Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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RICORDO DI BRUNO D'ALFONSO, GRANDE DISEGNATORE UMORISTA, AUTORE DELLE STORIE DI CIACCI
Post n°70 pubblicato il 18 Dicembre 2012 da Jiga0
Nato con la matita - (il Foglio, 18 dicembre 2012) Adesso, lo sappiamo. Nella totale invisibilità, il 7 novembre a Roma è scomparso come se non fosse mai esistito uno dei più grandi disegnatori umoristici italiani degli ultimi quarantanni: Bruno D’Alfonso. Succede di scoprirlo chi trenta, chi quaranta giorni dopo: quelli del settimanale satirico Il Male, gli amici, il mondo del disegno, tutti derubati della sua fine. Come se invece di mancare tra telefoni, iphone, Tv, social forum, fosse finito sotto a una sequoia in mezzo al Canada. Ma non saprei se stiamo parlando della scomparsa di D’Alfonso dalla nostra vita, o della scomparsa di tutto il mondo dalla sua. Bda, bandiera del velenoso oblio. Ha parlato con miriadi di vignette e strisce su Linus, Comix, sull’arcaico inserto satirico di Paese Sera, il Tramezzino, sul Mondo, la domenica del Corriere, su Satyricon, la cronaca del Corriere. Con uno humor candido, meraviglioso, come quello stupefacente dei “Bamba”. Divenne celebre per il suo “Ciacci”, esilarante strip sulle avventure scolastiche di un gruppo di ragazzi in un liceo romano (scritte con Francesco Cascioli - anche lui prematuramente scomparso due anni e mezzo fa) - pubblicate su Linus e Acme, e fatte libri tra il 1985 e il 1994 da Milano Libri, Tango edizioni e Rizzoli. BDA lo conobbi al Male a fine anni ’70. Lui e Cascioli ridevano come se schiamazzassero, le parole erano indistinguibili. Eppure quei due lavoravano. Di sé come autore, D’Alfonso parlava a bassa voce. Anni fa, mi raccontava sempre al telefono le vignette che aveva appena disegnato per l’edizione romana del Corriere. Parlava così piano che non lo sentivo. Finché nella cornetta gorgogliava una risata: era la fine della vignetta. Poi la voce tornava normale e si sentiva benissimo ogni parola. Bruno si vergognava di essere bravo. Dicevi “bellissima” di una sua vignetta, e lui diventava paonazzo, le grandi palpebre calavano come una saracinesca. Per BDA essere umoristi significava disegnare scherzi. In privato poi raccontava i suoi personaggi perché il mondo li proteggesse, e i personaggi erano dei BDA con i pantaloni lunghi che avrebbero dovuto essere ancora corti. Nominava Gesù, Medjugorje, la Madonna, e gli amici, e sì che gli volevano bene, retrocedevano. Bruno si rintanò: temeva di sottostare al secolo, a nuovi eccessi. Non voleva essere corrosivo, ma amorevole, e le sue vignette erano un umanesimo aereo. Palloncini. Tra quelle pubblicate in memoria sul blog di Luca Boschi, ce n’é una dove due tali camminano fianco a fianco sul marciapiede. Uno è un gigante capellone, l’altro un minuscolo signore con la barbetta e il cappello. Il capellone si confida: “La trovai a letto con il barbiere e ormai sono dieci anni che non ci parlo più”. E l’amico: “Con tua moglie?”. “No, col barbiere!”. C’è la comicità del rapporto impossibile tra un capellone e un barbiere e anche il racconto di un amore finito, quei due che camminano assorti mentre si dipana la confidenza del dolore. E la sfumatura del punto esclamativo di “No, col barbiere!”, dove il capellone è spazientito di non essere capito nel proprio dolore. Si dirà: inezie. Ma guardate quanti particolari per una narrazione umoristica. Da tempo lo assillava che non gli venisse più riconosciuto lo statuto di artista, di essere lasciato senza il lavoro, dimenticato - come un altro grande disegnatore del Male, morto anni fa, Angese. D’Alfonso era sostenuto dall’affetto dei quattro fratelli (la sorella vicina di casa, Alberto, artista anche lui, sassofonista con Carosone e poi con Brignano), o se ne andava a suonare la chitarra in parrocchia. Ma su di lui, si rovesciava un destino da Giobbe: il matrimonio storto; l’incomprensione permanente con la satira; la perdita della vista; la fine del disegno; gli amici svaniti; vivere della magra pensione; il tram che lo investe e lo sfigura; guarire inutilmente e nuotare nei calmanti per il dolore; il “leggero” ictus. Il poliziotto che alla fontanella lo aggredisce per sbaglio e gli rompe un braccio - lo racconta all’amico Dino Aloi, non spiegandosi tutta quella sorte negativa (non è forse Giobbe?). Poi, il 7 novembre, scende per aprire al postino, risale, cade per le scale e muore. Mai una fortuna. Eppure era nato con la matita.
Alessandro Schwed
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