, lei pure abbia le parti molli, e che le esponga, delle dita dei piedi.
Da "La giornata di Sisifo" SISIFO Fossero solo mattine, col filo dell’equilibrista sempre alto e teso nell’azzurro, ancora astratta e non nociva l’idea della resa dei conti, del bacillo pomeridiano solito, al ritorno arido nella cripta… TRANCHE DE VIE Usciva, ritornava e poi di nuovo usciva, a ben dosati intervalli. E ogni volta sulla soglia un attimo esitava in bilico fra quei due vuoti, al trillo immaginario del telefono. A MENO DI NON VIVERE A NEW YORK (a G. un tempo amata, a suo marito e agli altri) Ragioni di misura - dovrai ammetterlo - suggeriscono più prudenti strategie e, prima fra tutte, l’abolizione degli addii. Perché dopo, lo sai, di continuo è un tremore agli angoli di strada delle città-pozzanghere, uno svelto distogliere lo sguardo quanto più insostenibile, con gli anni, l’anacronismo del tuo punto. Eppure, a guardar bene, non sei tu, ma sempre gli altri, gli ormai appagati e quelli che non c’entrano, per malizia o noia a non tenere il patto, a trasformare subdoli in un ridicolo puntiglio da burletta una tragedia giovanile.
Altre poesie MECCANISMI Ma che stretto ventaglio di pensieri, sempre gli stessi ignominiosamente, quasi misura igienica poco prima del sonno. Così, ora, per equanimità, provi: col Nepal, forse, o il Giappone e le sue isole, solo come fiammelle della città di Dite sempre pensate nel punto dell’ammaraggio notturno. Però, vedi, dura un istante l’ampliamento e subito ritorna l’intrico vegetale dei pensieri covati sotto casa. |
Post n°99 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
COSE DA SCRIVERE Troppo procrastinate per incapacità e chimeriche ormai… Ma non è lo stesso, in fondo, essermele godute dentro la mente? I fruttini di marzapane, o l’idea che fosse "tutta di legno" la casa di Arcevia: proiezioni perfette della più perfetta delle autobiografie. PORTO CORSINI 1946 C’erano punte di spilli sul mare quel giorno, oblique. Io per la prima volta lo scoprivo venendo dalle erbacce, come una detonazione blu, via via slargantesi. INFANZIA I "bianchi" erano i bianchi d’Inghilterra, gli invitti, i mai sconfitti dagli azzurri, di cui sapientemente favoleggiava mio padre. Erano, fin dal mattino, nella nebbiola della strada, immaginato contrappunto cromatico alla formicolante attesa, prima della radiocronaca "completa" accanto alla Marelli luminosa. Quel giorno persero, i nostri, proprio in fondo, due gol, raccontò Moro, uno sull’altro, per la iattura della nebbia. E, ancora, non parve il sortilegio scalfibile anni dopo a Firenze, col pareggio, uno a uno, alla fine, di Amadei e il "Rete, rete, rete!" di Carosio, a distesa ed incredulo. Poi, invece, vinse, un giorno, l’Italia. Ma già era eroso, a quel punto, dal consumo televisivo anche il passato. E non fu una festa in proporzione, nella già avanzata primavera all’Olimpico – anche indolore l’impresa, certo – quello scoppio a freddo finale: conclusivo obolo, più che altro, a una già esaurita preistoria, annegata nel sole di una domenica fra tante.
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Post n°98 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
VIAGGIO Anche le biancorosse ragazzine all’unisono cromatico e di modi, che servivano ai tavoli della CAMST appena fuori la stazione di Mestre; i taxisti allineati nel sole, lungo il marciapiede, i gomiti ai finestrini; gli abitués da una vita, coi minimi riti confidenziali. Non sono spariti solo perché con Mariella riprendo il treno. "Anche qui" diceva l’amico di una volta "si vive e si ama".
Da "La casa di via Saragozza" TRASLOCO 1958 La mia rivoluzione copernicana: aprì le cateratte all’età delle angosce inesprimibili e senza chiara origine. Ma c’erano, nel nuovo bagno, le buchette per il sapone. Così non mi parve di perderla, perdendola, la vecchia casa di via Saragozza. SFOLLAMENTO Uscivo da un casermone, a Piticchio. Una macchina ferma, sul portone, friggeva. Avevo – io o qualcuno – scordati su i guantini, di lana blu, a gattini. Mia proprietà. Ma era il terzo piano e così raro a quei tempi avere un’auto. Tutto premeva intorno a me. Partimmo, io con dentro, però, un’idea, la prima, di ingiustizia e di perdita. * Solo, a Piticchio, un mattino, nel sole, treenne problematico, volevo con un temperino svellere, buttato a ginocchioni tra due case strette di vicolo in discesa, le fondamenta della mia. All’intorno c’erano, si diceva, "i partigiani della Maiella": una sciccheria, pensavo, quasi con questa stessa parola. Poi, altri tredic’anni sarebbe stata ancora, la terra, senza Angela. Ma era scritto, con certi pensieri che, prima ancora di nascere, era persa. |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36