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Ancora sullo scrivere

Post n°101 pubblicato il 21 Ottobre 2012 da meninasallospecchio

Sappiatelo: è dall'esame di maturità che aspettavo il momento per citare T. S. Eliot. Anzi, già che ci sono vi metto tutto il pezzo:

Poi s’ascose nel foco che gli affina
Quando fiam uti chelidon—O swallow swallow
Le Prince d’Aquitaine à la tour abolie
These fragments I have shored against my ruins

Raffinatissimo gioco di citazioni: Dante, un carme latino di autore ignoto, Lord Tennyson, Gerard de Nerval. Accostamenti un po' enigmatici, rimandano al potere salvifico della poesia: un trovatore provenzale, la rondine che rompe il silenzio e canta, twitta potremmo anche dire :-) Il principe d'Aquitania e la sua torre crollata. "Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine", dice Eliot. Che meraviglia.

Dal sacro al profano, torniamo a me. Come scrivo? Be', innanzi tutto non ho il sacro fuoco. Non scrivo tanto, non scrivo con facilità. Non sento una necessità, un'urgenza di scrivere, come forse capita a qualcuno. Come per il cibo, per il vino, per il sesso, il mio non è un bisogno, è un piacere. Che mi gusto con moderazione, soprattutto prendendomi il tempo che ci vuole. E di tempo ce ne metto parecchio.

Diceva il mio compaesano Beppe Fenoglio: «Scrivo per un'infinità di motivi. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La piú facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti».

Non proprio così. Divertirmi mi diverto. Rifacimenti no, ma una fatica nera sì. Rileggo mille volte, aggiusto, sposto, cambio punteggiatura, cerco sinonimi, la parola giusta. Il lessico mi ossessiona. Da quando scrivo il blog ogni minuto sto su google: "sinonimo di...". Eppure non è quasi mai di aiuto. Non cerco il sinonimo, vorrei  la parola evocativa, l'ellisse, il lampo. Vorrei saper scrivere come Paolo Conte, mettere insieme parole distanti per schiudere un mondo.

Cerco il ritmo delle frasi, le frasi brevi, le pause brevi. Rileggo, cancello, spiano gli spigoli che fanno inciampare. Se voglio far sorridere cerco l'effetto, la parola decontestualizzata, il crescendo. Gli aforismi sono come una droga, cominci e non smetti più. Cerco l'understatement, prima di pubblicare cancello 5 volte la parola "io", mi bacchetto da sola per le iperboli.

Vorrei essere più brava. A volte non riesco a esprimere quello che intendo. Cioè non riesco a dirlo brevemente, so che ci sarebbe un modo, ma mi sento mancare la padronanza; non domino lo strumento, non abbastanza. Le parole inadatte banalizzano, tolgono significato.

Ammiro il talento di alcuni blogger che leggo qua e là, ma potrei pensare di imitare (a volte lo faccio :-) ) soltanto chi è nelle mie corde. Non potrei rinnegare quello che sono: la leggerezza, la razionalità, per inseguire un improbabile fascino misterioso, lasciar trapelare profondità che non ho. Decapito le note troppo alte o troppo basse al tribunale dell'understatement: sarebbero comunque stonate, a scrivere la tragedia non ho imparato. Ho imparato invece a convivere serena con la banalità e a non prendermi troppo sul serio.

 

Lucy

 
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