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Un tempo lavorare in banca era sinonimo di alti stipendi e forte solidità del proprio posto di lavoro. Con il tempo, tuttavia, le cose sono andate a mutare con una discreta rapidità, e oggi proprio il settore del credito rischia di correre il pericolo di una fortissima restrizione del numero di risorse, con lo spettro dei licenziamenti collettivi che si avvicina minacciosamente.
A ben vedere, solamente un anno fa le parti in causa sottoscrivevano accordi per la realizzazione di un fondo di solidarietà. Intese per certi versi obbligate, visto e considerato che il settore non dispone della cassa integrazione, e che pertanto aveva necessità di strumenti che potessero introdurre meccanismi di tutela come – appunto – la garanzia dell’80% del salario lordo, e la possibilità di non scendere mai al di sotto del 50% degli orari contrattuali anche nel pieno dei cicli di ristrutturazione e di riorganizzazione.
Quegli accordi, siglati in tempi non così sospetti, possono oggi rappresentare un utile salvataggio per quei lavoratori che, volenti o meno, saranno coinvolti nel processo di ristrutturazione, come la chiusura di migliaia di filiali su tutto il territorio nazionale.
Dove sta il disguido è presto detto, a quegli accordi non sono mai seguiti i decreti attuativi. Pertanto, la riforma del mercato del lavoro rischia di abbattersi con tutta la sua minacciosa negatività sul comparto.
A parlare in proposito è il presidente del comitato affari sindacali dell’Abi, il dottor Francesco Micheli, che afferma che “se i decreti attuativi non verranno emanati entro breve i processi di riorganizzazione e di ristrutturazione, avviati soprattutto nei grandi gruppi, non potranno che avvalersi delle normative di legge vigenti in materia di licenziamenti per motivi economici, individuali o collettivi. Condizione che tutti vorrebbero evitare”. In altri termini, bancari lasciati a casa, con definitività.
“Questo significa” – prosegue Micheli – “che o i grandi gruppi si fermano sulla via delle ristrutturazioni, ma questo è inverosimile, o si procede con i licenziamenti collettivi”.
I sindacati sono pronti allo sciopero più radicale, e in alcuni casi hanno già attuato le azioni di riscontro. Le parti sindacali vorrebbero difendere le tutele normative ed economiche scongiurando l’annullamento degli accordi aziendali sulla riduzione dell’orario non pagato, sugli inquadramenti, sulla mobilità territoriale, sul part time, sulle indennità economiche, e ancora su ferie, straordinari, permessi e aspettative.
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Lavoro, tempo di magra in Italia. Lo rivelano i dati Istat cui si sommano quelli di Bankitalia su inoccupati e cassaintegrati. Ad essere disoccupata è l’8.6% della popolazione in età da lavoro, cui si aggiunge chi è in cassa integrazione o inoccupato, 11%. Un dato che preoccupa le associazioni dei consumatori che parlano di correre al più presto ai ripari.
Fra le manovre di riparazione da mettere in atto subito, spiega Federconsumatori in una nota, c’è la detassazione delle famiglie a reddito fisso. Per loro, la crisi economica ha significato una contrazione dei consumi del 6% che sono aumentati al 12% nel periodo natalizio. E adesso che ci sono i saldi invernali, si spera in una ripresa della spesa che però tarda ad arrivare.
La seconda soluzione paventata dalle associazioni, soprattutto per abbattere la disoccupazione giovanile a due cifre, è quella di incentivare le assunzioni dei ragazzi grazie al credito di imposta da erogare alle aziende virtuose. Per chi è alla ricerca di una occupazione, ecco i migliori siti dove cercare lavoro.
A chi parla di mancanza di fondi per attuare le riparazioni al sistema, Federconsumatori parla di redistribuzione del reddito: lotta all’evasione fiscale, rendite finanziarie tassate al 20% come nel resto d’Europa e tassazione dei grandi patrimoni. Non è escluso, per la Federazione dei consumatori, che risorse possano arrivare anche da sussidi di solidarietà da parte degli alti redditi.
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La grave crisi economica che ha colpito in questo inizio di secolo l’economia nazionale ha costretto alla chiusura moltissime aziende marginali, anche in virtù del fatto che molti committenti ormai pagano mediamente a 180/210 giorni mettendo in grave difficoltà molte piccole aziende che per loro natura sono sottocapitalizzate e indebitate a breve termine.
A affermarlo è Giuseppe Bortolussi direttore dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, in accordo con un’indagine da cui è emerso come siano state circa 20.000 le imprese venete e del Friuli Venezia Giulia hanno chiuso i battenti per fallimento o, comunque, per una procedura fallimentare in corso. Di conseguenza, è nel complesso sempre più difficile trovare lavoro non solo al Sud, ma anche nelle regioni italiane del Nordest.
In particolare, tra le province, quella di Trieste è stata la più interessata da questo fenomeno. L’anno scorso l’incidenza percentuale dei fallimenti sul totale delle aziende ha infatti toccato nel capoluogo giuliano il 7,2% contro una media nazionale del 4,8%.
Inoltre, sottolinea il direttore dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, non va nemmeno trascurata la difficoltà per molti imprenditori di trovare un successore; trattasi infatti di un problema cui ormai molti titolari di impresa non sanno far fronte.
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Quello delle telecomunicazioni lo scorso anno è stato uno dei settori in Italia dove le retribuzioni sono cresciute di meno. In base ai dati resi noti dall’Istituto Nazionale di Statistica, infatti, su base annua le retribuzioni nel comparto delle telecomunicazioni sono cresciute dell’1,1%, ovverosia poco sopra il livello dell’inflazione attestatosi a +0,8%. La media per la crescita delle retribuzioni lo scorso anno è stata del 3%.
I settori dell’economia dove i rialzi delle retribuzioni hanno superato la media, in in accordo con quanto riporta, tra l’altro, la Confesercenti, sono stati quelli dell’edilizia e del legno con un +4%, ed ancor di più per il settore dello smaltimento dei rifiuti e dell’acqua con un +5%.
Sul versante opposto, invece, oltre al settore delle telecomunicazioni a battere la fiacca in termini di crescita delle retribuzioni, ancor di più, sono state le forze dell’ordine ed il comparto difesa con incrementi frazionali e rispettivamente pari allo 0,2% ed allo 0,3%.
A livello tendenziale, nello scorso mese di dicembre, grazie anche ai miglioramenti contrattuali in alcuni settori economici, tra cui quelli del credito e del tessile, c’è stata una crescita delle retribuzioni dello 0,1%.
Sebbene in molti casi gli incrementi delle retribuzioni siano superiori all’inflazione media, c’è comunque da dire che le retribuzioni poi vengono maggiormente destinate dalle famiglie verso spese obbligate e beni a alta frequenza di acquisto i cui prezzi nell’ultimo anno sono saliti oltre lo 0,8% medio di inflazione rilevato dall'Istat lo scorso anno.
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Inviato da: graziano.bonfrancesc
il 20/06/2016 alle 14:01
Inviato da: ichuan
il 06/06/2013 alle 10:22