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Il vino che sa di tappo
Post n°319 pubblicato il 30 Marzo 2014 da meninasallospecchio
Che tristezza quando succede! Sei andata in cantina due ore fa e hai preso una bottiglia da portare in cucina, in modo che non sia troppo fredda per l'ora di pranzo. Niente di eccezionale, non hai ospiti, ma è pur sempre domenica e anche da soli vale la pena bere meglio del solito. E' l'ora di pranzo. Il cavatappi seminuovo porta la scritta Regione Piemonte, te l'hanno regalato quando hai fatto la volontaria al banco di assaggio dell'Enoteca Regionale; meglio guadagnato delle mutande verdi di Cota. Un cavatappi nuovo è già una goduria di per sé. Il coltellino ben affilato incide preciso la capsula che si sfila senza difficoltà. La spirale penetra agevolmente nel sughero. Estrai il tappo. Saranno almeno 6 centimetri, in omaggio a una moda che sembra associare la lunghezza alla qualità del vino, ma è eccessivamente morbido e poco consistente. Uhm... Lo annusi. Se il tappo sa di vino, il vino non sa di tappo: così recita l'adagio. Questo invece odora di sughero. Non tanto, ma... sì. Ahi. Versi un po' di vino nel bicchiere, ma sai già come andrà a finire. Lo annusi. Ma... forse... gli dai ancora una possibilità: lo assaggi. Niente da fare: tappo. Il vino che sa di tappo è il modo sicuro per rovinarsi la giornata. Eppure non è colpa di nessuno. E' un fungo, l'Armillaria mellea, parassita della quercia da sughero. I produttori di vino non hanno nessuna responsabilità: loro comprano i tappi da fornitori che ritengono affidabili, i quali a loro volta hanno comprato da altri, ecc. Il fungo si sviluppa nel tappo quando è troppo tardi per accorgersene. Una percentuale stimata intorno al 7% delle bottiglie di vino soffre di questo problema. E' successo anche per vini eccelsi: in quel caso, anche se si tratta soltanto di qualche bottiglia, i produttori ritirano l'intera partita dal mercato, per non creare problemi alla distribuzione e non rovinarsi l'immagine. C'è una soluzione? Sì. Il tappo in silicone. Ma non viene mai usato per i grandi vini. Alcuni teorici sostengono che il sughero permette un limitato interscambio fra il vino e l'ambiente esterno che ne favorisce l'evoluzione. Però ai corsi A.I.S. mi hanno detto un'altra cosa: e cioè che il sughero non viene abbandonato per motivi che potremmo definire estetici, romantici, di rispetto della tradizione. C'è molta ritualità nel mondo del vino, non sempre giustificata. E un tappo sintetico incrina la sacralità del grande vino. Quella dell'A.I.S. è un'opinione di parte, ovviamente. L'Associazione Italiana Sommeliers rappresenta il punto di vista dei ristoratori, per i quali il vino che sa di tappo è una iattura, perché l'hanno pagato, il cliente non lo pagherà, e in più la figura del menga la fanno loro. Però il sospetto che il sughero non sia così indispensabile all'evoluzione del vino viene spontaneo. Lo champagne e lo spumante prodotto con il metodo champenoise (in Italia si chiama metodo classico), durante il periodo di fermentazione sui lieviti, sono tappati con il tappo a corona, quello della Coca Cola, per intenderci. Nessuno usa quel genere di tappo per il vino, tranne forse per qualche Lambrusco. Eppure andrebbe benissimo, e non saprebbe di tappo. Ok, il tappo a corona per il Barolo non lo vorrei nemmeno io, ma sul silicone non farei la guerra di religione.
Lo so, a questo punto vi aspettate una delle mie metafore esistenziali sul vino che sa di tappo, come per le degustazioni, la cassata siciliana e il tubino nero. Ormai vi ho abituati così :-) E non vi deluderò. La metafora del vino che sa di tappo è quella dell'investimento sbagliato, in economia e nella vita. Cosa si fa con un investimento in perdita? Si disinveste, subito, senza pensare di potersi rifare: si recuperano i soldi che si possono recuperare e si investono in qualcos'altro che tornerà a fruttare. E cosa si fa con il vino che sa di tappo? Niente. Non fatevi tentare a dire "Be', in fondo non si sente tanto". L'amico che sta con voi, per mostrarsi garbato, dirà che non lo avverte. Ma è un errore. L'amico deve dirvi "Butta via questa merda". Non è come la cassata, non c'è il buono e il meno buono. Qui c'è soltanto la remora a buttare via quello per cui avete speso dei soldi, e su cui avete nutrito delle aspettative. Ma non rovinatevi il pranzo con un vino cattivo. Via, via, aprite un'altra bottiglia, vi farà dimenticare lo spreco e la delusione. Domani, con calma, penserete a cosa fare con quella bottiglia piena. In fondo non andrà del tutto sprecata, si potrà sempre aggiungerla poco per volta a un bottiglione di aceto.
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