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(E. Cioran) 

 

Non so se quello che faccio possa chiamarsi "scrivere". Piu che altro confeziono dei brani che possano servirmi a riempire dei buchi (H. Murakami)

 

 

« Andiam, andiam, andiam a lavorarbrutte rospe »

Le tapparelle di Magda Szabò

Post n°444 pubblicato il 03 Maggio 2012 da simurgh2
 

Poco dopo le otto.
C'e una malagrazia nel tirar su le persiane la mattina.  Che tu sei la tranquillo assorto sul balcone, con la risacca nella battigia dei pensieri, e la persiana di fianco vien tirata su in malomodo, a strapposecco, che la senti lacerata si spacca, resiste poi urla, ed è un urlo di plastica, uno strakk secco, poi non senti ma listarelle marron, una all'altra congiunte, a regolar le luci e le ombre e la dallo scuro che c'era di dentro la stanza, lo senti anche il giorno di fuori lagnarsi che pigro a quell'ora deve affrettarsi a buttar anche lui luce dentro dove prima era buio e me lo vedo che prima un bel pò irritato la luce dentro la stanza non gliel'ha riversata all'istante ma ha aspettavo e la Loredana di la energumena spiccia donna che quando le ha alzate per un istante e più è rimasto buio come fossero ancora calate Non sa che le persiane sono le palpebre della casa ? E che la casa poi, o solo in quella stanza, fa regnare il malumore e si pone il dirupo, non lo sa? Non lo sa che la luce nasconderà munizioni sotto armadi e como'? Alzale piano e con grazia te le tapparelle sai amore mio.
Delle persiane non ne parla mai nessuno, almeno a cercare nel web, se non per vendere, insegnarti ad aggiustare. Nessuno prende il considerazione le loro palpebre, lo sbattere che sanno fare di ciglia, le minuscole feritoie, i bacini leggeri alla luce, il riparo alle tempeste, alle spade infuocate degli angeli vendicatori, allo schiantarsi sui vetri dei corvi.
Il pomeriggio poi, stando sotto alla pergola, là con un libro (1), nella casa oltre il giardino, vedo l'anziana signora affacciarsi al balcone che da sulla terrazza. La sua testa muoversi con circospezione: una lenta occhiata di quà e di là. poi afferrare il balcone con dita artrosiche e nodose e avvicinarne i lembi, quasi fossero palpebre e accostarli con premurosa cura. Poi si è sentito il cardine di ferro girare con un lieve cigolio, che era più un sospiro del meccanismo che un lamento. Insomma a me quella è parsa poesia del gesto, la grazia, che se uno sà vederla, delizia. Rende lo spirito come preghiera. Pare lenire, rendere in pari. Dare armonia.

Da un'altra parte, a sud-ovest della piana.
Una donna, quella mattina le aveva tirate su forte.
Mi dirà poi, non sapeva delle munizioni sotto gli armadi,
delle reazioni dei mostri sorpresi dalla luce brutale.
Titto è nato subito, appena chiusi gli occhi.
Un minuscolo sogno. Una luce che attraversava la porta.
Non era certa di sognare. Cosi, appena chiusi gli occhi.
Nella fessura sotto la porta una luce.
Un'ombra che vedevo nel sonno in quella luce passare.
In quello che non sapeva se era un sogno quell'ombra passava.
L'ombra di una bambina che teneva per mano i due fratellini gemelli.
Scappava dal ceffone di una madre che l'aveva ferita.
Ancora prima delle prime luci, si incamminò per il villaggio vicino.
Teneva i due piccoli per mano ma appena giunti in strada volevano già sedersi.
Avevano sete, volevano bere. Cosi la bambina si diresse alla fontana.
Doveva lasciarli soli, ma la fontana non era lontana.
Non aveva mai visto arrivare cosi in fretta una tempesta.
Il cielo cambiò all'istante, non diventò nero ma lilla.
Come se avessero acceso dei fuochi in mezzo alle nuvole. 
I rombi dei tuoni si propagavano alti nel cielo.
La bambina mollò la boraccia a terra e corse indietro.
Spaventata, il cuore rollava, non vedeva le teste bionde dei gemellini.
L'acquazzone scrosciava furioso impedendogli di vedere.
Quando il fulmine squarciò l'albero la bambina li vide li sotto.
Vide le loro teste bionde brillare e un'istante dopo incenerire. 
Continuò con gli occhi subacquei a cercarli. Non potevano essere loro. 
Urlava isterica i nomi. Non potevano essere quei due legni neri, contorti. 
Girava la testa di qua e di là. La sua voce urlava e si sentiva fino a casa.
La madre usci scalza di corsa sotto la pioggia, urlando anche lei.
Sembravano impazzite. La madre aveva intuito la catastrofe. Piangevano.
Prese a picchiarla con ferocia. Gridando scure le tenebre. 
Voleva distruggere, colpire alla cieca. La bambina spezzata.
Poi, mentre tuoni e lampi erano cessati li vide, sotto l'albero, morti.
Scappò via correndo a zig zag e gridando come un uccello impazzito.
La bambina vide sua madre, da lontano gettarsi nel pozzo.
La bambina non riusci a muoversi. Rimase accanto all'albero e ai due corpicini.
Era come stregata, la testa vuota, la mamma nel pozzo, i due carbonizzati.
Un'uomo poi la prese per mano e la portò via.
La portò fuori dal sogno, aprì gli occhi. La fascia di luce sotto la porta.
E vide un'ombra attraversarla, e vide un'ombra attraversarla ancora. 
Alzale piano le tapparelle la mattina, amore mio.

(1) "La porta" di Magda Szabò - Einaudi 

 


Czesław Mozil - Violin Girl

"così nel pozzo cali piano la secchia 
con cautela la risali 
come la tapparella la casa"

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Commenti al Post:
lontradelbosc
lontradelbosc il 03/05/12 alle 20:06 via WEB
Questo nome, Magda Szabò, mi è rimasto in mente per tutta la vita, da quando, su per giù ventenne, lessi quello che ora so essere stato il suo primo libro: L'altra Ester.
Mi immedesimavo nella figura di Ester, povera, brutta, arrabbiata e insoddisfatta della propria vita, che contrastava con quella facile e fortunata della sua antagonista Angela, l'altra Ester.
Chissà che impressioni ne ricaverei rileggendolo adesso, dopo tanto tempo.
Anche questo che hai così ben presentato, La Porta, vorrei leggere.
 
 
simurgh2
simurgh2 il 04/05/12 alle 10:21 via WEB
Magda Szabò, il suono del nome, la sensazione di predestinazione che mi dà. Una che si chiama così non finisce a lavorare alle Poste. Un nome che pare già destinato alla dedizione creativa. E' un'idea che non conta niente questa, però spesso mi soffermo sul suono delle parole, lasciandomele ripetere dentro, avvertendone il suono, la risonanza, pian piano iniziano a suscitarmi delle sensazioni, evocarmi nell'immaginazione, come fosse una pratica divinatoria, delle sensazioni immaginative. "Il destino nel nome", insomma. E poi mi piace la sua faccia, così magiara, zingaresca. Non sò perchè ma mi suscita un'oscura e inspiegabile assonanza con Marlene Dietrich
La porta è il primo suo che leggo, che stò leggendo. E' il suo capolavoro, dicono. Gli uomini sono marginali in questo romanzo. Marginali come partecipazione, almeno. Sostanzialmente dedicato alla natura femminea, sui meccanismi relazionali ed affettivi. Tra donne, insomma. Singolare la protagonista, Emenenc. Una figura potente, quasi biblica per magnetismo e forza.
Rileggere, dopo tanto tempo, è sempre un'esperienza notevole, secondo me, almeno per cose che, in qualche modo, si sono incistate in noi. Rileggere, nella bulimia diffusa, pare quasi spreco, che non ci sia tempo altrimenti. Credo invece che il tornarci, come ogni ritorno, sviluppi prospettive, angolature prima non colte, ulteriori, inscoperte profondità. Tutto ciò riferito fondamentalmente a noi, singolarmente, come esperienza, ma anche come scelta ed esercizio su di sè e l'opera, del dove saprà ancora condurti, le altre vie della lettura esplorabili e, ogni volta ci porta ad altri pezzi di noi, spazi magari trascurati, silenti.
Chi me l'aveva consigliato, l'aveva letto tre volte consecutive, per dire. Poi qua, il libro c'entra relativamente, almeno nel post, se non nel sogno. E del come, la coincidenza di un sogno vada ad intrufolarsi nella lettura del libro.
Le tapparelle, in fondo sono una metafora, un sostare su una sensazione e assegnarne una divagazione fantasiosa, dove un'assonanza con le porte pur la si trova.
Ciao lontra
 
   
claudia.sogno
claudia.sogno il 04/05/12 alle 11:44 via WEB
Era d’esempio a tutti, era un modello: dalle tasche del suo grembiule inamidato saltavano fuori caramelline di zucchero avvolte nella carta frusciante e fazzoletti di tela che stormivano come colombi, era la regina della neve, la sicurezza, la prima ciliegia dell’estate, il tonfo delle castagne che cadevano dai rami d’autunno, la zucca alla brace d’inverno, la prima gemma nella siepe d’estate
ciao SuperLdB anche io!
 
     
Utente non iscritto alla Community di Libero
simurg la zucca il 04/05/12 alle 15:27 via WEB
Era temuta, la vecchia
L'amore per lei era sospetto
L'istinto del capobranco
la rabbia, la furia ad ogni diniego
Fiera e feroce, difendeva un segreto
Pareva vivere una costante minaccia
Un coltello tra i denti se ti avvicini
Il sogni di Emerenk: una porta bloccata
Non era certo farina da far ostie, la vecchia
Eppure quell'aura, il carisma
La stoffa del capo, una Golda Meir, una Tatcher
Ma poi "ogni definizione senza emozione
finisce per essere imprecisa" dice Magda
L'umanesimo nei piatti dell'amicizia,
nella paura dei lampi, dei tuoni
forse in quelle caramelle nella tasca del grembiule
Nessuno aveva mai visto sul suo viso lacrime o sorriso
Era compiaciuta se sapeva d'averti ferito
Controverso, almeno fin'ora, il suo modo d'esprimere amore
Ciò che in Emerenc si avverte cosi amplificato
credo io, appartenga, con misure diverse ad ognuno
Una legge fisica che dispone i torti e le forze
In fondo, mica si possono contestare i destini affibiati
Da qualche parte custodiva passioni che ripudiava
E poi, e pensare che col post non volevo parlare della Szabò
Piuttosto delle porte che ci chiudiamo da soli
o della malagrazia a cui cediamo tante volte nei giorni
Da quel che fin'ora ho capito è che con delle Emerenc
ne abbiamo a che fare tutti, tutti i giorni
e allora o sei succube e cedi al potere, al dominio che impone
Difficilmente se non è madre o figlio abbiamo abbastanza empatia
Ognuno di noi ha la sua Emerenc dentro
bah, non so se si riesce a capire
 
     
Utente non iscritto alla Community di Libero
Vïola il 04/05/12 alle 16:22 via WEB
br>Sogno una casa
senza muri
in cui farebbero il nido
i tuoi desideri e le mie speranze.
Davanti alla soglia
priva di porta
crescerebbero i fiori
di storie dimenticate.
Sul tetto,
al sole,
si riscalderebbero
i germogli del nostro sangue.
Ogni sera
fino a notte fonda
cercherei 
mentalmente
frutta matura, 
la prima aurora
di ardenti passioni.
Che grande giorno
sarebbe la vita!
(SAŠA VEGRI)
Razza dannata degli scuoiati senza pelle,il viola,che più della fede fanno valere il bene che mai si accontenta dell'abitudine
Un altro Gigante, Emerenc ,si apre con un sogno che porta non apre ,eppure l'amore ci sceglie,ci riconosce,ci Apre  come Viola i morti,una passione che non si può esprimere pacatamente,disciplinatamente e nessuno può definirne la forma al posto di un altro,è la passione a scuotere i rami degli alberi,non le macchine,ci insegna Nella fede di Emenerc nessuno restava a mani vuote,nemmeno i morti,non capiva come,ma era convinta che il mugnaio macinasse anche il loro Grano e riempisse i loro sacchi,solo che alla fine erano altri a caricarsi la farina in spalla e a portarla via per cucinare il pane
Piango per Noi-dice la sovrana dei cocci-Siamo tutti traditori.
No,non traditori.Solo che ci sono tante cose da fare
Amare è un impegno,un atto di forza,di volontà,un ORIENTamento a non perdersi
incondizionato,inVIOLAbile come un vecchio pozzo ha il coraggio di sostenere dell'acqua l'amore,del suo vuoto il dolore,compostamente,con grazia...fino alla cenere,secondo i patti,con dignità
così nel pozzo cali piano la secchia
con cautela la risali
come la tapparella la casa
 
     
Utente non iscritto alla Community di Libero
simurgh Sà SAŠA il 04/05/12 alle 17:26 via WEB
Cover Viola

Sogno una casa
che i sogni
non servano
e di muri farne di nuovi
per imprigionarci
desideri e speranze
e farli covare
in giorni
senza mattina
ne mezzogiorni
giorni fatti di giorni
e infilarsi
filamenti d’albume
dentro le tasche
germogli di grano
che crescan nel sangue
in quei giorni di giorni
pieni di notti
fino a dire
che grande il giorno
quando è pieno
di notti d’amore
allora ecco
a che servono i sogni?
se ci vivi dentro
 
     
lontradelbosc
lontradelbosc il 04/05/12 alle 21:44 via WEB
ciao Bella-Sogno!
 
mia.euridice
mia.euridice il 03/05/12 alle 20:48 via WEB
La porta è uno dei miei libri preferiti.
Magda Szabò, dopo la Kristof, è quanto di meglio sia arrivato dalla letteratura ungherese. Peccato che da noi sia stata tradotta così poco.
Se posso dare un altro suggerimento: "La ballata di Iza".
 
 
simurgh2
simurgh2 il 04/05/12 alle 11:01 via WEB
La porta, dovrò finirlo prima ma, penso, sarà tra i miei preferiti di questi anni. La vecchia Emerence potebbe essere si un personaggio della Kristof. Dalla Kristof ne fui fulminato dalla sua "Trilogia della città di K".
In entrambe la percezione della tetraggine oscura che si invischia nello spirito collettivo, l'oppressione che esilia anche in patria. Il doloroso sguardo sulla vita. All'alba arrivavano cantando bambini. Nell'aria si spandevano stormi come canti e si aprivano crateri, saltavano in aria, scodelle di latte e di miele, le loro piume venivano macchiate di sangue ma i loro canti, erano quelli dei profeti.
Magda Szabò è uscita per caso nel post. Come quasi sempre mi accade, scrivo delle sensazioni, un episodio insignificante, come tirar su le tapparelle, aprire o chiudere gli infissi. A ciò si è collegato un sogno avvenuto da un'altra parte. In quel momento stavo leggendo quel libri, la porta. Le analogie si incastravano. La bambina del sogno è tratta dal libro della szlabò per esigenze drammaturgiche. Che poi, a me piacciono questi raccontini che mi vengono stando al balcone della mia camera su via bachelet. La Slabò è qua per caso o per la teoria dei sei gradi.
Grazie per il suggerimento, euridice: La ballata di Iza
 
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