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Scrittura ed effetto di ritorno
Post n°348 pubblicato il 24 Giugno 2014 da meninasallospecchio
Supponiamo che mi sia morto il gatto. Questa sarebbe la verità: il gatto è morto. Poi c'è l'emozione reale della persona reale. In teoria si tratta di un evento triste, ma non è neanche detto: magari il gatto era vecchio e malato e in fondo è meglio così, oppure era il gatto di mia suocera, io lo odiavo e non vedevo l'ora di sbarazzarmene. Questo per dire che anche nelle emozioni non c'è nulla di universale o di scontato. E a volte dentro di noi possono convivere sentimenti contrastanti nei confronti della stessa vicenda. E poi c'è la scrittura. Mi metto a tavolino e vi racconto che mi è morto il gatto. Posso farlo in tanti modi diversi. Posso raccontarvi con tenerezza la vita del mio gatto ricordando tutti i bei momenti che abbiamo trascorso insieme. Oppure posso dirvi l'indicibile tragedia che sto vivendo, ora che l'unico essere con il quale avessi un rapporto affettivo mi ha lasciata e io sono rimasta sola al mondo e senza una ragione per vivere. O ancora posso parlarvi della malattia che l'ha colpito, delle visite e delle cure che ha subito. O cogliere l'occasione per fare una ricerca sul web sull'etologia dei gatti e sui loro rapporti con gli esseri umani. O raccontarvi qualche aneddoto divertente collegato al gatto. Insomma, ci sono mille modi in cui vi posso dire quella che sarebbe comunque la verità. E qui vengo al discorso da cui sono partita. Il punto è che magari a scrivere il post del gatto impiego 2-3 giorni. Be', forse in questo caso no, ma per esempio tutta la storia delle lettere di mia madre mi ha preso circa una settimana. Se passo una settimana a scrivere della morte del gatto nel registro dell'indicibile tragedia, come immaginate che mi senta? Considerate che l'emozione che riuscirò eventualmente a trasmettere al lettore sarà in ogni caso di molto inferiore alla mia: non soltanto per la pochezza delle mie capacità espressive, che finirà per generare una pessima trasposizione; ma anche perché il tempo mentale che dedico alla scrittura può essere molto di più di quello materiale in cui sto seduta al PC a scrivere ed è sicuramente di molto superiore a quello richiesto per la lettura. In tutto questo tempo io penso alla vicenda secondo il registro che ho stabilito, e mentre scelgo e rielaboro le parole e le frasi, cercando di esprimere la tristezza e la solitudine, continuo a viverla dentro di me nel modo in cui la sto raccontando; continuo a ravanarmi dentro per cercare nella mia interiorità le corde in grado di "suonare" la pena e l'angoscia. Quando ho scelto di usare la vicenda delle lettere di mia madre per scrivere secondo un determinato registro, non mi ero resa ben conto di come questo si sarebbe riflesso su di me. Ho superficialmente pensato che, in un modo o nell'altro, bastasse scriverne per metabolizzare. Soltanto in seguito ho capito che sarebbe stato meglio buttare in caciara tutta la faccenda, in modo da liberarmene e via. Perché se avessi scelto un registro umoristico, pensandola e rielaborandola in quel modo, sarebbe rapidamente diventata davvero una cazzata da riderci su. Scegliendo la versione "seria", con motivazioni più che altro estetiche e un po' ruffiane, ho scelto anche di enfatizzare gli aspetti sgradevoli, di riviverli nel modo più doloroso possibile per tutto il tempo necessario a scrivere e in questo modo di farmi autenticamente del male per una settimana. Ho spiegato meglio che cosa intendo con effetto di ritorno da parte della scrittura? Quello che ho chiamato "input". E con la scrittura creativa è ancora più evidente. Ora questo meccanismo io l'ho un po' banalizzato ed esagerato per renderlo più chiaro. Sicuramente mi obietterete che non scrivete così, che non fate questo "lavoro". Probabilmente io lo faccio più di altri, ma sono convinta che, se ci riflettete, almeno in parte vi ritroverete anche voi. Perché il "di getto" può essere vero fino a un certo punto: scrivere è un'attività estremamente tecnica e razionale, anche se sembra più sexy dire che si fa con il cuore. E del resto una cosa non esclude l'altra. E quindi, per chiudere in bellezza, ora che sapete come funziona su di me l'effetto di ritorno della scrittura, provate a immaginarvi come mi sentirei se passassi 2-3 giorni a scrivere il famoso post del cazzo.
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