Schwed RaccontaSu e giù per la tastiera |
C'ERA UNA VOLTA MONTALCINO
JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED
Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
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Il povero Jacques
Post n°119 pubblicato il 03 Agosto 2016 da Jiga0
Tag: attentati, Charlie, Chiesa, conformismo, don, glamour, Kabul, like, parrocchia, sinistra, solitudine Appunti sulla solitudine di un prete anche dopo sgozzato Non ho mai amato l'ossessione di scrivere siamo tutti Charlie, siamo tutti questo e dopo una settimana siamo tutti quello, peccato perché deriverebbe dallo striscione che apriva il corteo del maggio dove fu scritto siamo tutti ebrei, quando della Shoah non parlava nessuno e la fratellanza era una bandiera vergine, tenuta bella alta. Ora che essere di sinistra è lontano e indistinguibile, e restiamo umani è una parola d'ordine fresca e già opaca, noto due silenzi consecutivi dei siamo tutti charlisti: quello sugli 80 morti di Kabul e quello su don Jacques. Quanto ai morti di Kabul, non sono percepiti per via del nostro razzismo atavico, le loro grida sono un rumore di fondo che si perde tra le urla delle persone trucidate a Nizza e la pubblicità dell'estate di quello sulla spiaggia che corre verso una ragazza e una voce canta sei lentissimo. Monaco, Charlie, quello sulla spiaggia sono spot che piacciono, Don Jacques no. Può darsi che ci sia dell'imbarazzo estetico a dover scrivere quel parrocchiale "don" prima di Jacques, ad avere proprio sentimenti per un prete. È questo che ci condanna a sparire, non l'Isis. La pochezza. Viene in mente il silenzio assoluto sui cattolici trucidati nelle chiese di Mossul o Bagdad, gente di serie b, irakeni e poi cattolici. Cosa c'è di meno glamour? Curiosamente, il povero Jacques non è percepito anche se è francese come i poveretti di Charlie Hebdò. In effetti, noi stiamo pagando le conseguenze della nostra solidarietà a corrente alternata, che non può riguardare i cristiani la cui morte non fa guadagnare uno straccio di like. Ma a chi volesse scrivere siamo tutti Jacques, senza don, vorrei ricordare che lui era don Jacques ed è stato sgozzato perché era un prete. Il silenzio sulla sua morte è uno scandalo laico. Restiamo umani. |
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