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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

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JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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C'E' UN UFO A MONTALCINO Da quattro secoli c'è un apparecchio alieno nella chiesa di San Pietro.Ma pochi ci badano

Post n°6 pubblicato il 22 Novembre 2010 da Jiga0
 

 

 Padre,Figlio e Spirito Santo

Dal 1600, c'è un ufo a Montalcino. Il fatto insolito e il luogo, il paese del bel bere,  potrebbero far pensare che la notiziola sia sorta alla fine di una bicchierata, e che sia stata una combriccola di devoti alla bottiglia  a comporre la verità che da quattro secoli c'è un apparecchio alieno nella chiesa di san Pietro. Ma la notiziola è autentica: a Montalcino c'è un oggetto volante non identificato, e lo sanno in una venticinquina.  La gente passa accanto  alle mura della chiesa dove l'ufo è stato messo a dimora, e fa come se là dentro non ci fosse nulla. Tira dritto. La chiesa, che si chiama san Lorenzo in san Pietro, è di proprietà del quartiere Pianello, il quale grazie a un'ostinata  raccolta di fondi ancora in corso, la sta restaurando,  e ogni tanto ci fa dire messa. Vi dicevo che in paese la storia dell'ufo non ha attecchito. Non è come per la  leggenda del lupo mannaro, che le notti andava a bagnarsi giù alle fonti, ululava, ululava  e la gente si serrava in casa, quella sì è una storia che conoscono tutti.  

      Dunque l'ufo sta in chiesa, velato dalla penombra. Non che sia parcheggiato tra le navate, in attesa che il viaggiatore alieno si svegli dall'ibernazione, metta in moto e riparta bucando la cupola. Le cose sono diverse: l'ufo si trova in un dipinto. E' stato pennellato nella parte superiore di una pala d'altare, lavoro di un pittore di scuola senese, Buonaventura Salimbeni, detto anche Ventura, che in occasione del Giubileo del 1600 fece l'opera. La titolò "La glorificazione dell'Eucarestia". E oggi, anche se da una cinquantina d'anni ne discutono gli ufologi di tutto il mondo, che  classificano l'oggetto come volante e non identificato,  e anche se l'oggetto medesimo ormai troneggia nei siti ufologici della Rete, nonostante tutto questo, a Montalcino il quadro è ignorato assieme al suo enigma. L'ufo di Salimbeni  è una sfera bluastra, collocata tra il Cristo e Dio Padre. Si presenta grande dal piede al ginocchio, e va detto che per quanto appaia misteriosa, la sfera costituisce un motivo ricorrente della pittura barocca: l'allegoria dell'universo mediante il 'globo del creato'. Di solito, si trova  posizionata tra il Padre e il Figlio, sotto la colomba bianca dello Spirito Santo. Nei dipinti, la sfera può apparire trasparente, quasi fosse di vetro, o presentarsi di un blu fondo come la notte. Però, anche se i due scettri dell'imperio universale, nelle mani del Cristo e del Padre, sono elementi ricorrenti nella pittura sacra del periodo,  conducendo un'attenta osservazione, gli scettri medesimi risultano inchiavardati nel polo superiore della sfera.  Inoltre, la parte inferiore della sfera ospita una sorta di lente telescopica che proietta l'immagine della colomba-Spirito Santo negli occhi del Pontefice, assiso giù in Terra tra l'assemblea della Chiesa che sta in adorazione dell'Eucarestia. Ma il punto è che il globo del Salimbeni, l'universo, appare come uno  Sputnik. La sola differenza è che ha due antenne invece di quattro.

       La pala sta in una navata laterale. La gente viene per le rare messe dei quartieranti, o in visita personale, si siede tra i banchi e non fa caso al dipinto. Del resto, nelle innumerevoli chiese antiche dei paesi e dei borghi italiani ci sono quadri, capitelli, rosoni, e non vengono guardati perché sono sempre stati lì, confusi con le giornate. Un uomo va in quella sua chiesa per tutta la vita e succede come a casa, che uno non vede per anni il colore di una parete, eppure la parete è sempre stata lì, ogni giorno. E a Montalcino l'ufo non lo vede nessuno, dato che è stato sempre lì, ogni giorno.

      Ma negli anni '60, ci fu un'eccezione. A un tratto, se ne accorsero due ragazzi del paese, Claudio Boccardi e Roberto Cappelli, e a loro sembrò subito lo Sputnik finito in un quadro molto antico. Ma il periodo del loro avvistamento pittorico non è certo. La memoria cambia forma come le nuvole, l'aspetto dei ricordi muta un giorno con l'altro, nella stessa persona, e da una persona all'altra. Così, un pomeriggio l'ufo sarebbe stato scoperto ai tempi delle medie, e il giorno dopo, a ripensarci, a metà del liceo - forse.  Per loro, e per quelli che lo sanno, è come  se un giorno fosse stato scoperto un ordigno tondo come il satellite sovietico, proprio dentro a quel quadro che c'era sempre stato.

       

San Lorenzo in san Pietro è annidata nel fitto del paese basso. Le vecchie case con gli orti accuditi guardano la Valdorcia, e il paese diventa un borgo che nei punti più in basso confina con la campagna. Talvolta, davanti ai portoni, vi sono piante tenute dritte con una corda legata alla maniglia. L'estate cammini solleticato dall'ombra in stradicciole che si chiamano vicolo del Mistero, dove l'ombra sembra aumentare, e a un passo si accanisce il sole. La chiesa sta su una delle erte assiepate ovunque, la gente spinge paziente le gambe, e sale, e i vecchi sospirano: "Sali e scendi, sali e scendi".

       La notizia del quadro con l'ufo, rimbalza in casa mia un pomeriggio di fine giugno, buttata lì da Giovanni che è mio figlio, e l'ha saputo da un amico. Allora vado su http://www.save-san-pietro-montalcino.com/poster_it.htm C'è la pala di Salimbeni, cliccata dagli ufologi di tutto il mondo che l'hanno trasferita sui loro siti e ora troneggia on line, tra avvistamenti sigariformi e quell'arcaico bassorilievo d'astronave con dentro un pilota spaziale davanti a mille manici, il cruscotto. Però, non riesco a capacitarmi come sia possibile che a Montalcino ci sia l'ufo del Salimbeni, io non lo sapessi affatto, e ora mi sia ridotto a visitarlo on line, quando si trova dietro casa, nella piccola chiesa di san Pietro che sfioro tornando dalla spesa. Devo subito  vederlo, questo quadro, mi piacerebbe fare una veglia paesana sul caso dell'ufo del Pianello. Vorrei farmi raccontare come fu e come non fu che qualcuno scopri un ufo in mezzo a una pala d'altare  dell'anno 1600; sapere cosa disse questo e cosa disse quello il giorno della scoperta; e cosa si dice adesso che la chiesa è frequentata e nessuno fa caso al Salimbeni. Già mi immagino una veglia mobile tra i montalcinesi, e il piacere di mettersi in strada con le mani in tasca, e prendere il fresco che viene, come quei gentili colpi di maestrale, che l'uomo si mette sul canto di una via, tra il refrigerio, e parla e sorride come se la conversazione andasse a vento. Però a volte basta anche una finestra aperta, con le tende che si gonfiano, e in modo scrupoloso perder tempo con gli amici - ore felici. 

        La sera chiamo il farmacista Salvioni, che è del Pianello. Ah bene, vuoi vedere il Salimbeni, certo, e mi consiglia di telefonare al Vimercati.  Il Vimercati è un milanese trapiantato fra le Crete, ruvido e attivo. Al Pianello lo chiamano Vim. Dice che in chiesa ci sono i lavori e il quadro è coperto dalla plastica, ma la visita si farà. C'è il silenzio di un paio di giornate, e mentre mi chiedo se davvero riuscirò a vedere l'ufo con le mani in tasca nel fresco della chiesa del Pianello, con efficienza paesana incontro per strada, proprio accanto a san Pietro, Claudio Boccardi, il primo avvistatore dell'ufo di Salimbeni. E' del Pianello, lo sa di già che vorrei vedere la pala d'altare, l'ha saputo da quello che glielo ha detto quell'altro, a Montalcino non servono tante  telefonate. Boccardi racconta di quando era ragazzo e vide il quadro con quella specie di sputnik e allora ci portò il Cappelli. Mi dà appuntamento al pomeriggio dopo, sul sagrato, sorride, sorridiamo, e sono lanciato nell'occasione della veglia che sta per cominciare a Pianello. Anche se poi sarei del quartiere Travaglio, e l'estate e l'autunno, quando c'è il torneo di tiro con l'arco, siamo nemici e digrigniamo i denti. Però, le sere prima del torneo, se vai sul poggio dell'ospedale e guardi i tetti affollati sulla collina con sopra le chiazze d'oro dei lampioni, dagli angoli  salgono ai tetti e dopo nell'aria le canzoni dei quartieranti a cena sulle vie di pietra, e c'è un momento che i canti aerei confluiscono in un unico canto, e l'eco delle voci è una sola voce che va e viene, libera come una nube. E quella è Montalcino.     

        Il pomeriggio dopo, scendo lungo le ombre dei tetti, vado all'appuntamento. Nei vicoli non c'è nessuno, dalle finestre accostate esce il ciangottio dei televisori. Ad aspettarmi in chiesa, tra la penombra e la frescura, c'è Boccardi. Mi racconta di nuovo di quando vide l'ufo del Salimbeni, e oggi gli pare sia successo alla fine del liceo - forse. Arriva il presidente del quartiere, Faneschi, poi il Vimercati che mi regala subito una bottiglia di rosso. Gli dico che non ho fatto nulla per meritarla. Prendila, mi fa, e la prendo. Come si fa, a rifiutare il vino. C'è anche il padre di Lorenzo, un amico di mio figlio, altri saluti, altri sorrisi. Parliamo dell'ufo, parlano  tra loro dei lavori in chiesa, c'è schiamazzo e la magnifica allegria. In una navata c'è la pala del 1600, coperta da uno spesso telone di plastica, ma la scena del quadro oltrepassaa i rigidi panneggi. In alto, da sinistra a destra, ci sono il Cristo e il Padre. Siedono sulle nubi. Il Redentore ha il volto di giovinetto e la barba castana. Il petto nudo è drappeggiato da una veste rosa che scurisce sulla spalla sinistra. Suo Padre è un vecchio pensoso. Non ha più i capelliì, ha una lunga barba bianca, disordinata come quella degli anziani. Lo avvolgono panni cilestrini. A guardarlo, sopraggiunge la tenerezza dei figli per i padri divenuti vecchi.  La sfera dell'universo è tra il Padre e il Figlio, con le due antenne imperniate nella parte superiore della sfera; nella parte inferiore, a sinistra di chi guarda, c'è la lente di un gran cannocchiale che proietta un fascio di luce sul Papa, che riceve negli occhi l'immagine della Colomba, il Paràclito; e per quanto la Chiesa in assemblea adori l'Eucarestia, il campo di forze del quadro si congiunge  sulla macchina aliena. 

   "Quando dissi al Cappelli che a san Pietro, c'era un ufo mimetizzato nel quadro del Salimbeni - dice il Boccardi, e Vimercati è in strada che palpa le pietre del vecchio pozzo che va rimesso a posto - quando glielo dissi, era il gioco fantastico di qualche pomeriggio. Lui si appassionò, e il resto, tutto quello che poi è venuto, è merito suo. Lui cominciò ad approfondire, contattò gli ufologi in Italia,  fece studi. E quando a Montalcino nacque  quella rivista di astronomia, archeologia e ufologia, Gli Argonauti, furono organizzati convegni sull'ufo di Buonaventura Salimbeni. Ne scrissero sui giornali, vennero ufologi da tutto il mondo, e ancora adesso, ogni tanto, ne parlano in Tv. Un anno fa ne hanno riparlato a  Voyager".  Chiedo al presidente del quartiere se ricorda la prima volta che vide l'ufo in chiesa. "Per la verità, non ricordo quando ci ho fatto caso, o quando l'ho saputo, ma non mi ero mai accorto di quella cosa nel quadro. Sai, uno viene qui, e il quadro è un quadro della chiesa come quegli altri, poi sì, dopo ne parlavamo, ma così". Dice queste cose mentre saliamo a visitare i locali del quartiere, la cucina, le stanze per la refezione e le riunioni sociali.   Sui muri, incorniciate, ci sono le foto in bianco e nero degli anni Settanta, le gare di tiro con l'arco. Gli chiedo se ha tirato le frecce, mi dice di sì e gli brillano gli occhi. 

 

Roberto Cappelli lo vedo che arriva in piazza. Abbiamo appuntamento. Ha le scarpe da ginnastica rosse, verdi i pantaloni coloniali, una camicia fantasia. Potrebbe essere uno della beat generation. Però mi ricordo di Evutsenko al festival della poesia di Castel Porziano, quando recitò come un futurista la poesia sulla pace nel mondo, non era certo beat, ma ancora comunista, e la camicia era lo stesso come quella del Cappelli. Che ha una barba bianca e rada. Il volto smagrito. Gli occhiali da ex professore di scuola, per trentatrè anni fra i banchi delle scuole medie dell'Amiata e di Montalcino. No, non assomiglia a Evtusenko, per niente. Questa somiglianza che non si vede dipenderà dal fatto che anche lui è un appassionato dell'esistenza. Da due decenni fa il giornalista, fruga nel senese e ne trae cronaca. Lo ricordo d'inverno, con una specie di colbacco, che  porta da mangiare ai gatti randagi di Montalcino. Lo guardo, eppure mi viene in mente Gregory Corso, che però aveva tutto un altro fisico. Ci sediamo sotto la verticale dell'antica torre comunale,  al Bar delle Logge. Ciao come stai, ciao come stai, bene e  tu, bene e tu. E' trafelato, ha appena finito il giro dei gatti. Gli dico che deve essere un grosso impegno, questo dei gatti. Mi risponde con fierezza che è difensore degli animali del comune di Montalcino. Lo dice come un antico bardo, anche quando illustra il menù quotidiano dei trenta gatti raminghi. Pollo cotto, pollo crudo e croccantini. Sì, lo ricordo d'inverno che scende per le piagge ventose e porta il rancio ai gatti dell'underground montalcinese. Chino presso certi anfratti che uno passa e non vede, che per saperli bisogna conoscere la vita felina, e il paese palmo a palmo. Un mattino di febbraio, Montalcino era deserta e il maestrale tirava schiaffi ai cantoni. Si doveva smettere di camminare e rifiatare ai portoni. E nella piaggia più ventosa di tutte, dove stanno i vecchi della commenda e tante volte si sente l'odore della refezione, lui era lì che quasi imboccava i gatti, a una finestrella. E per tutte queste cose, per la camicia estrosa, le scarpe rosse, non mi stupirei se ora si mettesse a parlare di ufo in versi liberi, e allora sarebbe proprio Gregory Corso. Ma poi che ci posso fare se parla ed è romanzesco, uno della letteratura appena sortito da una pagina; che salta da uno scaffale, vola oltre un davanzale; atterra sul marciapiede, davanti a te che passavi, dice voilà e racconta una storia. Per tutte queste ragioni, ammesso che siano ragioni, non c'è niente di meglio che essere a veglia con il Cappelli, seduti al bar sotto la torre del comune, e ascoltare la storia degli ufo a Montalcino. Però, ora che ci penso, Cappelli mi fa venire in mente il Don Chisciotte, la cui vita era stupefatta dalla propria stessa innocenza. Ma intendiamoci, non è che siccome il Cappelli è un personaggio romanzesco, allora racconterà una storia inverosimile sugli alieni, e ce la spasseremo altezzosi come antropologi. E' proprio il contrario: dato che il Cappelli è romanzesco, eppure esiste, è davanti a noi, al bar, e parla, la sua storia sull'ufo del Salimbeni sarà reale, visionaria e verosimile come lui. E ci sono persone che costituiscono il ponte materiale tra noi e l'inimmaginabile, persone che sono l'assoluto a un tiro di schioppo. 

 

"Non ricordo di essere andato in San Pietro a vedere il Salimbeni con Claudio Boccardi, ma può darsi. Eravamo ragazzi, eravamo amici, anche ora lo siamo, diamine. Passavamo insieme le giornate, e non ricordo se fu lui a dirmi dell'Ufo, ma cosa conta? Penso di avere visto il quadro dopo le medie, al liceo, e allora ho cominciato ad occuparmi di questo oggetto misterioso che stava nel quadro di Salimbeni. E quando uscì la nostra rivista, Gli Argonauti,  facemmo convegni sull'enigma del quadro,  vennero ufologi dall'estero,  e importanti pubblicazioni internazionali cominciarono a scrivere dello sputnik in un dipinto barocco, sì, ricordo la rivista argentina Atom, il Giornale dei Misteri, di Firenze, tanti".  

      Bevo un succo di frutta alla pesca, lui un febbrile caffè. Concordiamo che  il quadro appare come una specie di premonizione per comunicare che nel futuro si sarebbe realizzata la comunicazione globale, a partire dall'epoca del famoso satellite sovietico a cui, appunto, la sfera di Salimbeni tanto somiglia. Con un linguaggio da dimostrazione euclidea, il professor Cappelli entra nel merito e illustra come sulla sfera che noi chiamiamo Universo siano presenti linee di sutura, sia in senso orizzontale che verticale, e che le due antenne poste sulla sommità superiore sono fissate alla sfera medesima per mezzo di vere e proprie rondelle.  "Del resto - chiosa - bisogna anche dire che nel 1600 a Roma ci furono diversi avvistamenti ufo". E  in effetti, a proposito di ufo e artisti,  il mio amico pittore, Claudio Sacchi, mi dice al telefono che nelle Vite di Vasari si racconta come il Cellini avesse avvistato travi infuocati nel cielo.

    "Però, ecco, io cominciai ad appassionarmi degli ufo non a causa del quadro del Salimbeni, ma di una cosa che mi capitò quando avevo ventidue anni. Un avvistamento qui a Montalcino". Il succo di frutta smette di scendere in gola. "Era il !968, e una sera, era buio fatto, io stavo  tornando a casa. Salii per le piagge, e quando fui su alla Fortezza, vidi due piccoli oggetti". "Volanti?" chiedo in trance, un poco instupidito - voglio esser certo che mi si stia raccontando proprio quello che desidero. "Sì. Due piccoli oggetti volanti". Bene, il succo di frutta riprende a scendere, gelida delizia. "Erano verso la pineta, volavano nervosi come mosche. Stavano molto in alto, andavano a zig zag come se facessero delle evoluzioni: a scatti. Questa cosa sarà durata trenta secondi, un minuto. Li vidi andare molto in alto, a ovest, tra la pineta e il monte Amiata. E un'altra volta - prosegue Cappelli-Corso, Cappelli-Evtusenko, Cappelli-Don Chisciotte,  mentre la mia veglia paesana diventa sempre più ufologica - vedo un oggetto luminoso sulla verticale del Bar del Cacciatore". "Proprio qui", dico assertivo, e indico il cameriere che gira fra i tavolini, perché il Bar del Cacciatore era l'attuale Bar delle Logge. "Sì, proprio qui. L'oggetto volante si fermava e ripartiva, si fermava e ripartiva. E un'altra volta ancora - insiste il professore tra la barba rada - vidi due oggetti a forma di sigaro. Uno dei due proseguì in direzione sud, verso Roma, e l'altro a ovest, verso il mar Tirreno. Anche a mio padre è successo di vederli, e guarda, lui era un laico di ferro". Il succo di frutta scende sempre più placidamente, mentre l'ufologia si trasfigura, diviene saga di generazioni che avvistano dischi volanti, macchine aliene, proiettili extragalattici, senza pilota, con pilota, se no guidati con la mente, trasportati da energie sconosciute, superiori, in movimento tra l'Amiata e il cosmo. "E sicché una volta, negli anni Cinquanta, era pieno giorno, e mio padre stava sulla circonvallazione assieme a degli operai, hai visto no, ai cantieri Fanfani, e sicché avvistano  un globo di luce, un oggetto metallico, splendente, capito, un oggetto splendente, che si fermava e ripartiva a velocità prodigiosa". Mi guarda Cappelli, lui stesso ancora colpito. Forse,  viene mosso più dal mistero incontrato da suo padre che dai propri. "Ma in definitiva, come mai - dico - quello del Salimbeni è da considerare un ufo?". Cappelli si mette a spiegare di nuovo, ha il piglio del vecchio insegnante che faceva l'ufologo e tra l'altro ha scritto il libro 'Gli ufo in provincia di Siena'. "Allora, c'è una branca dell'ufologia che si occupa di apparizioni di ufo nei tempi antichi. E in effetti, se noi andiamo ad osservare la sezione superiore del quadro, sulla sfera che chiamiamo Universo noteremo importanti particolari, che non sono inerenti al motivo allegorico della Trinità. Infatti, sulla sfera sono presenti linee di sutura in senso orizzontale e verticale, che suggeriscono in dettaglio un oggetto meccanico". Non mi lascio sfuggire l'occasione, e gli chiedo come sia cominciata la sua attività ufologia. Allora inizia un'avventura nell'avventura. Un fiabesco momento in cui come su una slitta di Babbo Natale, arrivarono degli ufologi e si stabilirono vicino a Montalcino, nel bel paese di Trequanda.  E lì facevano riunioni, e ci andava anche il Cappelli undergorund, il Caelli detective, che niente esclude e tutto cerca e coglie di quanto sta nel mondo e meglio ancora, fuori dal mondo.      

      C'era dunque questo gruppo ufologico a Trequanda, un paese della corona di bei paesi vicini a Montalcino.  "Durante la riunione, per mezzo del procedimento della scrittura automatica, parve di entrare in contatto con un'entità stellare   Noi di Montalcino andavamo a queste sedute di scrittura automatica e all'entità facevamo domande di scienza, di tecnica, di medicina. Una sera volli mttere alla prova l'entità e portai un atlante stellare per vedere se sapesse indicare la propria provenienza in modo esatto. L'entità dettò il nome di una stella. Guardai l'atlante, e c'era proprio il nome della stella".

 

Vado a casa di Maurizio Cecchini, che era nella redazione degli Argonauti. Ha poco più di quarantanni, fa il primo cantiniere dai Barbi, ma è un astronomo. Vive in cima al paese, accanto al Duomo, e a Montalcino non c'è posto più vicino alle stelle. Si arriva in vetta da una scalinata lunghissima che parte dal fondo del paese. Davanti al sagrato, una terrazza di pietra incornicia le colline dirimpetto, e sotto c'è la pioggia dei tetti. Ceccherini è sulla porta, i capelli appena grigi, il volto di ragazzo. In salotto riposa un affusto di cannone, è il basamento del telescopio. Mi sorride al tavolo di casa. C'è sua moglie, sorella di una maestra delle elementari di mio figlio, anche lei maestra. La notte il primo cantiniere dei Barbi torna astronomo, punta il telescopio e guarda stelle a scelta. Mi mostra un suo tabellario di osservazioni sul transito di Venere sul sole,  la data è l'8 giugno 2004. Vi sono annotati gli orari dei passaggi, misurazioni, i colori assunti dal pianeta durante il transito sul Sole, i cambiamenti intervenuti nel corso del fenomeno. Ripercorriamo insieme il caso dell'ufo di Salimbeni, e Ceccherini dice che è un mistero irrisolto. La sfera potrebbe davvero essere un ufo, come no. Gli chiedo se abbia partecipato a qualche riunione del gruppo di Trequanda.  "Sì - dice Ceccherini con qualche distacco - non sono contrario alla possibilità di esistenze aliene, non lo sono mai stato. Perciò andavo a Trequanda. Lì, c'erano sessioni di scrittura automatica e questo Argon che comunicava con il nostro gruppo. Era plausibile, era interessante, e non mi sottraevo ad alcuna curiosità.  Sono una persona aperta, e verifico tutte le ipotesi. Argon diceva di essere esponente di una civiltà extragalattica che utilizza un'energia più pura della luce".    

 

Il mattino dopo incontro per strada  Bruno Bonucci, ex professore, conoscitore attento della storia montalcinese. Un  uomo maturo, lo sguardo giovane. Sempre elegante. Da anni studia tra gli archivi, i carteggi e le cronache, dove stessero un tempo le piazze, le vie, e le mura fatte e disfatte di Montalcino - come fosse il paese. Lo trovo davanti alla farmacia del dottor Salvioni, parla con un amico. Chiedo se ha un momento, che gli dovrei parlare. E' quasi l'ora di pranzo, sto tornando a casa con i sacchetti della spesa, e lui me ne prende uno. Si avvia, e mi fa: "Facciamo la strada insieme?", come fossimo due ragazzi che tornano da scuola. La veglia è ambulante e chiedo camminando perché secondo lui i montalcinesi non siano interessati all'ufo di Salimbeni.  "Allora - mi fa - l'unico ufo che io ricordi, è quello che precipitò su Montalcino all'inizio degli anni Settanta. I pezzi finirono tutti nell'orto del Duomo. Non si sapeva che roba fosse, vennero le autorità, analizzarono in segreto, e non se ne seppe più nulla", dice. Ma è toscano, gli occhi stuzzicano sornioni, e sotto i baffi candidi il labbro trema di una risata contenuta. "Poi, sul fatto che la gente qui non si interessi all'ufo del Salimbeni, agli articoli del Cappelli sugli ufo, agli articoli dei giornali sull'ufo di Montalcino, e ai programmi Tv sull'ufo del Salimbeni, che posso dire, non lo so come mai. Forse - sospira deliziosamente teatrale - c'è questo fatto. Che verso i compaesani che a un certo punto diventano famosi, i montalcinesi  provano un grande, grandissimo dolore".

      Per strada trovo anche Luigi Anania, produttore di un brunello encomiabile, scrittore, amico. Ha le vigne a sud, prima di Sant'Angelo in Colle, dove il tramonto è viola, la luce diurna è briosa e fa dimenticare l'inverno.  A fine estate, il vento s'infila per la sua collina ripida, addensata di viti da non veder la terra, allora appare una distesa mobile, rigonfia dalle ondate delle vigne. Ed è come se sotto l'aia, a un tratto, ci fosse un mare ripido. Ora siamo sul cantone della curva proprio sotto a San Pietro, e gli dico dell'ufo, della veglia mobile. Sorride. Più che altro gioisce della veglia mobile. Alla curva passa un codazzo d'auto. Si ferma. Tutti salutano, ognuno conosce tutti. C'è anche Romano che ha fatto qualsiasi nostro trasloco. Arriva un vento fresco e va sempre meglio. Allora ciao, allora ciao. L'ultima tappa è da Mirella, al negozio di alimentari del chiasso: devo comprare l'olio. Trovo Gabriele della banca, e Maurizio,  del negozio di vestiti indiani. Fanno la spesa. Parlano del meraviglioso tempo che sta facendo a Montalcino, che ora c'è quel fresco anche durante il giorno. Parlano del fresco e sorridono, quasi ridono, e forse viene tutto da lì. Che quando tutto è bello, è perché si parla sotto un cielo bello. Delle volte ci passasse un ufo. Se non passa, lo invitiamo noi.    

 

Alessandro Schwed

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