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Un blog creato da simurgh2 il 29/04/2010

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"In un mondo senza malinconia gli usignoli si metterebbero a ruttare"
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Non so se quello che faccio possa chiamarsi "scrivere". Piu che altro confeziono dei brani che possano servirmi a riempire dei buchi (H. Murakami)

 

 

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Kurt Vonnegut tornerà tra noi

Post n°101 pubblicato il 03 Gennaio 2011 da simurgh2
 

 

Lo stile di scrittura per voi più naturale tende a riecheggiare il linguaggio che sentivate da bambini. L’inglese era la terza lingua del romanziere Joseph Conrad, e quello che sembra arguto, nel suo uso dell’inglese, senza dubbio proveniva in buona parte dal polacco, la sua prima lingua. Lo scrittore cresciuto in Irlanda è davvero fortunato, poiché l’inglese che si parla là è molto divertente e musicale. Io sono cresciuto a Indianapolis, dove il linguaggio comune sembra una sega a nastro che taglia lo stagno galvanizzato, e si serve di un vocabolario tanto disadorno quanto una chiave inglese.
In alcune delle più remote e disabitate zone dei monti Appalachi, i bambini crescono ancora ascoltando canzoni e locuzioni dell’epoca elisabettiana. Proprio così, e molti americani crescono ascoltando una lingua diversa dall’inglese, o un dialetto inglese che la maggioranza degli americani non riesce a capire.
Tutte queste varietà di linguaggio sono belle, proprio come sono belle le diverse specie di farfalle. Dovreste fare tesoro per tutta la vita della lingua della vostra infanzia, qualunque essa sia stata. Se per caso non era l’inglese tradizionale, il risultato di solito è delizioso, come una bellissima ragazza con un occhio verde e l’altro azzurro.
Io stesso trovo che la mia scrittura è molto più convincente, e anche gli altri sembrano di questa opinione, quando do l’idea di essere in tutto e per tutto una persona che viene da Indianapolis, che è ciò che sono. Che alternative ho? Quella raccomandata con grande veemenza dagli insegnanti, ha senza dubbio assillato anche voi: scrivere come un inglese colto di cento e più anni fa.

[Kurt Vonnegut, Scrivere con stile, in Benvenuta nella gabbia delle scimmie, cit., p. 147]

 

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Commenti al Post:
ladymiss00
ladymiss00 il 03/01/11 alle 18:55 via WEB
Gasp! Maurì mi ero spaventata, vabbé che scrivi bene, ma ho letto dell'autore solo alla fine :=0 Vero che ci sono tanti modi di parlare l'americano sopratutto, chi c'è dentro non se ne accorge ma anche la cadenza, oltre che lo slang o il dialetto cambiano eccome a seconda delle latitudini, a me me ne ha fatto rendere conto Theila, una persiana americanizzata, come tanti ebrei, conosciuta a Roma quando avevo 20 anni lei era in Italia con il programma Erasmus, amava l'Italia e la sua varietà. Insegnava inglese, che è riconosciuta a stento come madrelingua qui negli istituti Oxford vogliono inglesi veri,con enormi incazzature delle americane che si sentono degradate come "terrone"
 
 
simurgh2
simurgh2 il 04/01/11 alle 16:16 via WEB
Quello che mi colpiva lady era "linguaggio che sentivate da bambini" che dice Vonnegut.Quel linguaggio che è appartenuto nei secoli e secoli alle nostre stirpi e che cosi lentamente cambiava.
"In alcune delle più remote e disabitate zone dei monti Appalachi, i bambini crescono ancora ascoltando canzoni e locuzioni dell’epoca elisabettiana"
Crescono ascoltando un'altra lingua adesso da allora, poco male si dirà e lo dico anch'io. Non è questo. Non tento neanche operazioni di recupero e di nostalgia di stampo leghista o retrò.
" Dovreste fare tesoro per tutta la vita della lingua della vostra infanzia, qualunque essa sia stata" dice
Quella lingua, la sua forma dialettale, quel suono che produceva, l'eco ed i rimandi emotivi ecco, ci sono affezzionato, le radici, l'heimat, l'identità. Tutto questo patrimonio, geografico e delle genti ormai pare patrimonio ideologico della lega ma non è questo che mi interessa dire.
Vonnegut dice".. do l’idea di essere in tutto e per tutto una persona che viene da Indianapolis, che è ciò che sono. " Ciò che sono è luogo, spazio, terra dove son cresciuto, un paesaggio. Nomino spesso il fiume su quel che scrivo. Il mio dove son cresciuto. E' un richiamo atavico ed ancestrale quasi. "Che alternative ho?" Vonnegut si chiede. Un'omologazione che pare inevitabile e forse è anche buona cosa, omologazione in senso di globalizzazione e, ed è quel che penso di "inglobalizzazione" però. Bah, mi colpiva perchè, ultimamente sono attratto da quegli scrittori che hanno una chiara identità territoriale e che cercano espressioni ed idiomi che ci stiamo dimenticando, di un parlar semplice in fondo. I tipi che mi citi, che conosci sono una rappresentazione di un fenomeno e delle resistenze che puo produrre un conservatorismo retrivo. Io non so neanche dire bene quel che intendo. Leggendo quel pezzo di Vonnegut mi è venuta su una roba che a a che fare con la malinconia piu che con la nostalgia. Ho preso quel pezzo la e lo messo qua. Nella foto piccola, che mi vien da ridere, ho le ali come Vonnegut e se clicchi si ingrandisce. Ciao
 
   
ladymiss00
ladymiss00 il 04/01/11 alle 19:21 via WEB
Vista! Ma che bella! Ridente, ma dove l'hai fatta? a me quello che hai scritto ha fatto venire in mente Bodini, un poeta della mia terra
Qui non vorrei vivere dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.
Pigro
come una mezzaluna nel sole di maggio,
la tazza di caffè, le parole perdute,
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d'un lento carro,
siepe di fichi d'India, terra amara
dove cresce il tabacco.
Ma tu, mortale e torbida, così mia,
così sola,
dici che non è vero, che non è tutto.
Triste invidia di vivere,
in tutta questa pianura
non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.
 
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