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Messaggi del 02/05/2015

BARI: PREZIOSI CAPOLAVORI RESTAURATI TORNANO ALLA LUCE

Post n°6906 pubblicato il 02 Maggio 2015 da romolor
 
Foto di romolor

PRIMO MAGGIO: FESTA DEI LAVORATORI E DEL...RESTAURO.
VISITIAMO I LABORATORI INTERNI ALLA SOPRINTENDENZA, PRESSO L''EX CONVENTO DI SAN FRANCESCO DELLA SCARPA NEL BORGO ANTICO DI BARI
di ROMOLO RICAPITO

 

In occasione dell'apertura straordinaria dell'ex Convento di San Francesco della Scarpa nel cuore dell'antico quartiere San Nicola a Bari avvenuta il 1 maggio e voluta e promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali del Turismo nell'ambito di varie iniziative sparse in tutta Italia, è stato possibile visitare il Laboratorio di Restauro allocato all'interno dello stesso ex convento con visite guidate dai tecnici della Soprintendenza abilitati alla conservazione e al restauro delle opere che sono state mostrate e in fase definitiva di remise en forme, oppure soltanto a metà del lungo percorso di ripristino, prima di essere nuovamente consegnate ai luoghi di appartenenza che sono principalmente Chiese , Conventi o Musei .
Ecco allora una statua lignea policroma proveniente da Putignano dalla Chiesa di Santa Maria La Greca e raffigurante San Giovanni.
La denominazione precisa è San Giovannino: la statua si presenta ancora visibilmente tarlata in alcuni punti, a causa della conservazione in posto umido e senza protezione alcuna. Le fenditure, o vere e proprie crepe della statua, visibili anche nelle fotografie oltre che dal vivo, documentano il degrado dell'opera d'arte che è stata già ridipinta in più strati. Il lavoro è preceduto da una relazione sullo stato di conservazione dell'oggetto, dalla conseguente documentazione fotografica, come già detto, mentre il progetto di restauro è comprensivo di una disinfestazione con speciali macchinari che eliminando ossigeno, immettono azoto puro. Tale procedura ammazza il tarlo, ma non è preventiva.
Perciò è necessario un nuovo trattamento finalizzato all'eliminazione futura di eventuali attacchi da parte di nuovi parassiti , mentre il legno viene consolidato con delle "flebo" che integrano quello che in alcune zone si era trasformato ormai in sughero friabile.
Una parte della statua è coperta da veline per proteggerne la pittura durante i restauri.
La pulitura prevede più sessioni: dopo avere testato alcuni solventi, si scrosta il primo strato di vernice e quindi il secondo, riportando alla luce la vernice originaria.
Il consolidamento puntuale di tutte le scaglie del colore originale è stuccato, dunque integrato con legno di balza nelle parti vecchie e molto usurate.
Completa il tutto una piccola stuccatura con polveri di legno e colla, o fatta con l'aggiunta di gesso.
Ma qual è il pregio, o il limite, del restauro?
L'opera non rinasce ex novo ma si conserva nel tempo. In pratica si interviene dove è possibile farlo, ma non si inventa nulla.
Comunque è importante che i nuovi interventi siano visibili da un occhio esperto, quello del restauratore. Questo anche per i posteri, o coloro che interverranno sull'opera stessa negli anni e nei secoli a venire .
La procedura richiede tempi tecnici, che possono essere lunghi: dipende da come la statua, o l'opera pittorica, risponde al trattamento e agli agenti chimici.
La fase di restauro vera e propria dura tre mesi circa.
L'artista spera sempre che la sua opera duri nel tempo: in questo modo essa supererà la mortalità dello scultore, o del pittore, divenendo immortale.
Ma affinché i capolavori attraversino i secoli occorrono periodici restauri per evitare la distruzione o il disfacimento nel tempo di essi. Fa parte di un trittico un quadro di Sant'Antonio già restaurato negli Anni '60 e ridipinto. Il celebre santo è ritratto con un libro sacro di colore rosso in mano, a sinistra, mentre la mano destra regge un lungo giglio, simbolo di purezza. Non tutti i dipinti e le opere sono accompagnati dal nome dell'autore, che può essere anche sconosciuto.
Proveniente da Lucera, più propriamente dal Museo Diocesano, è il quadro di San Martino e il povero, dipinto a olio su tela.
L'opera ha richiesto un minimo intervento conservativo e riproduce l'aneddoto più noto della vita del Santo, che è raffigurato con gambe solide e robuste che ne attestano la solidità morale, mentre dietro di lui un'ancella regge il suo cavallo. Il povero, in attesa del mantello in dono, è per terra, con un'espressione di grande sofferenza mentre osserva Martino che è personificato come un giovane biondo dalla fronte alta.
La procedura di restauro ha richiesto l'applicazione di fasce perimetrali di tela per permettere il "tensionamento" dell'opera su nuovo telaio.
Proveniente dalla Chiesa di San Francesco di Gallipoli , con poco da sistemare, un San Francesco enorme, stile Polifemo. Ai lati, in preghiera, probabilmente i committenti del quadro, ritratti in piccolo e inginocchiati . Tre angeli sopra il capo del santo rappresentano l'obbedienza, la povertà e la carità, regole essenziali dell'ordine francescano.
Ancora, una bella statua proveniente da Lucera, sempre dal Museo Diocesano e raffigurante la Madonna del Melograno, in lapideo policromato.
La vergine regge nella mano destra un frutto, appunto il melograno, nella sinistra un bambinello, piccolo Gesù privo di un braccio.
Il restauro conservativo, ultimato, verrà integrato da una ripresa estetica. Si nota che la Madonna è matronale, massiccia, diremmo molto materna. La testa che si era staccata del bambinello è stata fissata con un perno in vetroresina, poi stuccato. La statua risale al 1300-1400.
Da rilevare come il manto blu della Vergine sul retro fu coperto e ridipinto da stelle gialle, una variante arbitraria e successiva che è stata eliminata anche perché artisticamente scadente.
Da Lizzanello, provincia di Lecce, proviene un dipinto che fu rubato e poi ritrovato , allocato nella Chiesa dell'Immacolata.
L'olio su tela raffigura il martirio di San Lorenzo. Il volto era completamente devastato mentre il dipinto fu piegato e ripiegato dai ladri, dunque mostra la rovina conseguente con le ovvie piegature in rilievo. E' in atto una prova di integrazione pittorica, col volto stuccato e integrato nelle parti mancanti. Ai piedi di San Lorenzo ecco due torturatori all'opera dai volti truci e contadineschi, mentre quello del santo è raffigurato con l'estasi con la quale reagisce al martirio. Il suo volto è pieno, spirituale ed efebico.
Nell'ambito dei metalli, sono state mostrate delle armi. Sia pistole antiche, dunque che armi da taglio di epoca ancora più remota . In base alla legge 110-1975 le armi sequestrate prima della distruzione possono essere date ai musei se di interesse storico e artistico, previa distruzione anche delle munizioni.
Un'arma da fuoco è un modello belga databile tra il 1860-1980 ed è di transizione tra le vecchie pistole con uso di polvere da sparo a luminello e le nuove a percussione centrale. Dei coltelli da caccia seicenteschi hanno incisi sulla superficie leoni e grifo o decori per fare defluire il sangue delle bestie uccise e permettere l'estrazione dell'arma dalla carne viva. Il più massiccio mostra finanche una scena erotica e diremmo esoterica: un cacciatore è ritratto mentre si congiunge carnalmente con una strega.
Abbastanza grande è un busto in argento con base porta- reliquia raffigurante San Sebastiano col torace invaso e devastato dalle frecce dei suoi persecutori. Il santo si regge su un ramo di legno ed è il patrono di Spinazzola.
L'opera, bellissima, è in fase di restauro. Il legno è stato già disinfestato e così la cassetta lignea dove la testa del santo e il torace poggiano. Ma la particolarità del tutto è che in basso , ben visibile, è inclusa nell'opera una reliquia di San Sebastiano, un pezzo d'osso certificato come autentico dal Vaticano.
ROMOLO RICAPITO

 

 
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ARTE: APERTURA PER IL PRIMO MAGGIO A BARI EX CONVENTO S.FRANCESCO DELLA SCARPA

Post n°6905 pubblicato il 02 Maggio 2015 da romolor
 
Foto di romolor

MOSTRA DI QUADRI "INEDITI" PRESSO L'EX CONVENTO DI SAN FRANCESCO DELLA SCARPA A BARI IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO
di ROMOLO RICAPITO

Apertura straordinaria il 1 maggio dell'ex Convento San Francesco della  Scarpa, in via Pier l'Eremita a Bari , presso il Borgo Antico, a cura della Soprintendenza delle Belle Arti e Paesaggio per le province di Bari-Barletta-Andria- Trani e Foggia, in accordo con il Ministero per i beni e le Attività Culturali del Turismo nazionale, che ha attivato per la ricorrenza altri liberi accessi in tutta Italia a ingresso gratuito.
16 i dipinti offerti in visione a turisti e cittadini, risalenti agli anni 30 e 40, di artisti pugliesi e lucani, allocati principalmente presso la stessa Soprintendenza e Il Castello Svevo .
L'ex Convento dove ha avuto sede la Mostra ospitava nell'antichità poveri e ammalati e in occasione della peste del 1522 fungeva da centro di prima assistenza per i colpiti dall'epidemia.
Ma veniamo alla mostra dei dipinti, che è stata organizzata velocemente ma con grande entusiasmo, assemblando i quadri esposti nei vari uffici della Soprintendenza e dunque solitamente con scarso accesso per il pubblico.
L'idea è nata da un'illuminazione del nuovo giovane Soprintendente, architetto Carlo Birrozzi, marchigiano, che ha intenzione di rinnovare la fruizione dell'arte con idee moderne e innovative.
Non tutti i quadri sono stati restaurati, ma questo avverrà certamente in futuro . Per l'esposizione sono stati utilizzati dei pannelli conservati nei depositi che sono stati ripuliti e resi di nuovo funzionali al fine di ospitare e valorizzare tutti i dipinti.
Tutta la pre-organizzazione ha richiesto grande impegno emotivo e coinvolgimento da parte del personale della Soprintendenza. A svolgere un ruolo "speciale" di guida turistica è stato chiamato il critico Pietro Marino, che è anche giornalista, particolarmente addentrato nel periodo storico delle opere esposte, che precede la Seconda Guerra Mondiale.
Gli artisti protagonisti della mostra sono in parte conosciuti, ma alcuni assai meno. Questa è stata l'occasione per celebrare le loro intuizioni e il loro genio.
La poca notorietà di alcuni non svaluta la mostra, perché anche quei pittori meno noti offrono il loro meglio in forme d'arte che costituiscono un'eccellenza di quel particolare periodo nel quale dominavano le nature morte e i paesaggi (di Puglia e Basilicata) .
Il pezzo più interessante è un quadro di Onofrio Martinelli nato a Mola di Bari nel 1900 e morto a Firenze nel 1966.
Il titolo di quest'olio su tela molto grande ( 140 x 190) è "Composizione di nudi", collocato originariamente nel Castello Svevo di Bari, dove tornerà.
I protagonisti sono giovani uomini... privi di vestiti, o appena coperti dall'essenziale.
Essi condividono forme di cameratismo maschile a contatto con la natura. Il tutto con l'aggiunta di  colori naif nei dettagli, in un insieme privo di qualsiasi morbosità.
Da rilevare che la risposta del pubblico per questa e tutte le altre opere è stata trionfale; in molti hanno chiesto di acquistare tali dipinti (che non sono in vendita) nella convinzione che essi potessero abbellire degnamente seconde case e salotti.
Un'arte di interni cupi quella di Giuseppe Ar, artista di Lucera nato nel 1898 e morto a Napoli nel 1936.
La Canonica è una veduta di mura chiuse e vittoriane, che non avrebbero stonato come ambientazione di una delle prime opere di Alberto Moravia, Gli Indifferenti. Il chiuso di un ambiente spartano è ritratto con passione dall'artista e desta ammirazione per il coinvolgimento emotivo che niente concede ai vezzi decorativi dell'epoca.
Di Roberto De Robertis, nato a Gravina di Puglia nel 1910 e deceduto a Bari nel 1978 è la Figura di Donna del 1939, su tavola a olio 50x66. Collocata presso lo stesso ex Convento della Scarpa, la pittura mostra una donna in abito verde, ritratta di profilo, su sfondo grigio. L'aria della signora è per metà pensosa, l'altra metà ieratica.
Trattasi di persona ritratta nella sua maturità, concetto definito anche dalla scelta dei colori dello sfondo, principalmente il grigio, con in più una sezione di marrone.
I colori poco vitali, dimessi e nello stesso tempo solidi simboleggiano la raggiunta consapevolezza del soggetto.
Ella potrebbe essere una "sciura" milanese: De Robertis si formò a Milano e studiò all'Accademia delle Belle Arti di Brera, conoscendo finanche l'intellettuale e giornalista Margherita Sarfatti, che fu anche l'amante di Mussolini.
Ma le donne non sono soltanto soggetti di ritratti: in questa speciale mostra troviamo diverse pittrici di talento come Donatella Pinto (Bari, 1908-Milano, 1963). La Pinto è autrice di una "Natura Morta-La Figurina di Tanacra" piuttosto elaborata e quasi "barocca". La sua arte fu presente alla Quadriennale di Roma del 1931-35-39 assieme ad artisti del calibro di Guttuso, Balla e Sironi.
La lucana Maria Padula, nata a Montemurro provincia di Potenza, vede la sua "Belliboschi" come un'opera d'immediato impatto. Esposta in origine al Castello Svevo, questa pittura di olio su tela fa parte della corrente neorealista alla quale la Padula aderì.
Trattasi di un paesaggio semplice ma non banale, nel quale domina il verde di un bosco circoscritto situato con alle spalle una grande valle.
Ancora natura col "Paesaggio Campestre" di Lo Presti , che fa parte della vasta collezione del Castello Svevo.
Il fascino della campagna è raffigurato in modo vivace, grazie agli sbalzi di verde.
Il viottolo in discesa dona al dipinto un'idea di movimento, come se lo spettatore stesso si trovasse "dentro" il quadro, a percorrere quell'amena stradina .
Mimina Mincuzzi, nata nel 1915, sarà ricordata per la sua "Natura morta con funghi" del 1936, conservata anch'essa presso il Castello Svevo.
Nel quadro una tipica giara fa da arredo a una tavola decorata con funghi freschi di bosco e frutti, come l'uva.
L'opera ricorda quando l'alimentazione era basica, genuina e contadina e con i suoi vivaci tratti mette quasi "appetito" .
Essenziale è il dipinto di Giovanni Conte (1911-1974) "Paesaggio".
Il paesaggio in questione è composto da una casupola bianca costruita a ridosso di un lungomare caratterizzato da un marciapiede di alberelli spogli e stilizzati.
Il "Paesaggio Pugliese" di Michele De Gioia (1896-1969) mostra la tipica masseria delle nostre campagne, affiancata a un muretto in pietra.
La cifra di questo quadro è all'insegna della sobrietà e dell'essenzialità, senza inutili fronzoli che snaturerebbero la realtà di luoghi antichi, incontaminati e che di recente vengono rivalutati, magari perché attrezzati a locande di lusso o resort per cure di bellezza.
Si distingue per diversità dagli altri paesaggi quello tipico della Basilicata di Michele Giocoli (Potenza, 1903-1989).
In questo "Mattino D''Inverno" ( paesaggi invernali del 1936) ecco delle case di paese imbiancate dalla neve che nell'insieme formano una specie di presepe.
Ciliegina sulla torta della mostra un originale olio su tela che raffigura una natura morta con protagonisti dei balocchi.
Il titolo è "I giocattoli del bambino povero".
Ecco un cavalluccio, una palla marrone e una bambola distesa con la sua capigliatura disordinata e spiovente.
Tre oggetti tipici dell'intrattenimento infantile della prima metà del secolo scorso : il cavalluccio era uno dei giocattoli più ambiti dai maschietti, la palla è unisex, la bambola per le femminucce.
Interessante è lo sfondo giallo, che dona vivacità e smorza la povertà dei balocchi, mentre il pavimento marrone, essenziale, raffigura una casa della borghesia medio bassa o di proletari.
ROMOLO RICAPITO

 

 
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