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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

Su e giù per la tastiera

 
 

ICONA RIVISTA IL MALE

 

JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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LA VIA DEL PAVONE, E CIOE' UN FIORENTINO A ROMA

Post n°95 pubblicato il 18 Febbraio 2014 da Jiga0

 

Alla ricerca del pavone

di Adam Smulevich (Febbraio 2014, Pagine Ebraiche)) 

Osservare i piccoli movimenti della realtà, quasi indecifrabili a occhio nudo. Ed elaborarli dal proprio osservatorio giocando con le parole, le situazioni, i personaggi. Questa la molla che ha spinto Alessandro Schwed a una nuova prova letteraria intrisa di humour e sentimento. In La via del pavone, edito da Mondadori, l’autore racconta la storia di un architetto agorafobico in cerca di un pavone – affidatogli dalla terribile suocera Nelly Terracina, detta “la Faraona” – che dalla terrazza del suo appartamento decide (lo sventurato) di prendere il largo e avventurarsi per le strade di Roma. Attorno a questo scalcinato inseguimento urbano, ricco di colpi di scena, prendono forma i tanti mondi e le tante sfumature della Capitale. Un tocco leggero li offre al lettore attingendo a piene mani dal vissuto personale, dagli anni di Jiga Melik e dell’esperienza al Male, straordinario laboratorio di satira che avrebbe segnato un’epoca.

Roma, i suoi segreti, le sue contraddizioni: una varietà nella quale ad emergere è – a più riprese e in modo palese – l’imprescindibile componente ebraica che ne anima da sempre la quotidianità. Che si tratti di protagonisti in carne e ossa o di espressioni idiomatiche, il riferimento è infatti costante. E così la terribile Faraona diventa il veicolo ideale per sfatare quello che l’autore ritiene un cliché: la yiddish mame, la mitica e superprotettiva madre ebrea tratteggiata da tanta letteratura di successo, non sarebbe una peculiarità ashkenazita ma, sostiene Schwed, patrimonio di un’umanità più ampia e sfaccettata. L’autore ci scherza su, proiettando la Faraona in una dimensione di tipo imperialista. Soprattutto nei rapporti con lo sventurato cognato, incapace di opporsi in modo adeguato allo strapotere della suocera. “Mamma – scrive l’autore – è arduo associare questa parola, golfo di tenerezza, a Nelly Terracina. Invece è plausibile associare Nelly Terracina a ‘cactus’, ‘tagliola’ e onestamente anche a ‘soda caustica’. Semmai è più naturale associare ‘papà’ a Nelson (il marito di Nelly, da poco scomparso, ndr), generoso e mite. Certo, mai visti due sposi così diversi: Nelly Napoleone Terracina e Nelson Zucchero D’Ancona”. Altro personaggio leggendario è Elvio Spizzichino, figurante centurione davanti al Colosseo e formidabile ambasciatore del linguaggio giudaico-romanesco. Sarà al fianco dell’architetto Campennì in alcuni passaggi chiave della vicenda: tenterà vanamente di recuperare il pavone dal tetto del tram numero 3 (partito da Ostiense e arrestatosi proprio davanti al Colosseo), lo seguirà in una folle rincorsa in moto (con indosso l’abito da centurione, fatto che non passerà inosservato) e involontariamente disturberà la quiete della sonnolenta via delle Pesche (strada immaginaria, ma inserita in un contesto del tutto verosimile). “Spizzichino un personaggio umano e ricco di sensibilità, un puro di cuore. È uno dei personaggi cui sono più affezionato”, spiega Schwed. Anche perché, attraverso la iniziative che adotta ma anche nei dialoghi con Campennì, l’autore sviluppa uno dei temi a lui più cari: il rapporto tra uomini e animali, la simbiosi possibile e anzi inevitabile tra i due mondi. Un incontro che ha il sapore della spiritualità. “Tu – dice Spizzichino all’architetto – potresti esse’ un giusto tra le nazioni, potresti... qui c’è del mistero, c’è. Fai pensare: l’animale non è tuo, e va bene, ciò lo abbiamo capito, ma se dobbiamo aggiustare la situazione è necessario che me lo dichi: a lui ce vuoi bene? Io so che ce lo vuoi, te se legge come la Torà, e allora, abbi pazienza: dichilo!... Ho visto come ce sei rimasto prima, quanno che è scappato. Voi due siete legati”. E All’architetto che oppone una tenua resistenza, conferma: “Voi due, lo sento nell’interiorità dell’interiore, siete legati. Lui te sta a chiede ‘na cosa. Che cosa, Campe’?” Campennì non ha la minima idea di che stia succedendo da qualche ora, ma gli pare che ci sia qualcosa di vero nelle parole del gigante. “Capisci che intendo archite’? Se è così, quello se fa ritrovare, se fa!”.

Dodici sono gli anni trascorsi da Schwed, fiorentino, a Roma. Un ricordo che è ancora vivo, specie delle indimenticabili avventure vissute nel rione di Trastevere con quartier generale vicolo del Cedro, una di quelle viuzze – a pochi metri dalla più popolata Santa Maria in Trastevere – dove ancora oggi persistono antiche tradizioni e antiche modalità comunicative tra residenti. Una traccia di quell’esperienza la si trova in tutto il libro. È anzi il filo conduttore di una lettura piacevole dalla prima all’ultima pagina. “Amo Roma – dice Schwed – amo i suoi molti volti, amo le incredibili situazioni che possono generare nei suoi diversi quartieri. Una città a strati, che non può lasciare differenti. Nel libro ho cercato di rendere questo sentimento e allo stesso tempo la complessità di un mondo che vale la pena di esplorare partendo dai segnali superficialmente meno visibili”.

 

 

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