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"In un mondo senza malinconia gli usignoli si metterebbero a ruttare"
(E. Cioran)
Non so se quello che faccio possa chiamarsi "scrivere". Piu che altro confeziono dei brani che possano servirmi a riempire dei buchi (H. Murakami)
Messaggi di Gennaio 2012
Un dettaglio viene a sconvolgere tutta la mia lettura; è un mutamento vivo del mio interesse, una folgorazione.
Il sasso
Quà, il cosidetto poeta, intende parlare di un sasso che ci aveva messo un milione di anni per arrivare sul fondo di un laghetto, dalla montagna da cui si era staccato per farsi la sua vita, e dal laghetto risalire fino alla riva. Riflette sul potere dei giganti e dei draghi sulle cose inermi
Il sasso Millemilemila e poi ancora millemila riempire di ghiaino un intero piazzale, un cortile, una piazza Finchè un giorno, non si sà come ma insomma per finire la storia i tre sassi, il sasso, due sasse si trovano sulla riva scoscesa del laghetto E arrivi tu, con le tue idee per la testa, di lanciare questi sassi per chissà quale rito o espressione poetica e li prendi su Un sasso, due sasse e li lanci nel laghetto, per sentire il pluf! e sapere che vanno sul fondo, per amore del gesto, del lancio, del volo Quel sasso bello, tondetto, ammirato che ci aveva messo milioni di anni per arrivare dalla montagna al fondo di quel laghetto ecco Ecco, per un chissà che cosa in una domenica di noia vien preso su e lanciato nell'acqua. Per infrangerne lo specchio. Potevi prendere un rasoio. Quanti ne ho lanciato io al di la del fiume solo per diventare un campione
Perché ci fa paura quando dicono ( Aldo Nove)
" E se gridano gli alberi, se i monti (Aldo Nove)
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Fin da bambino, per anni ho creduto che vivesse un altro Orhan, del tutto simile a me, un mio gemello, in una strada di Istambul, in un'altra casa simile alla nostra. Non mi ricordo dove e come ebbi per la prima volta questo pensiero. Molto probabilmente, il pensiero si era inciso dentro di me alla fine di un lungo processo, tessuto di incomprensioni, coincidenze, giochi e paure[. .] A cinque anni ero stato mandato in un'altra casa. I miei genitori, dopo la separazione, si erano incontrati a Parigi e avevano deciso di lasciare me e mio fratello a Istambul. Io ero andato da una zia materna, mentre mio fratello era dalla nonna paterna e il resto della famiglia. Su una parete di questa casa, dove ero sempre stato accolto con affetto e sorrisi, c'era la fotografia di un bambino piccolo, in una cornicie bianca. Ogni tanto lo zio e la zia, indicando la foto dicevano sorridendo "Guarda, quel bambino sei tu" Quel bambino grazioso, dagli occhi grandi, si, mi assomigliava un pò. Allo stesso tempo però, sapevo che non ero esattamente io. (In realtà la fotografia l'avevano comprata in Europa) Poteva il bambino essere l'altro Ohran cui pensavo sempre, che viveva in quell'alta casa? Anch'io adesso vivevo in un'altra casa. Forse ci ero andato per poter incontrare il mio simile che viveva da un'altra parte di Istambul, ma io non ero affatto contento di questo incontro. Volevo tornare a casa mia, a Palazzo Pamuck. Quando mi dicevano che era mia quella fotografia sul muro, nella mia testa tutto si confondeva: io, la mia fotografia, la fotografia che somigliava a me, il mio simile, le immagini di un'altra abitazione si mescolavano e volevo tornare a casa.... (Orhan Pamuck - Instambul - Inizia cosi) Io non ho mai creduto che vivesse un altro me da qualche parte però quella dimensione di spaesamento l'ho vissuta eccome. Tutt'ora, la amo, la cerco, la esploro piu che altro. |
Post n°387 pubblicato il 26 Gennaio 2012 da simurgh2
Richard Braudigan a pesca di branzini R. Braudigan con Greg keeler
Questa è un'invenzione ispirata dai racconti di Braudigan -Il sole ha le sue lune, gli disse con sguardo assorto guardando il cielo tra i rami del sottobosco. Ha le sue lune, pensò l’altro, come le paludi hanno le loro brume. Boh. Era un giorno cosi e vide una baracca la in mezzo. Si fermarono a guardarla. In un angolo del tetto una lamiera si era staccata. Il vento caldo la faceva sbattere ad ogni folata, tu tun. Il sole ha le sue lune, ripete l’altro mentre con un retino catturava delle mosche. Gli sarebbero servite come esche per la pesca al branzino. Quell’altro ancora pensò che non avevano portato le canne, cioè le canne si ma non quelle da pesca. Passarono accanto alla baracca con la lamiera nell’angolo del tetto che sbatteva. Dietro, a poca distanza, c’era una latrina malmessa e scrostata. La porta era spalancata. Dentro non c’era niente. Quello che aveva detto che il sole ha le sue lune, disse fermandosi che la latrina, a guardarla sembrava dirgli “Hei, il vecchio che mi ha tirato su a tavole e chiodi, l’ha fatta qui dentro 9745 volte e ora è morto e non voglio che nessuono mi violi. Era un brav’uomo. Mi ha trattato con cura e affetto. Quindi, se vi viene in mente, vedete di farvela passare. Se vi occorre, andate in mezzo i cespugli come i cervi.”
Qua ci sono degli haiku, anche qualcuno sbagliato, ma non importa. Sono affari loro. Uno scambio tra due. Questo racconto si ispira a "Pesca alla trota in America" di Richard Brautigan che con i ragazzi del dharma ci aveva a che fare, visto che era beat generation. Questi haiku sono alcuni di quelli che non potrebbe scrivere chiunque
Haiku
Un cielo scuro Radi salici Palpebre chiuse Branzino guizzò Mi manchi oltremodo Tempo immoto Biscotti inzuppano Raggiungimi ai pozzi Sveglia dal sonno Dentro una gabbia Una grossa mano la pelle trema pozzanghere scure siepi altezzose sgroppa la mente
" |
Post n°386 pubblicato il 25 Gennaio 2012 da simurgh2
Li tenevo chiusi ancora, trattenendo il bulbo come un pesce in fondo ad una pozza che si gode il sole, immobili dietro il loro sipario cercando di rievocare le dita che li avevano chiusi. Stamattina non volevo aprirli, come se tutto potesse restare dietro le palpebre, come un vento leggero tra l'erba tenerli. Immaginarle le dita, il tocco che posa, invernate d'estate che par primavera e poi ancora inverno d'estate, e la pelle del dito, le impronte disegnano un labirinto dove inoltrarsi e non puoi aprirli gli occhi, devi solo sentire, ascoltarle le dita, il loro braille che suona. Le premevi appena, con inconsistenza, come una cosa frugale da non badarci, però a me sembrava non fosse altrimenti. Tienimmi la dietro, mi hai detto con il tuo braille fatto di labbra. Li tenevo chiusi e tu eri la, ancora, con le dita sulle palpebre, sentivo. Non mi fidavo però. Mi guardavi, sentivo. Eri in piedi. Perchè? Sorridevi. Ho fatto finta di niente. Si sentiva un elicottero passare li fuori nel cielo. Poi ti sei messa a ridere. Che c'è? Eri bella, splendente. Io allora ho stretto le labbra. Facevo le rughe e tu prendevi un pò paura però. Se non ti guardo, tu sai che perdi man mano energia. Lo sentivi. Guardami dai, sembravi dire. Io ogni tanto, scoprivo una piccola fessura, un appena invisibile. Un vederti da dietro che non passava neppure in quella crepa negli occhi, le ciglia impastate. Quando è cosi dovremmo scappare, mi hai detto. Scappare uno dall'altro. Se lo sapevo prima, mi hai detto, se lo sapevo, scappare per non incontrarsi, neanche la prima volta, niente, neanche incontrarsi. Ma ho paura ormai, dicevi, ho paura che sia tardi. Non c'è niente da fare, ormai. Ormai è tardi! Vedi poi? |
Post n°385 pubblicato il 23 Gennaio 2012 da simurgh2
(Illustrazione di Rossana Bossu) "Ora passa una grande nuvola bianca, come in tutti questi giorni, in tutti questi innumerevoli minuti. Quello che rimane da dire è sempre una nuvola, due nuvole, o lunghe ore di cielo perfettamente limpido, rettangolo purissimo appeso con gli spilli alla parete della mia camera. Fu quello che vidi riaprendo gli occhi: il cielo limpido e quindi una nuvola che entrava da sinistra, portava a spasso lentamente la sua grazia e si perdeva verso destra. E poi un'altra, e a volte tutto diventa grigio, tutto è una nuvola enorme, e improvvisamente crepitano gli spruzzi della pioggia, per un lungo momento si vede piovere sull'immagine, come un pianto a rovescio, e a poco a poco il quadro si rischiara, forse vien fuori il sole, e di nuovo entrano le nuvole, a due, a tre per volta. E colombi, a volte, e anche qualche passerotto" Siccome con Cortazar non sai mai dove vai con i pensieri Ecco, io vorrei prendere Quella che doveva venire mi scrive Il latte ha la panna alta un dito
C'è un palombaro la dentro al laghetto |
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Chi viaggia odia l'estate. L'estate appartiene al turista. Il viaggiatore viaggia da solo e non lo fa per tornare contento. Lui viaggia perchè è di mestiere. Ha scelto il mestiere di vento. (Mercanti di Liquore)
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