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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

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JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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NON E' LA FINE DEL MONDO CHE NON E' LA FINE DEL MONDO

Post n°72 pubblicato il 24 Dicembre 2012 da Jiga0
 

 

Scherzi da prete maya      (21 dicembre 2012, Huffington Post)

di Jiga Melik

Non è la fine del mondo perché non è la fine del mondo. Per capirlo, si fa così. Se uno guarda dalla finestra e vede le auto in terza fila, scippi, un’edicola di giornali che vende il  busto di Hitler, una nube di cocaina nell’aria e la gente che la raccoglie col mestolo, è una giornata normale.   Ma nel caso remoto ed estremamente deprecabile che sia la fine del mondo (per dire come è delicato gestire l’apocalisse quando non è una metafora giovannea), è fuori luogo dire ai figli piccoli che non è la fine del mondo se la casa di fronte sta entrando in una voragine e i pipistrelli mordono il collo. Il punto è che la frase proverbiale “è la fine del mondo”,  così come quella di valore opposto, “non è la fine del mondo”, richiedono che ci sia o non ci sia affatto la fine del mondo, e in queste ore usare una o l’altra espressione fa la differenza. Se è la fine del mondo, non  è la fine del mondo perché si sapeva da un pezzo che ormai era la fine del mondo. Se invece non è la fine del mondo e piove e basta, sai chi se ne frega, non è la fine del mondo.  Lo so, non è semplice. Ricominciamo. Partiamo intanto dall’esito estremamente amaro per le nuove generazioni che purtroppo non è la fine del mondo. Ebbene, non ha senso cercare di consolare dei ragazzi che puntavano sull’apocalisse per allungare le vacanze di Natale. E’ sbagliato dire loro che se non è la fine del mondo è una cosa molto positiva, quando per rasserenarli basterebbe una paghetta da venti euro. Il fatto è che per le masse giovanili la fine del mondo è un fenomeno di tendenza. Per molti adolescenti, la scuola che crolla o l’incendio del parrucchiere sono un modello estetico. Semplificando, un rave party dove partecipano anche la polizia e il Santo Padre.  A tutto questo va aggiunto un elemento linguistico poderoso. “E’ la fine del mondo” è una frase sia di valore figurato che realistico. La sgretolante “è la fine del mondo”, o la consolatoria “non è la fine del mondo” sono iperboli da usare con grande consapevolezza culturale. Non crediate di poter dire “è la fine del mondo” dappertutto. Per esempio, se in una discoteca affollata dove a mezzanotte si attende la fine del mondo,  un ragazzo grida a una ragazza che è la fine del mondo, la gente fugge a gambe levate e c’è una carneficina. Ma  nel caso non risultasse chiaro, lo ripetiamo. Non è la fine del mondo se non è la fine del mondo, è esattamente il contrario: che è la fine del mondo se è la fine del mondo. Ora, non potendo svolgere in tempo utile una ricerca linguistica certa, non possiamo sapere se nell’immenso altrove di tutte le nazioni esistano locuzioni coincidenti con la frase italiana “è la fine del mondo”, o la speculare “non è la fine del mondo”. E così, non sappiamo se a Pechino esista un’espressione in lingua mandarina corrispondente alle due frasi italiane  “Non è la fine del mondo”, oppure alla similare ma opposta  “Non  è la fine del mondo”, e dunque in Cina si venga  compresi esattamente come in Italia quando diciamo queste due frasi, avete capito bene quali, comunque se adesso ve le ripeto, non è la fine del mondo, la prima è : “Non è la fine del mondo”, e  la seconda è “Non è la fine del mondo”. Quello che possiamo fare è dissuadere chi attende la mattina del 22 dicembre e con la scusa che non è la fine del mondo dire a un coniuge o a uno dei nonni: “D’ora in poi, se apparecchi tu non è la fine del mondo”. Ultima cosa, per quanto morbosa, non sarebbe sbagliato provare a considerare che nel giorno previsto dai Maya, la fine del mondo poi ci sia davvero ma in modo ingannevole la sera alle dieci con il sole che spacca le pietre. E la conferma che qualcosa non torna sia la caterva d’acqua e balene che piove in testa dal Polo Sud che è risalito verso nord, mentre noi precipitiamo in cielo attaccati a una credenza. Quella, si capisce anche a occhi chiusi, è la fine del mondo, anche se nessuno ormai potrebbe dirci che questa non è la fine del mondo, perché se è la fine del mondo in giro non c’è più nessun testardo così vivo da dire che non è la fine del mondo quando abbiamo la testa infilata in un cratere della Luna. Basta pensare che erano cinque giorni che sul pavimento del salotto operava il cratere di un vulcano e non c’era verso di stuccare le mattonelle. Poi c’è un problema di comunicazione. Se nel centro di Bolzano c’è della gente che nuota attaccata a un pezzo di Tibet, vuol dire che la fine del mondo c’è già stata, e quando la fine del mondo c’è già stata, dire “è la fine del mondo” è una metafora spenta. Ma prendiamo pure in considerazione la possibilità che quando non ce l’aspettiamo più, tra quindici giorni si verifichi la fine del mondo. E adesso non ditemi che non sarebbe la fine del mondo solo perché mancano due settimane.  E così, invece di venerdì 21, la fine del mondo si scatena il 10  gennaio alle 6.30 del mattino, mentre siamo a letto a dormire.

   Esattamente in quel momento, con la bellezza di venti giorni di ritardo, si spalanca il pavimento della camera matrimoniale e precipitiamo nel nucleo incandescente del pianeta. Non ha senso protestare: se dopo tre milioni di anni, la fine del mondo è in ritardo di venti giorni, non sarà la fine del mondo.                    

 

 

 
 
 
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