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lettera aperta di un precario

Post n°150 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da lizrael1

lettera di un precario.... mi faccio carico del suo pensiero.


Tu che firmi gli accordi,
tu che mi rappresenti in azienda,
tu che sei il mio tutore e difendi anche i miei diritti,
si tu che sei anziano o maturo sostanzialmete che hai più anni lavorativi di me.
... Tu che hai una famiglia, dei figli, si come me.
Tu che lavori al mio fianco e lavori come me.
Tu che hai uno stipendio un terzo più di me, si tu perchè firmi un accordo che mi toglie ciò che hai conquistato negli anni e mi ritrovo grazie a te.
Quale colpa ho se sono un precario.
mi viene da pensare che se "Monti" vi toglie l'art.18 dovrei gioire, cosi siamo tutti uguali.
Chi lo sà, forse alle aziende saranno felici...... manderanno via i 50enni e assumeranno quelli come me.
Costiamo già cosi poco che con uno di voi ci pagheranno due di noi.
Io non la penso cosi, sarebbe un ritorno al passato, indietro nel tempo.
Pensaci, noi già ci pensiamo, noi vogliamo essere come te e non il contrario.

 
 
 
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Indifferenti

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

11 febbraio 1917

 

 
 

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