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Messaggi di Dicembre 2014

ANNABELLE, recensione di ROMOLO RICAPITO

Post n°6751 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da romolor
 
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di Romolo Ricapito
BARI, 3 OTT. - ANNABELLE è un horror a basso costo diretto dall'oriundo John R. Leonetti, allievo del direttore di fotografia italiano Vittorio Storaro. In esso si narra l'antefatto di quanto mostrato in The Conjuring-L'evocazione, che fu campione d'incassi anche in Italia. Il trait d'union tra le due pellicole dovrebbe essere una bambola orribile, oltre che gigantesca: Annabelle. Questa bambolona sarebbe posseduta dall'anima di una bimba rimasta orfana. La prima parte si volge a Santa Monica, California, in un'atmosfera di attesa. Una giovane donna incinta, Mia (la bionda Annabelle Wallis, un incrocio tra Nastassja Kinski e Lorella Cuccarini ) assieme al marito John (Wand Horton, una specie di giovane Dottor Kildare come aspetto, misto all'estetica del presentatore italiano Massimiliano Ossini) inaugura una nuova casa. Lui è uno specializzando in medicina, lei non fa nulla. L'ambientazione risalirebbe ai tardi anni' 60, in quanto in un filmato trasmesso in tv, Mia segue le cronache in bianco e nero riportanti il Massacro di Bel Air , 1969. Sullo schermo si intravede anche il criminale Charles Manson. Gli autori si sono ispirati al film di Roman Polanski Rosemary's Baby. E non a caso, il nome della protagonista (Mia) riecheggia quello dell'attrice principale di quel film: Mia Farrow. Mentre il coprotagonista di quell'opera era John Cassavetes: anche il marito del film allora si chiama John. Nonostante il budget ridotto, "Annabelle" si distingue per una certa eleganza formale e accuratezza nelle inquadrature. La citazione del massacro di Bel Air ha una sua "riproduzione" sullo schermo con un'aggressione che Mia subisce in casa da parte di una coppia di mezzi invasati, un uomo e una donna. Le citazioni si succedono inarrestabili : il film sembra un po' l'Esorcista e un po' Amytiville Horror, oltre al già citato Rosemary's Baby. Ma la sceneggiatura non sviluppa un'identità propria e questo si rivelerà un disastro nella seconda parte del film: Annabelleinfatti si dimostra un flop annunciato perché noioso non soltanto come horror, ma proprio come film a sé stante. Si parla di sette, come quella che una certa giovane Annabelle ( che ammazzò i genitori) frequentò. Queste sette sono ovviamente ricettacoli di satanisti. . E membri della setta sono appunto la figlia degli Higgins (i vicini massacrati) e il di lei compagno, "assassini nati". Decisamente i particolari, la confezione, gli arredi etc...superano la vicenda stessa. Ad esempio, la protagonista segue alla televisione in bianco e nero la soap opera General Hospital e un programma a colori nel quale i comici parlano della nostra Sofia Loren. Tutta l'esteriorità conseguente è piacevole, ma come un involucro di lusso e stop. Pare che, in maniera allargata, gli ideatori si siano sbizzarriti a organizzare un insieme di luoghi comuni rivestiti di vintage, il tutto più per un gusto autoreferenziale e narcisista da cinefili che da veri cineasti. E dunque l'intera operazione -"Annabelle"è definibile come un'esercitazione di un gruppo di appassionati del cinema anni Sessanta, che tentano scioccamente di riprodurre e reintrodurre nel cinema del 2014, con risultati davvero ibridi. Ad esempio, si è cercato di ricreare nei dettagli, con l'utilizzo di una carta da parati scura. ambienti paurosi o d'epoca. Non a caso tra l'altro , il film ispiratore (Rosemary's Baby) fu ambientato al Dakota House, celebre residenza che ospitò il Beatle John Lennon, ucciso sulla soglia di casa da un folle nel 1980 . Questa sinistra magione di New York è riprodotta in una sorta di succedaneo , i Palmeri Apartments, un sinistro residence di appartamenti a Pasadena, dove la coppia si rifugia nella seconda parte. La Chiesa Cattolica nel corso dell'intreccio è intesa come "ultima spiaggia", ovvero la soluzione per quei problemi che non possono essere risolti razionalmente, . ma con la forza dello spirito... Nell'ultima mezz'ora la debacle è evidente. Sino a quel momento, la bambola disgustosa che doveva muovere l'intera rappresentazione è stata inattiva, come un soprammobile inutile , vigile e muta a fronte dei tanti accadimenti sgradevoli. C'è poi una libraia di colore (Evelyn) che definisce se stessa "anziana", interpretata da Alfe Woodward. Ma in realtà è sui 55. La Woodward più che una libraia sembra la "fattucchiera buona" che vuole risolvere l'enigma del film, improvvisandosi come una specie di esorcista. Qui è presente un'altra mezza citazione: la Whoopi Goldberg di Ghost. L'attrice di colore è la cosa migliore del film come pura recitazione: non a caso, ha nel curriculum una nomination all'Oscar e un Golden Globe vinto assieme a numerosi altri premi. Sorge, più che il dubbio, la certezza, che gli sceneggiatori siano stati abili, ma soltanto nel copiare e nel riproporre una minestrina, neppure tanto riscaldata, ma raffreddata da una suspence insufficiente, che non può essere sorretta per tutta l'ora e mezza scarsa di durata. E' per questo che Annabelle si delinea alla fine come un film non riuscito e davvero indegno dell'ispiratore, l'Evocazione. E quello che è peggio, deluderà i numerosi appassionati che già si stanno precipitando in sala a vederlo, sperando in brividi di paura, che però in sala diventeranno di freddo, per l'aria condizionata ancora accesa nonostante sia ormai.autunno...


ROMOLO RICAPITO

 

 
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PONGO, IL CANE MILIONARIO recensione di ROMOLO RICAPITO

Post n°6750 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da romolor
 
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di Romolo Ricapito
BARI, 30 SETT. - PONGO-IL CANE MILIONARIO è un film spagnolo del 2014 scritto e diretto da Tom Fernàndez e concepito in patria anche per il 3D che in Italia, a dispetto delle previsioni, sta scalando le classifiche. Domenica 28 settembre, ad esempio, la pellicola che vede come protagonista un Jack Russel terrier si è classificata al terzo posto dopo Lucy di Luc Besson e Tartarughe Ninja, precedendo La Buca con la coppia Castellitto-Papaleo e l'altro film per ragazzi dal titolo L'incredibile storia di Winter il delfino 2. La trama vede Pongo, un cane che vive da solo in una villa miliardaria con piscina e sculture da giardino : la bestiola è molto viziata e passa tutto il tempo divorando pop corn e davanti ai videogiochi preferiti . Addirittura ha una bella e giovane massaggiatrice orientale e un avvocato, Alberto, che è una sorta di suo tutore ( ma lui si definisce "segretario personale") il quale allena il cane a fronteggiare eventuali malintenzionati. Il ruolo è interpretato da Ivan Massaguè . Le scenografie sono bellissime e ottima è la fotografia; l'allestimento risulta pari alle pellicole miliardarie di Hollywood. La trama è demenziale e ricorda nella prima parte Mamma, ho perso l'aereo, a causa dei malintenzionati al soldo di Montalban (Armando Del Rio) , un affarista spregiudicato che vorrebbe rapire Pongo. Tale Montalban è assistito da Patricia, un' avvocatessa che fu collega di Università di Alberto, interpretata da Patricia Conde, una ex modella e personaggio televisivo noto in Spagna, ma totalmente sconosciuto da noi. L'apporto della Conde alla riuscita del film è scarso, se non fosse per il suo fisico longilineo utilizzato in una sequenza, al fine di indossare gli abiti prestigiosi di una boutique. Dietro il cane Pongo, si nasconde un benefattore: l'animale protegge infatti i bambini che fungono da manodopera in paesi del Terzo Mondo creando peluche che raffigurano animali e che "egli" sovvenziona in segreto con opere di bene. Pongo viene liberato dal suo tutore per evitare il rapimento da parte degli sgherri di Montalban, che invece quei bambini- lavoratori li sfrutta. L'affarista vorrebbe inoltre stringere un patto proprio con il cane , reso "antropomorfo" per il fatto che siede dietro la scrivania , cucina (all'occorrenza) e via discorrendo. Inoltre Pongo appare sulle confezioni del cibo per cani (croccantini) prodotto dalla ditta Purina. Non a caso la Purina è tra gli sponsor del film, assieme alla Lego e ad altre società. La seconda parte, movimentatissima, comprende una serie di nuove peripezie. Pongo, ospitato da un allenatore di cani randagi che poi fa adottare da giovani coppie di coniugi, diventa il quadrupede più conteso da ipotetici nuovi "genitori" . .. Qui il film si trasforma in una sorta di "orfanella Annie" per deridere certe perversioni borghesi. Una coppia di strambi padroni conserva in casa ad esempio la vecchia barboncina impagliata, dopo che essa morì; la donna di un'altra altra coppia non vuole figli perché, sostiene, "non condivido di fare uscire una cosa viva dal mio corpo". C'è poi Pablo, un ragazzo solitario, vittima della sua dipendenza dai videogiochi. E' presente , infine, un ammiccamento al film Hannibal, quando viene fatto credere che il cane sia aggressivo: in questa sequenza Poldo indossa la maschera di Lecter. Pongo nel finale ammicca a un seguito: la trama lascia intuire in modo molto chiaro tale prospettiva , con una strizzata d'occhio del suo protagonista e un finale aperto... Un film riuscito dunque, destinato a sbaragliare molti concorrenti più pubblicizzati: quello che appunto sta accadendo sui nostri schermi
-ROMOLO RICAPITO

 
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UN RAGAZZO D'ORO, RECENSIONE DI ROMOLO RICAPITO

Post n°6749 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da romolor
 
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di Romolo Ricapito
BARI, 26 SETT. - Del suo film "Un Ragazzo d'Oro" il regista Pupi Avati (che lo ha anche interamente sceneggiato) ha detto che è un'opera influenzata dall'assenza del padre, morto in un incidente stradale quando egli era un ragazzo di appena 12 anni. Il protagonista del film, un dimesso e intellettuale Riccardo Scamarcio, nei panni di Davide Blas, scrittore di racconti brevi, lotta a distanza con la figura scomoda del genitore , uno sceneggiatore e scrittore di buon successo ma sgradito all'intellighenzia perché ispiratore di film comici invisi alla critica ufficiale. Rivelatoria a tale proposito è la scena nella quale Giovanna Ralli, nei panni della madre di Davide ( ormai già vedova di Achille Blas) guarda uno dei tanti film "trash" che il marito aveva sceneggiato: curiosamente viene mostrata la sequenza tratta da una pellicola con Alvaro Vitali e Renzo Montagnani. Un insolito incidente stradale dunque (ma in realtà un probabilissimo suicidio) ha distrutto la vita di Achille. L'elogio funebre pronunciato dal figlio Davide diventa una spietata critica alla figura del genitore, che non gli ha permesso di crescere emotivamente, ma anche professionalmente, a causa del suo straripante egoismo. Al funerale è anche presente una delle tante amanti di Achille, Valeria Marini in una fugace apparizione. E' evidente già dalla prima mezz'ora come Avati abbia prodotto un'opera controcorrente, nello stile di vecchi film anni Settanta come Una Giornata Particolare, Un Dramma Borghese e anche Fantasma D'Amore (quest'ultima una pellicola di Dino Risi dei primi Ottanta, riecheggiata in qualche similitudine nel finale). Fotografia sui toni del marrone, toni da dramma da camera dall'aria asfittica e claustrofobica, scarso uso della tecnologia (nel film gli interpreti non utilizzano i telefonini, mentre soltanto Scamarcio si attarda al computer, ma per finalità necessarie alla trama ) rendono Un Ragazzo d'Oro un film atipico, quasi anacronistico. Ecco perché forse il pubblico non sta rispondendo nella maniera sperata con la presenza in sala, al contrario dei precedenti titoli di Pupi Avati : trattasi di una pellicola troppo introspettiva ( forse intellettuale), per lo spettatore medio, ma anche per quello medio-alto. Insomma, il regista bolognese ha realizzato certamente un film fuori moda, ma questa è anche la forza artistica dell'intera operazione. L'utilizzo di Sharon Stone per la parte di colei che editerà l'ultima opera inedita ( in forma di romanzo ) del padre di Davide ha una duplice funzione: spiazzare gli spettatori e forse sedurli. La Stone sta però al film di Avati come il classico cavolo a merenda. Ma dopotutto è sempre un cavolo appetitoso, diremmo un ortaggio ancora in fiore. Non a caso Pupi Avati, pur definendola un'attrice in declino, che prima di questo ruolo era comparsa negli Usa soltanto in insignificanti camei, ha chiarito che la utilizzerà anche in futuro, soddisfatto della sua gelida sensualità. La recitazione di Ludovica Stern (la Stone) è d'Accademia (di Hollywood). Un po' freddina, ma sono almeno due le scene da ricordare,cioè le ultime interpretate assieme a Scamarcio. Nella maggior parte della sua presenza sullo schermo, però, la bella Sharon sembra uscita dai suoi vecchi film Basic Instinct e Sliver a livello d'immagine, che si è come cristallizzata nel tempo. La presenza dell'americana controbilancia comunque la pessima prova di Cristiana Capotondi, nei panni di Silvia, una giovane farmacista fidanzata con Scamarcio. La Capotondi, ormai assurta a prezzemolina del cinema italiano, qui è inutilmente leziosa, fuori parte e insopportabile. Ma per fortuna c'è Giovanna Ralli, 79 anni: quasi l'età di Sofia Loren. La veterana del cinema (ma anche del teatro) in realtà ha una parte più importante di quella della Stone ed è la seconda vera protagonista dopo il tenebroso Riccardo . La sua interpretazione, sofferta e densa, nel ruolo della vedova fatta oggetto in passato di mille tradimenti. è encomiabile. L'identificazione del personaggio di Riccardo Scamarcio con quello del padre ormai assente diventa il sostegno del film, a dire la verità non riuscitissimo nella prima parte. Nella seconda fase però Scamarcio gareggia in bravura con la Ralli, dando il volto a un personaggio sfaccettato che, sotto la sua ribellione, nasconde gravi disturbi ossessivi compulsivi, curati col Diazepam e regolari sedute dallo psichiatra. Ma il film è anche un atto di accusa nei confronti di un mondo culturale che emargina chi ha talento, relegandolo all'angolo e deridendolo in vita, salvo poi riabilitare la stessa persona dopo la sua dipartita, conferendole per giunta inutili ( anche se prestigiosi) riconoscimenti... Ed è appunto il Premio Strega ad essere preso di mira, in un aspetto funzionale alla narrazione. Nella finta diretta dal ninfeo di Villa Giulia , una comparsata del giornalista Rai Attilio Romita, nel ruolo del conduttore dello Strega. Le musiche originali sono di Raphael Gualazzi. Il film è prodotto in collaborazione col Casinò di Campione d'Italia. Inoltre è stato anche vincitore al Montreal World Film Festival in Canada del premio come migliore sceneggiatura.

ROMOLO RICAPITO

 

 
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The Equalizer. Recensione di ROMOLO RICAPITO

Post n°6748 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da romolor
 
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di Romolo Ricapito
BARI, 24 OTT. - Molto buona l'accoglienza in Italia di questo "The Equalizer-Il Vendicatore" diretto da Antoine Fuqua, che vede Denzel Washington al comando di una sceneggiatura completamente al suo servizio. Trattasi della traduzione sul grande schermo della tele-serie anni Ottanta Un Giustiziere a New York. Ambienti (interni) algidi come riproposizione di quelli dello sceneggiato originale, con un inizio in metropolitana che rimanda sempre a quella serie, ormai quasi dimenticata. Ma forti rimangono le reminiscenze o le similitudini con film come Taxi Driver, laddove il meccanismo che scatena la violenza repressa di Robert Mc Call è la protezione di un'indifesa e giovane prostituta russa, Alina, epitome dell'innocenza violata. Chloë Grace Moretz, che abbiamo visto di recente in Resta anche Domani. è dunque la squillo : Il suo personaggio ama la letteratura, affascinata dal romanzo Il Vecchio e Il mare, che Mc Call legge all'interno di un pub frequentato da entrambi. Viene riproposta un'America notturna, di locali aperti 24 ore al giorno; Mc Call, un anziano capo-operaio di una ditta di compensati ( e altro) di vendita al dettaglio, conduce una vita solitaria e dolente che lo avvicina alla sensibilità della giovane peripatetica, anche lei afflitta dalla ripetitività di una quotidianità monotona, nel suo caso però a contatto con la strada, nelle sue implicazioni più crude. Questi incontri tra Mc Call e Alina sono più importanti di altri rapporti, perché rivelatori dell'essenza di questi personaggi, i quali condividono una comune condizione di emarginazione sociale difficilmente colmabile. Mc Call è un vedovo che non accetta la sua condizione; Alina un'aspirante cantante stile X Factor. La ragazza sparirà velocemente dall'intreccio, pur essendo la causa che lo muove. Picchiata dai suoi sfruttatori, trasforma Mc Call in un vendicatore, spietato giustiziere e macchina da guerra senza macchie né paura... Egli, dietro l'apparenza innocua, nasconde una pregressa appartenenza alla Cia, della quale fu un agente addestratissimo, poi svanito nel nulla per cause oscure . Le atmosfere rarefatte e le musiche elettrizzate accentuano il senso di solitudine del protagonista, che si scontra con la mafia russa, rappresentata come eccentrica, arrogante, ironica e strafottente, I primi piani da spot pubblicitario rendono iperrealistica la bella fotografia di Mauro Fiore, mentre il racket è un altro dei temi portanti del film, ma praticato da agenti di polizia corrotti e non dai classici bulli del quartierino. Tale racket è esercitato nei confronti delle minoranze etniche; ma esiste un livello superiore di corruzione, nei piani alti delle forze dell'ordine. L'ingenuità della serie tv originale è riprodotta in questa sorta di spin off cinematografico che nella prima parte tiene, brillando in qualità, mentre nella seconda si trasforma quasi in un prodotto anch'esso televisivo, a causa di alcune ripetitività di sceneggiatura e di situazioni. Il prodotto allora diviene ridondante e dalla semplicità iniziale assume sembianze barocche, tra mille omicidi efferati "per il bene", dunque giustificati e infine una spietatezza da Antico Testamento che sfocia poi in misticismo, come il nome del fiume citato nella sceneggiatura (Mystic). Ma Mc Call, fan della band Gladys Knight and The Pips ,che spopolò negli anni '60 e 70, è un personaggio immerso nel reale oppure la metafora di qualcos'altro? Il film è godibile dall'inizio alla fine per la ben calibrata azione, retta da un Denzel Washington strepitoso, mentre la partitura dell'opera asseconda tutte le sue evoluzioni, fisiche ma soprattutto quelle psicologiche. Questo "Vendicatore" ci piace perché, a dispetto di alcune stridenti esagerazioni, è l'uomo tutto d'un pezzo che ognuno di noi certe volte sogna di essere.

-ROMOLO RICAPITO

 

 
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Scrivimi Ancora recensione di Romolo Ricapito

Post n°6747 pubblicato il 30 Dicembre 2014 da romolor
 
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di Romolo Ricapito
BARI, 31 OTT. - "Scrivimi Ancora" è una commedia presentata al recente Festival del Cinema di Roma tratta da un romanzo dell'irlandese Cecilia Ahern che l' ha anche co-prodotta. Il titolo italiano riassume il contenuto, ma l'originale è "Love, Rosie", mentre il romanzo da cui prende spunto ha un titolo ancora diverso: "Quando gli arcobaleni finiscono" (When Rainbows End).

Rosie è la protagonista dell'intreccio, interpretata dall'attrice Lily Collins, figlia del musicista Phil Collins, alla quale viene affiancato Sam Clafin, una sorta di nuovo Hugh Grant. Coproduzione tra Germania e Regno Unito, la pellicola diretta dal tedesco Christian Ditter è un efficace antidoto alle commedie italiane in voga in questo periodo, costituite da trame risapute e purtroppo cast che rimescolano spesso gli stessi attori, ormai indigesti . Sin dal prologo, che include la canzone di Burt Bacharach I'll never fall in love again, si evidenzia come la fotografia del film sia una delle cose meglio riuscite in assoluto, assieme però a un corposo intreccio che regge bene dall'inizio alla fine. Rosie e Alex, amici dall'infanzia, continuano la loro relazione nell'adolescenza: lei è la consigliera sentimentale di lui, ancora "vergine", in uno scambio dei ruoli "classici" maschio-femmina, un po' paradossale.

I due ragazzi chattano tra di loro durante le ore di scuola ; da maturi, sempre nell'evolversi della storia, comunicheranno con sms, lettere tradizionali, internet e streaming. In pratica, la chiave di volta del film è quella di mischiare antico e moderno, sia riguardo le tecnologie che i contenuti. Gli interpreti brillano per le facce accattivanti, anche perché nuove: ma questo riguarda anche i comprimari, come il bellissimo Christian Cooke nel ruolo di Greg ( che diventerà il marito di Rosie) o Tamsin Egerton, bionda fiamma di Alex, ricca di charme . Ma c'è anche Suki Watherouse, una compagna di scuola della protagonista , altera e superficiale, destinata anche lei a un intreccio sentimentale col timido Alex. Un preservativo finito nella vagina di Rosie per colpa del troppo goffo (in fatto di sesso) fidanzatino Greg, diventa il "motore" della storia.

La ragazza finisce al pronto soccorso, dove un medico "figo" le chiede se il profilattico "si trovi davanti o di dietro" (sic) , "ma non volevo insinuare tu fossi una sgualdrina". La vicenda prende delle pieghe più serie quando dall'incidente del preservativo ella rimarrà incinta, fatto che segna uno spartiacque nell'intreccio . La realtà di un piccolo paese dell'Irlanda- anche se è un 'Irlanda moderna e invitante- va stretta ad Alex, intenzionato a trasferirsi a Boston, in America, per studiare medicina con una borsa di studio. Lei, intenzionata a imitarlo, deve interrompere il suo sogno "a due" di trasferirsi assieme, per mettere al mondo la sua bambina, Cathy, che inizialmente vorrebbe dare in adozione.

Da qui una forma di gelosia si insinua in lei nei riguardi di colui che è da molto ben più di un amico. La lontananza allora è vissuta dalla ragazza con disagio, malinconia e struggimento. La trama include la morale cattolica che vieta agli irlandesi di abortire, ma anche le differenze sociali e di classe . Infatti Rosie deve lavorare per mantenersi e lo fa organizzandosi come donna delle pulizie negli alberghi. Ciò si scontrerà con l'ascesa sociale di Alex , che a Boston si legherà con un'ereditiera figlia del primario di un'importante clinica, tanto snob e ricca quanto insopportabile. Durante un viaggio negli Usa di Rosie, il suo amico Alex la umilierà, suo malgrado, rinfacciandole il ruolo di ragazza madre. Altri temi fondamentali del romanzo e della sceneggiatura sono quindi la maternità in età giovanile e l'esigenza di conciliare affermazione sociale (soprattutto da parte del maschio) con gli affetti.

Ad ogni modo Rosie recupererà il padre della bambina (Greg) apparentemente ravvedutosi dalla proverbiale superficialità, formando una famiglia tradizionale. Il segreto della riuscita di "Scrivimi Ancora" che già dal suo primo giorno di programmazione ha attirato nelle sale lo stesso pubblico di "Colpa delle Stelle" (principalmente ragazzine), è quello di raccontare fatti abbastanza comuni mischiati con un pizzico di originalità, suscitando una forte empatia nel pubblico, non soltanto però quello composto dagli adolescenti. Emerge poi una certa spregiudicatezza nel personaggio di Rosie, che da apparente sempliciona intrattiene come mamma single una relazione a base di solo sesso (anche sadomaso) con un aitante e sconosciuto poliziotto.

Ma è sempre il sesso il motivo del suo ricongiungimento col padre della bambina, la piccola Cathy, monitorata dalla trama dai 0 ai dodici anni . Al di là di queste derive abbastanza spinte, il buonismo (o la retorica) del film si svolgono tramite la lunga relazione platonica con l'amico d'infanzia, diventato un punto fermo dell'età adulta , affrontando però molti ostacoli e colpi di scena che fanno la gioia della platea. Il film è girato a Dublino e Wickland e, per la parte americana, in Canada. La colonna sonora adopera il vintage: Alone Again di Gilbert O' 'Sullivan segna il periodo di solitudine di Rosie, mentre "Fuck You" di Lily Allen la sua liberazione da Greg. Lily Collins è doppiata da Valentina Favazza, considerata la nuova leva del doppiaggio italiano. Ella non è figlia né nipote d'arte e ha già dato la voce alla stessa Lily Collins in Biancaneve

ROMOLO RICAPITO

 

 
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