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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

Su e giù per la tastiera

 
 

ICONA RIVISTA IL MALE

 

JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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"ISRAELE CHIUDE TUTTO E SE NE VA" I° cap. dal romanzo " La scomparsa di Israele"

Ben  Gurion e Albert einstein

 

  

  

  

Israele chiude tutto e se ne va. 

Difficile negare che questa notizia, se chiamarla notizia ha un senso, da noi allieti inconfessati strati dell'opinione pubblica. Una notizia che è un annuncio della Storia e che in queste settimane sta facendo il giro del mondo, e ancora per qualche tempo, forse, lo farà: l'atto con il quale la Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, ha deciso all'unanimità, in una immensa solitudine, l'autoscioglimento dello Stato di Israele.
Un gesto senza contropartite, e quali ne potrebbe avere? E senza precedenti, come senza precedenti era stata la nascita improvvisa di questo stato. Infine un atto insindacabile, e ancora una volta unilaterale, che trova d'accordo certamente la Palestina e poi l'Islam sia politico sia spirituale; ma anche chi, nel nostro paese, si riconosce in quella corrente d'opinione pressochè ufficiale che è l'antifascismo antisionista. Da giorni, da settimane ormai, sappiamo della decisione presa dall'unanimità politica e legislativa del popolo di Israele. Un vero e proprio tutti a casa che il nuovo premier di Gerusalemme non ha voluto spiegare ai media del pianeta e del resto non lo ha voluto fare alcun esponente del governo e dell'opposizione. Agli atti c'è soltanto la scarna nota dell'esecutivo con la data in calce, e poi quel lungo silenzio di quando l'Assemblea legislativa ha votato all'unanimità la decisione cosiddetta del Secondo Ritorno. Su tutto questo nessuno è stato interpellato: ne Bush, ne Blair ne l'Unione Europea. Siamo davanti ad un misteroe possiamo soltanto fare ipotesi. Intanto non è una decisione politica, ma una decisione che è stata definita "personale e generale", l'unica coloritura concessa, quasi che la risoluzione fosse parte di una stanchezza che ormai non permetteva neanche le parole. Andandosene dalla Galilea e dalla Giudea, montando sulle navie partendo per sempre, forse gli ex israeliani sperano di cambiare il destino ebraico; di cancellare con un colpo di spugna il pregiudizio democratico verso il sionismo, e quello ancestrale verso gli ebrei. Giunto al culmine di un disaccordo universale trasformatosi in odio biliare, lo stato ebraico ha sentito la responsabilità di mettere la parola fine a se stesso prima che la catena degli atti di avversione, da quello per così dire minimo di bruciare la bandiera con la Stella di David, ai kamikaze, alle quotidiane minacce iraniane, degenerasse in una nuova tragedia della Storia.
E quello di Israele sarebbe un vero e proprio tutti a casa, se non fosse che stavolta una casa dove tornare non c'è più. D'altra parte, se come diceva Kafka a Buber, gli ebrei sono uomini d'aria, adesso viene da dire che Israele era soltanto un luogo interiore e ogni ebreo può rifondarlo dove vuole. Intanto la nazione che se ne va con un trasloco simultaneo in tutte le direzioni, è una decisione operativa. I palazzi di molte città israeliane sono già vuoti, e vuote le città, le macchine abbandonate lungo le vie, simili a immensi stormi di uccelli morti. Come se una catastrofica fretta di tornare a essere amati, avesse guidato questo nuovo, assurdo esodo che avviene come in una pellicola mandata indietro, dove l'acqua che sgorga rientra nel rubinetto. Questa è la fine, o forse l'evaporazione del moderno stato di Israele. A Gaza e nei territori neanche si festeggia con gli spari; prevale una sorta di rintronata delusione. In ogni caso, è certo che non si tratta di un trucco, ma della fine di un lungo contenzioso ebraico con la Storia. Ognuno che abbia appena finito d'essere israeliano, se ne torna non sapremmo dove; per lo più si puo dire che se ne va. Dopo qualche generazione, ricordiamo che numerose famiglie erano in Erez Israel da oltre un secolo, si torna a precedenti appartenenze: a una Russia senza più Lenin e zar; a un'Austria e una Germania senza Francesco Giuseppe e Hitler, e dunque qualcosa non torna. Salutati dai notiziari televisivi di un pianeta a un tratto grato e sollevato, gli ebrei, queste persone a cui si chiede ciò che non è mai stato possibile chiedere a nessun altro in nessuna parte o luogo della Storia, smontano la vita e se ne vanno.
Tornano al loro statuto di senza patria, di responsabili dell'esistenza di ogni male; si ricongiungono a quella passività a loro congeniale che il pensiero democratico non ha saputo riconvertire nella dimensione degli ebrei come uomini in piedi, nel luogo che ormai fu lo Stato di Israele . A molti risulta chiaro che Israele avrebbe dovuto essere un rifugio dopo la Seconda guerra mondiale; non una nazione vera, con il Parlamento, le scuole e persino l'esercito. Il suo compito sottinteso era d'essere uno stato a disposizione, privo di sovranità nel senso vero della parola; una rappresentazione teatrale violabile da missili, kamikaze, eserciti. Un luogo dove ognuno si accomodasse. Israele invece ha fatto politica, respinto invasioni e a sua volta invaso. Ha preteso di costruire una propria Storia. Ha commesso ingiustize. Ha addirittura legiferato.
Era logico che un giorno finisse questo paradosso di essere un posto come gli altri. Adesso gli ebrei di Israele tornano in Russia, Francia, vanno in America, o per esempio in Polonia. Arriveranno con le valige davanti alle proprie case di cento anni fa e quelle case non ci saranno più. Con un esempio struggente del destino che si rinnova in questa ulteriore diaspora, a Varsavia si sta ricostituendo il ghetto, con l'idea di ripristinare una tradizione e una presenza. Difficel tentativo. Molti in Polonia non sanno cosa fosse il ghetto, e non capiscono questa arrogante pretesa ebraica di tornare dopo sesssantuno anni a dire questa è casa mia. E questo è così buffo. Del resto, meglio così. Era erroneo e molto poco popolare mettersi a contrastare l'idea che Israele fosse un'invenzione artificiale della Storia. Bè, adesso il problema non c'è più. Se ne sono andati. Magari rimarrà qualche pazzo invasato a Mea Sharim. Kabalisti, gente che danza con i rotoli, qualcuno della nazionale di basket. Ma il più è fatto, non c'è neanche bisogno di fare manifestazioni. Israele è vuoto. E' tutto risolto. Gli Ebrei si rispargono per il mondo. Possono tornare a fare quello che vogliono: i clown, i miliardari massoni, i medici dei papi, i miserabili, i comunisti; possono scrivere libri e film per ridere e piangere, e declamare poemi sulle nuove rive di Babilonia. Convertirsi al cattolicesimo, stare di nuovo nascosti sotto cognomi come Sabbatini, Orvieto, Di Cori. Certo, ora che Gerusalemme, lo Iad Vashem è chiuso, essendo a questo punto luogo di una memoria indecifrabile e di non si sa quale identità; ora che le erbacce ricoprono i muri e gli elenchi dei cognomi. Che la città di Haifa è una immensa discarica per i materiali tossici dell'Iran e della Russia; che la Knesset è un pisciatoio di gatti randagi; il Muro del Pianto finalmente in mano ai suoi veri eredi spirituali, i turisti; che all'aeroporto Ben Gurion atterrano soltanto i gabbiani. Ora che le case della ex nazione sono vuote; le librerie rovesciate, i boiler divelti, i fili elettrici strappati; le anagrafi di Cesarea, Beth Shean, Tel Aviv, abbandonate in un pantano di computer con i teleschermi rotti, il mondo può tornare a sorridere. Sono risolte le questioni iraniana, irachena, siriana, libanese, afghana, saudita, libica, curda, pachistana e cecena: per decine di migliaia di chilometri si sente soltanto la libera voce di Al Jazeera. A un prossimo 25 aprile i fantasmi della brigata ebraica sfileranno in una Milano deserta per assenza di odio, e i passanti non capiranno cosa siano i triangolo sovrapposti su quella bandiera fatta come una specie di tovaglia a quadri azzurri. Ora perciò, questa gens, questo folklore, torna dal luogo che non è mai esistito. Ricostruiranno una nuova e defintiva identità provvisoria. Intanto, l'acqua torna nel rubinetto.
Alessandro Schwed fonte Il Foglio del 24.06.2006

 

 

 

 

 

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