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Un blog creato da Jiga0 il 21/11/2010

Schwed Racconta

Su e giù per la tastiera

 
 

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JIGA MELIK E IL SIG. SCHWED

 

Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.

 

 

 

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Quando rileggevo Salgari decine, decine e decine di volte

 

Il segreto della rilettura (Huffington Post, 12 agosto 2015)

di Alessandro Schwed

Avevo nove anni, era estate, la scuola finita. Fino ad allora avevo letto Topolino, Cucciolo e Geppo, che era il fumetto di un diavolo bonario in mutande. Cercavo un modo di passare il tempo e giravo per casa con le mani in tasca. Mi trovai davanti le ante di vetro della libreria, sopra il vetro c'erano, non per caso, velieri e sirene. Trovai dei titoli irresistibili: "Alla conquista di un impero", "Le due tigri", "Il re del mare", "I misteri della jungla nera". Tra le pagine neanche il disegno di una fata, ma soldati inglesi in divisa coloniale e pirati che saltavano sopra un brigantino nemico: un cinema di carta. I libri rimandavano a un mondo di prima, un'etichetta portava la scritta Lire 7. I dialoghi non lasciavano dubbi: "Corpo di mille spingarde!", "Attento, un pitone!".

Non erano noiosi libri da adulti: non polizieschi, non pedanti storie di amore, non chirurghi tra i minatori di cittadine sperdute, con le donne a casa ad aspettare davanti al paiolo. Ma avventure! Le pagine erano color avana. Avevano un odore dolciastro, il dorso dondolava sbilenco. Aspettavano il lettore per lanciarlo in un mare che si chiamava Giallo, tra la Malesia, il Borneo e le osterie cinesi di Macao dove mangiavano il cane arrosto e anche il babbuino. Lo scrittore era Emilio Salgari. Mi domandavo coma mai nessuno a casa me ne avesse parlato: eppure quei libri erano una presenza molteplice tra gli scaffali del salotto. Ma erano nascosti tra gli altri, dimenticati, forse come avviene con l'adolescenza.

Con la scoperta del ciclo salgariano della Jungla Nera, io diventai un lettore. Di colpo fui un viaggiatore tra i luoghi di questo Yanez e di quel Sandokan: i pirati della Malesia. La jungla e i tagliatori di teste correvano da me come quando fischi a un cane e lui corre da te. Prima di leggere un'avventura però, c'era la caccia ai libri di Salgari: i suoi volumi bisognava scovarli. Non era difficile: mentre gli altri romanzi, i Normali, erano senza odore, l'odore della carta salgariana era dolce. Fiutarla, mi faceva capire che dietro una fila di libri c'era un Sandokan. Insomma, il primo romanzo della mia vita fu Il re del mare, di Emilio Salgari. La copertina era la minuziosa illustrazione di un incrociatore da guerra inglese, nave immane in mezzo al mare immane. Le torrette semoventi dei cannoni, di un arancione tenue. Non avevo mai visto disegni di navi da guerra. Iniziai a leggere. L'incrociatore cadeva nelle mani dei pirati malesi nonostante i loro piccoli vascelli leggeri, i prahos.

Presi atto di cosa fosse leggere: emigrare in un altro mondo e viverci da padrone. Mi chiesi dove avessi vissuto fino allora: in casa c'era un tesoro immenso. Così, presi a fare il lettore. Tra Sandokan e Yanez, preferivo di mezza tacca Yanez che sparava scherzando con gli amici e così quando moriva un nemico, potevo ridere. E poi, la mia concentrazione era inossidabile: me ne stavo riverso, o appollaiato su una sedia, o arrotolato nel letto, o inginocchiato sul pavimento, o in piedi contro uno stipite. Veleggiava la voce di mia madre, squillava "a tavola" e non sapevo se fosse ora di pranzo o cena. Per anni, il caposaldo della vita fu il ciclo dei Pirati della Malesia. Era inesauribile, ogni volta che ne finivo uno, pensavo: oddio, è l'ultimo. Ma quando andavo a raspare meticolosamente tra gli scaffali, c'era sempre un altro Salgari.

Poteva anche essere stato scritto da un figlio di Emilio, magari da un suo epigono, con Salgari succede, e la scrittura essere meno forte, ma c'erano i nomi di "famiglia": Sambigliong, la Tigre della Malesia, Marianna di Labuan, Tremal Naik e Kammamuri, la tigre Dharma. Dopo che li avevo letti, li rileggevo. Questo rileggere avvenne molte volte, un numero di volte che non saprei, innumerevole, e rileggendo, la mia gioia non aveva fine. Al vertice delle riletture c'era Addio Mompracem, che finisce con l'esplosione del mitico isolotto: il covo della Tigre. In modo non dichiarato, quella era la tomba di Sandokan e io non potevo crederci. Alla ricerca di una conferma della morte, rileggevo l'intero ciclo, e ogni volta, giunto ad Addio Mompracem e all'ultima, per quanto nota, pagina quando il pirata salta in aria sotto il fuoco inglese, io piangevo, per quanto insieme a Yanez. In seguito, tra gli scaffali di casa scoprii la serie umoristica del maggiordomo Jeeves e il suo padrone Berto Wooster, opera magistrale di P.G. Wodehouse. Poi le opere di Jules Verne, la cui Isola misteriosa lessi e rilessi senza sosta. Come, ci mancherebbe, accadde anche per Robinson Crusoe. Poi iniziai ad andare a frugare negli scaffali della città. Ero un lettore adulto.

 

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