Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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Tv / Tale e quale Show. Le strade del nuovo varietà
Post n°113 pubblicato il 31 Ottobre 2015 da Jiga0
Dopo la parodia, il ritratto (l'Unità, 31-10-2015) di Alessandro Schwed Premiata dagli ascolti, arriva in Tv un nuovo modello di imitazione, vicino al ritratto. Quasi sempre lontana dalla comicità, al massimo ironica, quest’imitazione restituisce il cuore alla Tv, ed è il “Tale e quale show” di Carlo Conti. L’idea: ricostruire le vibrazioni dei cantanti, viventi o scomparsi, facendo cantare gli attori, a parte Karima, autrice di un’Aretha Franklin al tritolo. L’interpretazione prende dunque il posto della parodia, puntando più all’imitazione dei sentimenti che della voce, fino a ritrovare il cantante. A partire dal titolo, “Tale e quale show”, la promessa è la realizzazione della verità, non la caricatura. All’impresa concorrono la ripresa televisiva, la fotografia e una trasformazione delle sembianze che sta più alla fantascienza che al teatro, all’iperrealtà che alla realtà. Al di là di uno spettacolo televisivo che un tempo sarebbe stato di gusto nazionalpopolare e la cui formula – imitazioni e un conduttore - corrisponde in astratto a un programma di Baudo, le puntate scorrono su un palcoscenico e su volti che la Tv guarda da vicino. Osserviamo da casa, viso a viso con loro, le trasformazioni prodotte dalla cosmesi, lo spettacolo nello spettacolo dei falsi menti, dei nasi adunchi, e ogni particolare induce a chiedersi dove siano finiti i veri lineamenti. Poi dipende dagli attori. È il caso del De Gregori di Massimo Lopez, artista di versatilità, umiltà e un’anima non conosciute dal grande pubblico. Ricorderemo la levatura attoriale e quell’esalare la voce fine nel “generale dietro la collina”, un De Gregori visto da vicinissimo. Lo stesso per l’Edith Piaf di Giulia Luzi in "Non, je ne regrette rien". Del resto al “Tale e quale show” il solo e unico autore è l’attore. In certi casi, come per Piaf-Luzi, alla vertigine di quanto si vede e si sente, una voce bellissima in sé, si unisce la malinconia per un’epoca resa irripetibile e remota dalla canzone e da quella cantante irripetibili. Ad alimentare la tensione quasi insopportabile di troppa bellezza, si unisce il ripensare quella generazione, la gioia di Parigi libera dal nazismo, la giovinezza sfrontata - che pure ci fu. La verità è che per restituire la magia di "Non, je ne regrette rien" servono, sorpresa! grandi ritrattisti più che cantanti, uno sguardo di attrice che è la messa a fuoco di Edith Piaf e degli stracci di una povertà luminosa. Se no, la stranezza: dopo una serie di prove fiacche, un attore spicca il balzo una sola volta ed è la luce, Si parla di Walter Nudo e della sua Cher di “Strong enaugh”, esibizione al limite di un travestitismo elegante, sfiorando il cabaret berlinese degli anni Trenta. Qui Nudo si è rivelato attore fantastico, sensibile, cui sarebbero necessari un cinema e una Tv plausibili e forti proposte artistiche – che si aspetta? È incoraggiante che questo accada in televisione, luogo d'elezione dell’usa e getta. Bello, questo teatro di emozioni, nuovo e al tempo stesso primario, ne abbiamo bisogno, e dire che sembrava perduto. Per affacciarsi alla finestra umana del vero intrattenimento è necessario uccidere la falsa comicità, il vacuo, le risate preregistrate, ricostruire quello che fa battere il cuore. A proposito, c’era del buono nel vecchio varietà, saperla lunga sui sentimenti. Era il teatro popolare emigrato in Tv nella seconda parte del Novecento. Quando la gente andava a teatro a spensierarsi e a commuoversi della verità. La lunga assenza televisiva di un autentico intrattenimento è stata coperta dalla presenza della comicità senza comici e artisti, i Cochi e Renato, Villaggio, Iannacci e l’anomalia chiamata Gaber. La sola capacità è stata il cinismo, la brevità estrema, pelo sullo stomaco, il raddoppio di spazi pubblicitari - mai il cane con i capelli di Iannacci, ma risate epilettiche, malate, più per sopravvivere che per vivere. Le battute-tormentone dette per lanciare i programmi. Il successo, la sola meta. Più una forma di comunicazione pubblicitaria che di arte. E ora in tv piovono pezzi di cuore. Bene no?
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