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Un blog creato da alias.ego9 il 06/12/2012

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La casa

Post n°1 pubblicato il 06 Dicembre 2012 da alias.ego9
 

Capitolo 1

"Non c'è più nessuno che ti potrà proteggere." Nessuno... "non c'è mai stato nessuno nella tua vita che ti ha protetto." Nessuno... La luce centrale del bagno sfavillava, come sempre, come ogni giorno quando rientrava a casa dopo il suo lavoro interminabile, la luce continuava sfavillare per un attimo le era apparsa sbeffeggiante di lei, lì, seduta su quella tazza mentre tutti nelle altre stanze armeggiavano per portare via per sempre quello che era stata la sua vita nella casa. Tutti, svuotavano gli armadi, tutti, prendevano possesso di ogni oggetto, di ogni suppellettile, di ogni libro, di tutti gli abiti e di tutto quello che era la sua misera esistenza e le... Lei, semplicemente non poteva che sedersi nel unico luogo che era già stato svuotato, come la sua vita, il bagno della casa. Bianco, pulito e vuoto, privato della vita proprio come lei priva di vita.

"Nessuno," una sola parola per identificare il niente, eppure c'era un tempo che quella casa era piena di persone un tempo trascorso, un tempo che riecheggiava nella sua sola memoria, quella di una bambina che adesso divenuta donna era lì, inerme come sempre di fronte alla sua vita non vissuta, tuttavia, viva, da sentire la desolazione avvolgerle il cuore e il pensiero e, forse, anche il suo corpo e il suo viso da bambolina.

Al pensiero della bambolina, le tornò in mente lui, scacciatolo con forza dai pensieri divenne nuovamente persistente scacciatolo era divenuto lui al posto di nessuno.

La porta si aprì: "Vieni andiamo! Abbiamo finito. Vedrai che starai bene con noi e tua sorella sarà felice in questa casa, infondo lo sei stata anche tu!" Una mano si protese verso di lei, una mano vecchia e rugosa, un bacio di labbra fredde si avvicinò alla sua fronte. Fu la fine.

***

Il vecchio scrittore si era appena incatenato a quella che riteneva "casa", un bar. Sì, i proprietari erano lì, con le forze dell'ordine, erano lì, senza dire una parola di fronte allo sfratto, lui no, si sentiva defraudato di quella che per lui era la sua casa, il bar, che nella sua immaginazione era la casa dei suoi personaggi e delle persone che attraversavano le sale e di tutto quello che era per lui più simile a una famiglia. Così, in un gesto estremo  senza appello, si era incatenato all'unica cosa dove poteva avvinghiarsi con le pesanti catene che aveva acquistato il giorno prima dal ferramenta dell'angolo, alla saracinesca della vetrina.

Guardava furioso e inorridito la pattuglia di polizia e urlava disperato "non potete chiuderlo, è la mia casa!", eppure nessuno tra i presenti della piccola folla dei passati che via via aveva gremito il vicolo e l'ambulanza chiamata da non si sa bene chi e la polizia e i proprietari che lo guardavano con occhi supplichevoli e di rassegnazione. Nessuno capiva esattamente cosa stava avvenendo. Nessuno. A lui, al vecchio scrittore, non rimaneva che urlare.

Urlava. Urlava con tutte le sue forze perché quella era casa sua e con gli occhi sbarrati fuori dalle orbite, osservava tutti, con il cuore che gli batteva all'impazzata per essersi legato troppo stretto e per lo sforzo di urlare con tutta la sua anima che lui, non si sarebbe mai rassegnato non poteva perdere la sua casa. Urlava tanto che stremato a volte si rendeva conto di sentire la sua saliva scivolare e bagnargli il colletto della camicia, tuttavia, a quella sensazione di umido corrispondeva un nuovo urlo ancora più forte e ancora più lacerante. "Non ne avete il diritto è la mia casa!"

***

A quel bacio freddo, corrispose la sua reazione, prese quella mano gelida e rugosa tra le sue e si alzò percorse per l'ultima volta il corridoio della casa, prima di uscire dall'uscio, cercò, il pacchetto di sigarette nella tasca ne estrasse una e in un gesto automatico l'accese. Tirò forte, ne conseguì un colpo di tosse convulsivo, uscì per sempre dalla casa. Si fermò un attimo guardando la vecchia figura che si allontanava sul retro della abitazione, volse gli occhi al cielo era stellato. Un brivido di freddo la riportò a un immagine televisiva una scena assurda che aveva visto in estate il vecchio scrittore di fama nazionale, miseramente legato e incatenato come una salsiccia alla serranda di un locale della grande metropoli, pensò che lui, almeno ne aveva avuto il coraggio e che forse era riuscito ad ottenere qualcosa. Un secondo tiro. Volse lo sguardo alla città illuminata e a un tratto le ritornò il pensiero di lui che la chiava "bambolina", scacciò il pensiero con forza esasperata con un altro tiro e il fumo le andò negli occhi, le scese una lacrima calda e pensò ancora al vecchio scrittore che piangeva. Disse con flebile voce a nessuno "Io non ho che una lacrima di fumo."

***

Tra le onde della burrasca, c'era l'ingegnere troppo vecchio per iniziare a esserlo troppo giovane per essere quello che era riportato sul papiro che aveva stretto con una corda e messo nella valigia. Stringeva forte il ventre per non vomitare, la sosta in Corsica l'aveva messo di cattivo umore per arrivare "in continente" ci avrebbe impiegato due giorni, serrava la mandibola, faceva scricchiolare i denti, tuttavia, aveva dovuto stringere i denti per tutta la vita, per arrivare a quella nave immersa nella burrasca, aveva dovuto studiare tutto quello che non gli piaceva, lui era quel pezzo di carta in pergamena nella valigia, nulla di più. Si sentiva nessuno.

Pensava alla casa che aveva lasciato, poche stanze stanche dove sua madre si trascinava e dove suo padre rideva e scherzava e dove aveva lasciato suo fratello nel silenzio delle parole non dette. L'ingegnere, chiuse gli occhi nella morsa stretta del suo stomaco e le apparve lei, la donna che pochi anni prima in un blog scriveva poesie, lei, la maestra delle elementari che con un sorriso gli aveva riscaldato il cuore. Pensò per un attimo alla sua nuova casa quella che la sorella della sua maestrina aveva lasciato per loro, la immaginò, per quello che ne era il suo ricordo, nelle estati calde negli anni precedenti. Quella casa, non era come la sua in Sardegna era diversa, forse, perché c'era lei, la maestrina che lo ascoltava e che l'amava oltre la vita. Lo stomaco gli faceva meno male, il freddo era meno pungente e si addormentò.

***

Scorreva l'e-mail, con velocità: cancelleria, forze dell'ordine, avvocati, procura, giornalisti, scorreva, con la rotellina del mouse poi un solo istante finiva sempre lì, su quella mail vecchia di mesi aperta, letta e riletta. La sapeva a memoria ma la rileggeva  svariate volte al giorno e tutte le sere prima di coricarsi, la leggeva per sentirla vicina e per sentirsi vivo. Si era aggrappato a una mail, scritta da lei, molti mesi prima, ma quella mail era magica in qualche modo era la linfa vitale della sua esistenza. Il pensiero si imbeveva dell'unica notte trascorsa con lei,  a volte la descriveva con il pensiero in ogni particolare, a volte ripercorreva tutto, e, ancora voleva dimenticarla. Si strofino gli occhi dimenticando le lenti a contatto gli occhi si irritarono e pensò che gli stavano maledettamente bruciando. "anch'io sto bruciando!" pensò, chiuse automaticamente la mail, contemporaneamente apparve sua moglie spalancando la porta dello studio

"vieni a dormire? O pensi di fare come al solito di lavorare?"

Il giudice la uccise con lo sguardo e rispose con garbo e sarcastico disse: "da quando ti interessi del mio riposo!?"

"Da quando? lo sai cosa mi ha detto la vicina? Tuo marito lavora sempre anche di notte! Almeno mantieni le parvenze e chiudi le tapparelle, così non sanno che dormi nello studio!"

Il giudice "chiudi la porta per favore, è anche casa mia questa, ho il diritto di fare quello che voglio anch'io!"

"Nessun diritto! caro mio! se ci criticano!" disse la moglie seccata sbattendo la porta.

 

 

Il giudice chiuse gli occhi si appoggiò allo schienale della sua poltrona con il capo all'indietro incassato nel collo, stese le braccia in avanti, le mani senza fede sulla scrivania, sentì, il freddo del vetro passare attraverso i polpastrelli e un brivido lo percorse e lo fece trasalire, con un gesto automatico portò le dita alle palpebre e con un solo gesto abituale fece scivolare le lenti a contatto fuori dagli occhi e per un istante rimase esterrefatto la vide lì, accanto all'orologio di suo nonno un vecchio pendolo, la vide perfettamente con il suo viso di porcellana... Atterrito, pensò "Sono troppo stanco ho bisogno di dormire. Avrà anche il dono dell'ubiquità? impossibile nessuno ce l'ha, nessuno può essere qui e in un altro luogo. Nessuno.

 
 
 
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