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Messaggi di Marzo 2020

 

Fiamme sull'Arizona(2)

Post n°2571 pubblicato il 31 Marzo 2020 da paperino61to

                                   

I soldati si nascosero a ridosso della chiesa con i fucili in mano. In quel momento si aggrappavano a qualsiasi preghiera pur di uscirne vivi.

“Attaccheranno?”.

 “Per ora manderanno qualcuno in avanscoperta. Sicuramente entreranno dentro per dare un’occhiata…dite ai vostri uomini di non fare rumore e di non sparare, è l’unica speranza che possiamo avere”.

Quattro apache varcarono il portone della missione, i loro occhi scrutavano ogni cosa. Uno di loro scese in terra e osservò eventuali tracce, poi risalì a cavallo incitando gli altri a tornare al gruppo e facendo elevare l’urlo di guerra.

Il cowboy prese la mira e sparò, tre di loro caddero sul terreno, il quarto se la cavò per il rotto della cuffia.

“Chiudete il portone!” urlò il sergente.

“Andate a quelle finestre e sparate solo quando sono vicini, cercate di non sprecare colpi”.

Due finestre con grate in ferro davano sul terreno innanzi alla missione. Davanti al portone i soldati misero un paio di carri trovati dentro un capanno.

Sul campanile della chiesa salirono altri tre soldati a dare man forte ai due già presenti.

L’urlo degli apache fece capire agli assediati che la battaglia avrebbe avuto inizio. Il cowboy vide in testa alla carica Delgado e Cane Rosso.

Arrivati a una cinquantina di metri dalla missione una salva di colpi investì gli indiani. Le loro urla gelavano il sangue e le pallottole dei fucili degli apache mietevano le prime vittime tra i soldati.

“La vedo dura sergente”.

“Non disperate capitano, i miracoli a volte esistono…eccone un altro che morde la polvere!”.

“Dentro la chiesa, presto!” urlò il capitano. Dal campanile ridiscese solo un soldato, gli altri erano tutti morti.

Gli uomini lo seguirono, chiudendo il portone della chiesa e sbarrandolo con le panche trovate all’interno.

Il cowboy che ricordava di come poche persone si salvarono, andò alla ricerca di una via di fuga. Sotto l’altare vide una botola coperta di ragnatele e una panca messa nel tentativo di nasconderla, l’aprì, notò una scala. Decise di scendere. Era buio, ma capiva che davanti a se aveva un corridoio, accese un fiammifero e proseguì per parecchi metri. Davanti ai suoi occhi il corridoio si allargava in un semi cerchio, ai lati del muro vi erano delle cripte. Una di queste aveva un’inferriata aperta, e la luce del giorno che intravedeva arrivava dall’alto.

“Arrampicarsi non sarà facile ma neanche impossibile”.

Dopo qualche tentativo andato a vuoto riuscì ad arrivare in cima, il foro da dove filtrava la luce era giusto della grandezza per poter passare un uomo.

Sbucò all’aria aperta, era sulla collina dietro la missione, poteva vedere la battaglia in corso tra indiani e soldati. Ridiscese di corsa dalla stessa strada.

“Dov’eravate finito?”.

“Forse abbiamo una speranza di cavarcela, ma bisogna abbandonare i cavalli”.

“Parlate!”.

“C’è un’uscita che porta all’esterno della missione. Si passa da una cripta, non vi sono apache da quella parte”.

“A piedi come faremmo a salvarci?” domandò un soldato.

“Ho sentito lo scorrere del Gila River, non credo sia lontanissimo da qui.  E’ l’unico modo che abbiamo per sperare di salvarci, altrimenti non abbiamo scampo”.

I proiettili mietevano altri morti tra le file già esigue dei soldati.

Gli apache ad ogni carica erano sempre più vicini per entrare nella chiesa.

“Fateci strada. Sergente, voi state qui con un paio di soldati”.

“Bueno capitano, andiamo, poi tornerò  indietro a recuperare il sergente e i suoi uomini”.

Il cowboy fece vedere a Murray dove era il passaggio, poi tornò di corsa dai soldati rimasti in chiesa, uno di loro era ferito gravemente.

“Forza ragazzi è ora di sloggiare se tenete ai vostri scalpi!”.

Gli indiani erano riusciti ad entrare nella missione e si stavano lanciando contro il portone della chiesa.

 “Di qua, forza… e tu che fai?”.

“Non c’è la faccio amico, lasciami qui…so che sto morendo”.

“Manco ci penso, tu verrai con noi”.

“No cowboy, la morte sta arrivando…lasciatemi una pistola…adios amigo, sei una persona per bene non un fuorilegge come dicono…vai ora…e saluta i miei compagni”.

Il cowboy scese dalla botola, la richiuse alle sue spalle. Corse verso la cripta e salì rapidamente verso l’uscita. I colpi dei fucili e le grida degli indiani fecero capire che erano entrati nella chiesa.

                                             

“Forza ragazzi voi state qui, io vedrò se i nostri amici apache ci prestano qualche cavallo”.

“Voi siete matto, volete ritornare nella missione?”.

“A piedi faremo poca strada capitano, se guardate da quella parte i cavalli non sono sorvegliati da nessuno”.

Dicendo questo il cowboy si allontanò di corsa, scese dal lato della collina, gli indiani erano intenti a cercare dove fossero i superstiti. Doveva fare in fretta, non ci avrebbero messo molto a capire da dov’era scappati.

Non vi era nessuna sentinella a guardia dei cavalli, ciò lo trovava strano. Strisciando si avvicinò a loro. Lentamente salì su un cavallo e mentre compiva questo gesto, un apache spuntò dal nulla urlando e puntandogli il fucile. Il cowboy sparò, colpendolo a morte, poi incitò con altri spari i cavalli a scappare verso la collina.

I cavalli spaventati dagli spari incominciarono a correre, alcuni indiani tentarono di fermarli ma vennero travolti. Non capirono cosa fosse successo, il cowboy cavalcava tenendosi sul fianco del quadrupede per non farsi vedere.

Solo una decina di cavalli seguirono la direzione che l’uomo voleva, la maggior parte si dispersero in tutte le direzioni.

“Eccomi qui capitano, forza tutti a cavallo. Dobbiamo fare a meno delle selle ma credo che vi adeguerete in fretta”.

I soldati montarono sui cavalli e li spronarono al galoppo verso il Gila River.

“Avete il diavolo dalla vostra parte!”.

“Sergente, ho fatto un patto con lui, se mi lascia su questa terra non vado a rompergli le scatole nel suo regno”.

“Ecco il fiume!” urlò un soldato.

“Forza ragazzi un ultimo sforzo”.

Alle loro spalle un nutrito gruppo di apache stava arrivando, non tutti i cavalli erano scappati via.

“La corrente sta diventando forte…viene difficile guadare il fiume”.

“Possiamo seguire la corrente o tentare di arrivare sull’altra sponda. Anche gli apache avranno difficoltà ad attraversarlo”.

Un paio di soldati caddero in mezzo al guado, gli indiani  erano di nuovo sulle loro tracce.

“Che facciamo capitano?” domandò un soldato.

Il cowboy rispose che la cosa migliore era farsi trascinare dalla corrente: “Non ci sono cascate per fortuna, e sicuramente il fiume non avrà questa corrente forte per tutto il suo proseguo”.

“Bene, soldati…” una pallottola lo prese in pieno petto, il fiume lo trascinò via come se fosse stato un fuscello.

“Capitano” urlò il sergente, sapendo bene che non poteva più fare nulla.

“Vamos sergente, pensate ai vostri uomini, adesso siete voi l’ufficiale, sono nelle vostre mani”.

“Avete ragione…ragazzi tenetevi al cavallo e lasciate che la corrente vi porti con sé”.

Pochi apache tentarono di emulare i soldati, ma le acque impetuose del fiume li trascinò con se facendoli annegare.

Parecchie miglia dopo i soldati riuscirono a risalire sulle riva, il fiume aveva perso la sua intensità.

“Saremmo lontani dal forte?”.

“Non credo, qualche miglia…vuole fare riposare i suoi uomini? Anche i cavalli ne hanno bisogno”.

“Ragazzi  riposiamoci,  una decina di minuti non di più”.

Poi si rivolse al cowboy chiedendo che fine hanno fatto i loro inseguitori.

“Non lo so sergente, posso solo ipotizzare che siano andati alla ricerca di altre persone da scalpare”.

“Se i musi rossi vanno ad ovest troveranno dei ranch…bisogna andare ad avvertire quella gente”.

“Non possiamo fare nulla, prima arriviamo al forte e poi si vedrà il da farsi”.

Ripresero la cavalcata a passo lento per non sfiancare troppo i cavalli, verso l’imbrunire arrivarono a Forte Hutaca.

Il silenzio fu rotto dal soldato di guardia che domanda chi erano.

“Apri il portone, siamo del terzo cavalleria, sono il sergente McGregory!”.

Gli uomini entrarono e lentamente, distrutti dalla fatica e dalla tensione accumulata, si lasciarono cadere a terra. Fu chiamato il comandante del forte e il medico.

“Sergente, cosa è successo?”.

Il soldato rispose di come fossero stati attaccati dagli apache e di come il cowboy li avesse portati in salvo.

Il comandante strinse la mano all’uomo e ringraziò per ciò che aveva fatto. Gli domandò come poteva sdebitarsi.

“Mi dia un cavallo, proverò ad avvertire la gente che è a ovest del Gila River, ho come impressione che sull’Arizona ci saranno venti di guerra indiana”.

“Non vuole riposarsi? “.

“Nel frattempo che mi diate un cavallo andrò a mangiare qualcosa poi ripartirò immediatamente”.

Il comandante lo vide allontanarsi verso il saloon del forte, poi chiese al sergente cosa ne pensasse di quell’uomo.

“Ne avessimo in cavalleria di gente di quello stampo”.

“Mi fido del suo giudizio sergente McGregory…ma stavo pensando, è consigliabile lasciarlo andare da solo? Gli apache sono sul sentiero di guerra, e se gli succede qualcosa chi avvertirà i coloni?”.

“Se lei mi concede il permesso potrei andare io con lui”.

Il comandante rifletté un attimo poi concesse il permesso :”Ora vada anche lei a mangiare, farò preparare i migliori cavalli  del forte e buona fortuna, ne avrete bisogno. Aspetti…vi farò avere una mappa di dove si trovino i ranch”.

Il sergente si sedette al tavolo del cowboy, ordinò da mangiare, ma prima: “Un bella bottiglia di whisky oste della malora!”.

(continua)

 
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Fiamme sull'Arizona(1)

Post n°2570 pubblicato il 30 Marzo 2020 da paperino61to

 

                                            

                                            

 

Il cowboy discese il pendio con molta cautela per non fare azzoppare il suo cavallo, pur sapendo che perdeva del tempo prezioso. Alla fine del pendio ricominciò la sua galoppata; dai garretti del cavallo dipendeva la sua salvezza e di quegli uomini che aveva visto dall’alto del pendio.

La pattuglia dei soldati  si era accampata vicino a un rojo, facendo riposare i cavalli.

“Capitano, sta arrivando un uomo!”.

Il capitano si alzò accompagnato dal sergente McGregory, i soldati guardavano con curiosità l’arrivo del cowboy.

“Salve, sono il capitano Murray”.

“Salve capitano, se vuole un consiglio, lei e i suoi uomini risalite a cavallo di corsa; la vedete quella polvere laggiù?”.

L’uomo indicò alle sue spalle una nube di polvere che si stava avvicinando.

Il sergente guardava con attenzione il volto del cowboy, poi impugnò la pistola.

“Sergente…ma è impazzito?” domandò il capitano.

“No, signore, ricordo chi è questa persona, è ricercata. Il suo nome è Billy….”.

“Bravo sergente, ottima memoria, ma non ti servirà a nulla”.

“Come ufficiale ho l’ordine di arrestare i fuorilegge, sergente si faccia consegnare le armi”.

“Capitano, non si rende conto di due cose, la prima che le mie colt sono puntate contro di lei e il suo sergente, e mi creda da qui non posso sbagliare bersaglio manco volendolo, la seconda che quella nuvola che sta arrivando si chiama Apache. Quindi a lei la decisione, o muore per mano mia o per mano degli indiani”.

Il tono della voce non ammetteva repliche, bastava guardare il volto del cowboy per capire che non stava scherzando.

I soldati nel frattempo si erano avvicinati, qualcuno di loro impugnava il fucile.

“Pessima scelta soldato, ancora di più se ti venisse in mente di premere il grilletto”.

“Siete sicuri che sono apache?” domandò il capitano Murray.

“Si! È la banda di Delgado, e sono parecchi e tutti armati di fucili. Quindi se non le spiace io me vado, voi fate come volete. Grazie per la conversazione, adios!”.

“Aspettate un attimo…soldati a cavallo e anche di fretta. Conoscete questa zona?”.

“L’unica è prendere la strada che corre verso il Mogollon Rim, ci sono numerose gole, gli apache perderebbero parecchio tempo nel trovarci”.

Partirono al gran galoppo, ogni tanto qualche soldato si voltava indietro per vedere se gli indiani si stavano avvicinando, ma non vi era ancora nessuno all’orizzonte.

“Inutile che ti guardi indietro soldato, tra poco gli sentirei urlare”

“Ma allora signore…siamo spacciati”.

“No, basta far correre il tuo cavallo e stai con la schiena piegata, hai meno probabilità di beccarti una pallottola nella schiena”.

“Capitano, però andando a cacciarci in quel canyon ci allontaniamo dal forte e anche di parecchio”.

Rispose il cowboy: “Vero sergente, ma mal che vada potremmo scendere fino al Gila River  attraversarlo per poi dirigerci ad ovest verso Forte Hutaca.

“Che ne dice McGregory?” domanda il capitano.

Il sergente ci pensò su un attimo e poi rispose che l’alternativa allo scontro con gli apache era eseguire le indicazione del cowboy.

“Bueno sergente, mi fa piacere che la pensiate come il sottoscritto”.

“Capitano, guardi alle nostre spalle”.

L’uomo non aveva bisogno di voltarsi, sentiva benissimo le urla di guerra degli indiani.

“Corri soldato, il canyon è laggiù…”.

I fucili incominciarono il loro canto di morte, e le pallottole sibilarono molto vicino ai soldati.

Il primo a cadere fu il giovane Rembrick, seguito da Longhtry.

“Sergente, se la sente di mandare all’inferno qualche apache?”.

“Certo che si giovanotto”.

“Bueno capitano, arrivati alla biforcazione dei sentieri nel Gran Canyon prenda quello di sinistra, io e il sergente vedremo di rallentare gli apache.. Quando ci vedrà arrivare di corsa, ripartiremo alla svelta. ”.

“ Ho capito cosa volete fare, ma è un suicidio quello che volete fare, non ve lo posso permettere”.

“Stia tranquillo glielo riporto sano e salvo il suo sergente” e dicendo così il cowboy e il sergente rallentarono la corsa dei loro cavalli. Il cowboy spiegò il suo piano al soldato poi tornò indietro e con il lazo prese un cacuts, e lo trascinò con sè. Si fermò all’ingresso del canyon aspettando l’arrivo degli indiani. Non tardò tanto nel vederli arrivare, sembravano una muta di sciacalli pronti a contendersi il pasto.

Iniziò a correre dentro la gola, il cactus sempre legato al lazo continuava ad alzare la polvere,  gli apache avrebbero avuto difficoltà a vedere che si trattava di un solo uomo.

“Bene sergente, ora tiri la corda e la leghi a quel masso, poi mettiamoci dietro a quelle rocce laggiù.

 “Che dio ce la mandi buona”, disse il sergente facendosi il segno della croce.

Sia i cavalli che chi li montava non si accorsero della corda tesa e parecchi di loro caddero per terra, travolti da chi arrivava dietro di loro a gran carriera. La polvere alzata dal cowboy era servita a limitare la loro visuale.

“Allegro soldato, si muore una volta sola”, rispose il cowboy poi incominciò a sparare.

Il fuoco preciso e micidiale dei due uomini, causò cadute a non finire tra gli indiani. Soltanto una trentina di apache riuscirono ad uscirne indenni da quel groviglio di cavalli e corpi caduti.

 Questi vedendo i loro compagni morti riversi nella polvere decisero di uscire dalla gola del Gran Canyon.

“Visto com’è facile? Vamos, ora andiamo a trovare il tuo capitano”.

“Stanno arrivando, il sergente è ancora in sella” urlò un soldato.

“Son contento di rivedervi sano McGregory e anche voi ragazzo. In sella ragazzi”.

All’ennesima biforcazione del sentiero preso, il cowboy scese da cavallo, sciolse la sua coperta legata alla sella, ed incominciò a cancellare le tracce del loro passaggio.

“Ha bisogno di un altro uomo per questo lavoro?” domandò il capitano.

“Per ora no, voi andate avanti io arriverò tra poco…guardi…segnali di fumo”.

“Apache?”.

“Senza ombra di dubbio, chiedono rinforzi…alla banda di Cane Rosso”.

“Ma non era in Messico?”.

“Questo coyote varca il confine a suo piacimento, in questo momento non è molto lontano da noi, e se non ci sbrighiamo ad arrivare al Gila River saranno guai seri per noi”.

I soldati procedevano a passo spedito dentro la gola del canyon.

“Crede che riuscirà a rallentarli cancellando le nostre tracce?”.

“Spero possa rallentarli, ma si ricordi capitano che un indiano per quanto le tracce sia nascoste siano ben nascoste le troverà sempre  ”.

“Ecco, ci siamo quasi…dovrebbe esserci…eccola…”.

Il cowboy scese da cavallo e si avvicinò a degli arbusti, li scostò, rivelando ai soldati una grotta.

“Presto tutti dentro, un paio di soldati mi aiutino a cancellare le tracce degli zoccoli e a coprire per bene l’entrata della grotta”.

McGregory prese un fascio di erbacce e le accese a mo’ di torcia illuminando la grotta, era stretta ma alta, ma soprattutto non si vedeva la fine.

 

“Presto, ragazzi, a breve i nostri simpatici amici saranno qui, forza, copriamo per bene l’entrata…ecco mettiamo anche questi massi, anche se troveranno le nostre tracce dovranno perdere del tempo per spostarli”.

Il cowboy e i soldati raggiungessero il resto della truppa.

“Bene, e ora presumo sempre dritto!”.

“Presume bene capitano, mi segua con i suoi uomini e mi raccomando silenzio assoluto, qui dentro qualsiasi rumore viene amplificato, avessimo tempo vi direi di fasciare gli zoccoli dei cavalli, ma non ne abbiamo purtroppo”:

 

                                             

Il sentiero si dipanava dentro la grotta a volte con curve strette e a gomito altre in lunghezza infinita. Gli uomini tenevano il fiato e limitavano le parole, sempre sottovoce.

“Manca molto all’uscita?”.

“Credo manchi poco…fermi…tutti zitti”.

In lontananza alle loro spalle si sentiva il vociare degli apache. Il cowboy capì che stavano discutendo se entrare o meno, erano in dubbio se i “wasichu” si fossero infilati in questa grotta  che loro credevano senza uscita.

Sorrise, poi con la mano fece il gesto di riprendere il cammino.

Una tenue luce era comparsa davanti ai loro occhi, stava ad indicare l’uscita.

“Bene signori, eccoci fuori”.

Un coro di soddisfazione echeggiò dalle bocche dei soldati.

“Se non sbaglio il Gila River è da quella parte vero?”.

“Si sergente, esatto. Prima ci arriviamo meglio è…da come la vedo io i nostri cari apache manderanno una pattuglia per vedere se siamo passati di qui”.

“Soldati, a cavallo e al gran galoppo anche !”.

“Non abbiamo tempo per qualche scherzetto?” domandò McGregory.

“No caro sergente, meglio filare e alla svelta”.

Arrivarono alle rive del fiume dopo un’ora abbondante di cavalcata. Il sole stava tramontando e alle loro spalle per ora non si vedeva nessun apache.

“Forza, un ultimo sforzo, camminiamo in mezzo al fiume poi risaliremo subito dopo quell’ansa e potremmo riposarci in mezzo a un boschetto che vedete laggiù in lontananza”.

Il boschetto era composto di una trentina di piante di pino non lontane dalla riva del fiume.

Era un ottimo riparo in caso di attacco, i soldati erano stremati come lo erano i cavalli.

“Nessun fuoco ragazzi mi raccomando, una mezz’ora di riposo e poi ripartiamo”.

Il cowboy scrutava l’ansa del fiume, sapeva che a breve avrebbe visto spuntare gli apache. Non si faceva illusione sul fatto che avessero perso le loro tracce.

“Mi dica, come sapeva dell’entrata di quella grotta?”. Domandò il capitano.

“Ha sentito parlare della banda Reno?”.

“Si! Ne faceva parte?”.

“No, però ero sulle loro tracce…un giorno seguendoli mi sono accorto che erano scomparsi dentro il  Gran canyon, non potevano esser svaniti. Impiegai un paio di ore a capire come avevano fatto, ed ora quel tempo perso è servito”.

“Ha trovato la banda?”.

“Mi interessava solo Reno…si l’ho trovato!” il cowboy sorrise a questa frase.

“Scusi capitano, ho sentito di cosa parlavate…giovanotto…Reno è stato ucciso in un duello a Mesa da un tizio che poi si è volatilizzato, ho come l’impressione che siate  voi”.

“Sergente, lo sapete che la curiosità è solo prerogativa delle donne? Poi come ho detto al capitano nel west meno cose si vogliono sapere, meglio è per la salute. Ora vamos, in sella!”.

Il sole era definitivamente tramontato, il cielo dell’Arizona era stellato, e questo era un male pensò il capitano. Erano visibili a diverse miglia di distanza.

L’umore dei soldati non era certo al massimo, una pasto veloce e per di più freddo, stanchezza e sonnolenza si facevano sentire. Per non stancare i cavalli, percossero alcune miglia a piedi.

“Cane Rosso si sarà unito a Delgado?” domandò il sergente al cowboy.

“Puoi scommetterci la tua paga soldato! Quando sentono profumo di scalpi li fermi solo a fucilate”.

L’uomo lo guardava, poi disse: ”Mi ricordi mio nipote, un bravo ragazzo ma che si trovava sempre in mezzo ai guai e l’ultimo gli fu fatale”.

“Io non cerco guai, sono loro che trovano me…come se la cavò suo nipote con quel fatale guaio?”.

“Non poté evitarlo, dovette sposarsi!!”  ambedue risero a crepapelle.

Il capitano fece fermare la colonna: “ Dieci minuti di pausa ragazzi”.

Il cowboy  montò in sella e salì verso un crinale, da li avrebbe visto se qualcuno li seguiva. In lontananza non vi era nessuno, ma per esperienza sapeva benissimo che gli indiani sono maestri nel non farsi vedere.

C’era troppo silenzio in quel posto, accarezzò il cavallo.

“Capitano, faccia risalire i ragazzi in sella!”.

Pur con mille imprecazioni i soldati salirono in sella e ripartirono alla svelta.

“Li ha visti?”.

“No, ma il mio sesto senso mi dice che non sono lontani, e di solito non sbaglia mai. Poi anche il mio cavallo era inquieto,  ed ho imparato ad ascoltarlo”.

“Quanti saranno a darci la caccia?”.

“Parecchi, so che Cane Rosso ha almeno un centinaio di uomini se non di più al suo seguito”.

Un fischio uscì dalla bocca del sergente: “Se ci beccano addio capigliatura!”.

Alle loro spalle si sentivano gli ululati, qualche soldato maledisse i coyote.

“Crede che ci attaccheranno di notte? “.

“Non lo escludo, anche se credo che vorranno prima sincerarsi di quanti siamo”.

L’alba che sorgeva vedeva i soldati trascinarsi stancamente sui loro cavalli. Nessuno aveva voglia di parlare, gli occhi si chiudevano per la stanchezza, ma fermarsi equivaleva a morte sicura.

“Cosa sono quei ruderi?”.

“Una vecchia missione di frati spagnoli, è abbandonata da anni. Gli apache  avevano compiuto un massacro, solo in pochi si salvarono, giungendo fino al forte”.

“Maledetti apache!” .

“Non so se tutta la colpa è loro capitano, i messicani sono decenni che li uccidono, non fanno distinzione tra donne, bambini  e uomini. I cacciatori di scalpi, anche loro non vanno tanto per il sottile.  Mercanti di armi e whisky fanno la loro sporca parte e il governo vuole le loro terre per espandersi senza mantenere i patti scritti, e voi soldati combattete senza riflettere se un ordine è giusto o sbagliato ”.

Il capitano voleva ribattere ma preferì stare zitto, in fondo al suo cuore sapeva che le cose stavano esattamente così. Vivere in pace con gli indiani era un’utopia, con qualche tribù si era riusciti, ma con costi altissime di vite umane e facendo in maniera che i nativi rinnegassero le loro usanze per prendere quelli dei bianchi.

Gli apache non potranno mai essere agricoltori in una terra dimenticata dallo stesso Dio che l’aveva creata. I Kiowa erano guerrieri, e così ogni tribù aveva un loro ben preciso modo di vivere. Unico destino per loro era quello di scomparire da queste terre.

“Riposiamoci dentro le mura della missione. Capitano, mettete delle sentinelle e che stiano all’erta”.

Sulle mura della missione si arrampicavano le erbacce, all’interno della chiesa impolverata, una croce era stata tolta dalla parete e scaraventata a terra. Le panche di legno distrutte.

Le ossa dei cadaveri erano disseminati all’interno della missione. Una scala pericolante portava al campanile, da li la veduta era ottima. Le sentinelle cercarono una posizione comoda per scrutare l’arrivo degli apache.

“Deve esser stato orribile per queste persone morire senza un perché”.

“Come dite voi soldati? La guerra è guerra, non fa distinzione per nessuno”.

“Ma noi non siamo macellai per Dio…!”.

“Ne siete proprio sicuro capitano?”.

Murray si allontanò a grandi passi.

 

Passarono un paio di ore quando le sentinelle urlarono: “Arrivano…stanno arrivando gli apache!”.

 

 

   (continua)                                         

 

 
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Swing al femminile

Post n°2569 pubblicato il 28 Marzo 2020 da paperino61to

Eccoci arrivati a sabato, e con esso la presentazione di nuovi artisti, in questo caso artiste. Buon ascolto a tutti voi 

 

        

 

 

 

        

 

 

 

 

         

 

 

 

        

 

 

 

 

     

 
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Il risveglio

Post n°2568 pubblicato il 27 Marzo 2020 da paperino61to

Piccola premessa dovuta, in questi giorni di "reclusione forzata" ho messo a posto le mie "scartoffie", nel farlo è saltato fuori questo raccontino, scritto nel lontano 1998! Credetemi amici/che che è la verità, non ricordavo manco di averlo scritto. Direi che in qualche modo è stato profetico, per fortuna non si è avverato ciò che succede nel racconto, ma in qualche modo si avvicina. Buona lettura 

 

 

Clem Murdock di età 45, da sei anni in coma, ricoverato nella stanza 201 dell’Hospital di Livingston aprì gli occhi. Dapprima lentamente, quasi titubante, poi decisamente gli spalancò del tutto. La prima cosa che notò era il colore della sua stanza, un giallo canarino, il soffitto era scrostato. Pensò a come sarebbe stato buffo se gli cascasse in testa, si era appena risvegliato dopo anni di sonno. Ricordava vagamente cosa fosse successo, l’ultima cosa che ricorda bene è l’auto che viaggiava a forte velocità, poi un botto fortissimo.

“Infermiera…infermiera…” la sua voce echeggiava nella stanza. Guardò i tubi e fili che scendevano da una macchina e penetravano nel suo corpo.

Urlò ancora più forte, ma nessuno rispondeva alla sua chiamata. A fatica si tirò su, schiacciò il tasto per le chiamate, nulla, solo la campanella rompeva il silenzio irreale.

La testa gli girava, si appoggiò a una sedia mentre cercava di stare ritto sulle gambe.

“Vaf…a questi tubi!” gli strappò con rabbia mentre continuava a chiamare l’infermiera.

Cadde per terra un paio di volte, imprecando contro chi avrebbe dovuto soccorrerlo, con fatica riuscì a tirarsi in piedi. Aprì la porta della stanza, guardò nel corridoio, non vi era anima viva.

“Non c’è nessuno? Dottore?” la sua voce dapprima impastata ora era limpida.

Il corridoio era deserto, alcuni neon bruciati chissà da quanto tempo.

Un paio di carrelli erano ricoperti di polvere, passò un dito, la prima cosa che pensò che la ditta di pulizia lasciava molto a desiderare. Aprì un paio di porte, ma nelle stanze non vi erano pazienti. Trascinando i piedi arrivò fino a una stanza dove all’ingresso c’era scritto: Riservato al personale.

Bussò, ma non ottenne risposta, decise di entrare, le tapparelle erano tirate giù, una puzza di chiuso gli penetrò nelle narici. A tentoni riuscì a trovare l’interruttore della luce, l’accese, la lampada illuminò la stanza vuota. Una scarpa era sul pavimento, una borsa aperta appoggiata sul tavolo.

Non capiva cosa fosse successo, cristo santo come faceva a capirlo, era stato in coma per sei anni o forse più, non ricordava di preciso. Aveva solo vaghi ricordi, guardò le sue mani, al dito medio sinistro c’era una fede.

“Sono sposato?”. Cercò di sforzarsi di ricordare ma nulla da fare. Si domandò se avesse avuto anche dei figli, ma nulla la sua memoria era stata cancellata.

Il rumore di un pc acceso lo distrasse dai suoi pensieri, si avvicinò, guardò lo schermo, con le numerose icone, cartelle prevalentemente. Tornò nella sua stanza per vedere sulla scheda fissata al letto come si chiamava, poi ritornò al pc, cliccò sul suo nome, la cartella si aprì.

Clem Murdock età 45, sposato con Marta Reval di età 36. Nessun figlio. Residente a Bounty numero 340, numero di telefono 923 465 ricoverato in seguito a un incidente di auto. Diagnosi trauma cranico e conseguente coma. Data di ricovero il 23/4/2014.

“Cristo…sei anni…sei anni chiuso in questo ospedale, bloccato in un letto”.

Alzò la cornetta del telefono e compose il numero della sua abitazione, provò per diversi minuti ma nessuno rispondeva all’altro capo, riattaccò. Nella stanza del personale, notò un armadietto. L’aprì, dentro vi erano degli indumenti, un paio di essi erano maschili. Prese dei pantaloni color verde scuro, una maglietta di cotone. Le scarpe erano strette, optò per uscire con delle ciabatte trovate anch’esse nell’armadio.

In tutto l’edificio l’unica presenza viva era la sua, unica era la sua voce che rimbombava. Uscì sul marciapiede, respirò a pieni polmoni, come era bello sentire l’aria fresca entrargli dentro il suo corpo. Il suo sguardo vagò alla ricerca di qualche forma di vita, nulla, erano tutti scomparsi. Andò verso il parcheggiò dei taxi,  aveva visto una decina di auto ferme.

“Qualcuno ci sarà, non è possibile che siano tutti scomparsi!”.

Vide una sagoma all’interno dell’auto. Mentre correva verso di essa, delle lacrime gli stavano scendendo, aveva trovato qualcuno, una persona con cui parlare, condividere i sei anni che gli sono stati rubati. Bussò sul vetro della macchina: “Buongiorno…scusi è libero? Dovrei andare…”.

Nessuna risposta venne dall’interno dell’auto, decise di aprire la portiera. Un corpo ammuffito cadde sul selciato. Murdock urlò ritraendosi cadendo. Le mani davanti al suo volto quasi a cancellare quella visione orrenda.

Ritornò sui suoi passi, decise di andare a piedi, ora notava che il silenzio era irreale, non un auto sfrecciava per le strade, non vedeva un’anima viva manco a pagarla oro. Un mini market aveva le porte spalancate, decise di entrare. Era deserto, i frigoriferi ronzavano, la frutta e verdura sui banconi erano andata a male: “Marci…tutto marcito…ma che ca...è successo?”. Aveva fame, solo ora il suo stomaco si era fatto sentire, andò verso degli scaffali, guardò la data di scadenza di alcuni pacchi di biscotti, ne prese un paio. Mangiò con voracità, fino a sentire poi lo stomaco chiedere pietà.

Uscì e si diresse verso un bar, entrò per poi uscirne subito. Si piegò in due, stava vomitando. All’interno del locale, numerosi corpi erano riversi sui tavoli e pavimento, tutti quanti assomigliavano a mummie, molti di questi corpi avevano le mani protese in cerca di chissà quale aiuto.

Alzò gli occhi al cielo domandando spiegazione ma nessuno gli rispose. Un vento gelido si era alzato, aveva freddo, ma questo era l’ultimo dei suoi problemi. Si avviò verso la 23 strada, da lì avrebbe raggiunto la statale per Bounty. Ma cosa avrebbe trovato? Riprovò da una cabina telefonica a chiamare la moglie, ma come prima il telefono squillava a vuoto.

Percorrendo la strada, a momenti inciampò in un foglio di giornale, rischiando di cadere. Lo prese in mano e ciò che lesse lo fece urlare con tutto il fiato che aveva.

“Disastro mondiale, i morti per arma batteriologica sono milioni!”. Legge l’articolo, dove il cronista conclude scrivendo il messaggio del Presidente alla nazione: “E la fine dell’umanità, vi chiedo scusa, chiedo scusa a donne, uomini, bambini, che hanno creduto in me. Ho intrapreso una guerra senza senso!”.

Guardò la data della pagina, era datata il 22/12/2018, si inginocchiò ed iniziò a piangere. Aveva la consapevolezza che era l’unico uomo vivo in tutto la nazione se non nel mondo, il coma lo aveva salvato da questa morte, ma si poteva veramente dire che l’aveva salvato?

 

                                                          Fine              

 
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Perplessità

Post n°2567 pubblicato il 24 Marzo 2020 da paperino61to

Ci sono alcune perplessità che mi lasciano basito sul certi decreti del governo. Non faccio parte della banda dell'Immondo o della Pantegana, sia chiaro, basta una scoreggia del governo, che loro partano a testa bassa sparando azz...enormi: Date un incentivo monetario agli operai,( x la serie se gli pagate bene costoro non rompono le balle e vanno a lavorare), oppure del tipo: Ad agosto elezioni, come se questo virus non fosse cosa seria.

Credo che per qualsiasi governo non sia facile emettere decreti o fare cose che possano piacere a tutti, ma alcune cose ripeto mi lasciano perplesso. La prima è chi comanda veramente, le lobby degli imprentitori ovvero Confindustria o il governo?.

Hanno ragione i sindacati e con loro i lavoratori ad inc...sulla sicurezza della salute non si scherza! E quella povera renziana di nome Bellanova ex sindacalista( qui la cosa mi fa andare su tutte le furie) dovrebbe solo Vergognarsi per le parole rilasciate ieri.

Ebbene, se si devono tutelare la salute dei lavoratori meglio chiudere e non allargare la maglia delle aziende che devono lavorare, se guardate la lista c'è da porsi la domanda di chi comanda( ditte che fabbricano bibite aperte è un esempio).

Poi passiamo al famoso foglio dell'autocertificazione, che tutti quanti avrete visto, la cosa Vergognosa è che lo si firma dichiarando sotto la propria responsabilità di NON esser infetto. 

Ma se io il tampone non me lo hanno fatto fare come faccio a dichiararmi sano del tutto? Se vado a trovare mio padre, e per sfortuna sua  lo infetto, vado nelle grane a non finire, perchè secondo loro io ho dichiarato il falso.

Pee quanto possa ammirare e stimare Conte, stavolta trovo che chi per lui ha fatto una enorme porcata, per la serie ( l'ennesima) scarichiamo le responsabilità ai cittadini.

Altra perplessità sono gli orari dei supermercati, sono stati ridotti, ma non ci vuole una scienza a capire che se tu gli riduci, la gente si concentra nell'unico orario possibile. Io sono contrario aperture alla domencia, 24 ore su 24 ore aperti, ma in questo momento si, è l'unica soluzione per non fare aggregare gente su code lunghissime.

Stessa cosa per i trasporti pubblici, meno gente meno corse. Peccato però che chi deve andare a lavorare, sapendo che ci sono poche corse, prende quelle dove i mezzi sono strapieni...

 

 
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