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Non so se quello che faccio possa chiamarsi "scrivere". Piu che altro confeziono dei brani che possano servirmi a riempire dei buchi (H. Murakami)
Messaggi del 22/09/2011
Gli occhi delle persone quando guardano il fuoco dicono la verità Non ci avevo mai pensato fosse una forma d'arte accendere un fuoco. Un'essenza zen, questa, molto radicata nella cultura giapponese, essenzialmente credo, alla spiritualità e ai rituali estetici giappo-orientali. "Paesaggio con ferro da stiro", si chiama il racconto. Non so perchè, ho riletto e non ho trovato nessun ferro da stiro. Ho pensato che sia una metafora che indica il come levare le grinze, gli stropicciamenti della vita; diventare un costruttore di fuochi. Il costruttore di fuochi è uno che ha mollato tutto, che è partito lasciando moglie e figli. Un pittore. Tutti i racconti parlano di un incontro che puo cambiare il corso della vita. Forse è solo questo,tutti cerchiamo un incontro, oppure accade senza cercarlo ma è sempre determinante per qualcosa di noi. Miniature di esistenze. Personaggi introversi a cui manca qualcosa di importante, come tutti, che non si sa neanche dire e neanche Murakami lo fa, ne fa degli acquerelli, ti da delle sensazioni in racconti in cui non c'è quasi mai una fine, non come te l'aspetti, non finiscono ecco. - Tu hai mai pensato in che modo morirai? - Può essere il modo di morire ad indicare come vivere. - Sai Myiake.. -...che ne diresti di morire assieme a me.adesso? - Quando il fuoco sarà spento e tutto sarà buio, moriremo insieme. Forse con quest'uomo non potrei vivere, pensò Junko, perchè non riuscirei mai ad entrere nel suo cuore. Però morire con lui si, questo forse sarebbe possibile. - Posso dormire un pò? chiese Junko "La forma del fuoco è libera e siccome è libera chi la guarda puo vederci qualunque cosa. Se guardandola provi una sensazione di pace, è perchè la sensazione di pace che uno ha dentro ci si riflette. Capisci cosa intendo?" Si, capisco murakami, piu che capire lo sento, lo sento e non lo so spiegare questo sentire cosa vuoi dire. In questi casi basta il silenzio. Guardando il fuoco Junko percepisce qualcosa, qualcosa di profondo, un'emozione condensata perchè, forse troppo viva, con una consistenza troppo concreta per poterla chiamare idea. La senti che ti attraversa il corpo di dentro, lentamente e che svanisce poi da qualche parte lasciandoti una sensazione di struggente nostalgia. Sentire delle volte, in modo stranamente preciso, delle cose in cui nella vita di tutti i giorni non ci prestiamo caso. A me accade, accade a tutti, in genere lasciamo perdere, è una sensazione che poi va a svanire. Ecco, a me quel rantolo percettivo mi si imprime profondamente, in genere. Non ci sono mai fuochi uguali Paesaggio con ferro da stiro Una piastra calda che disgrinza col suo fiato |
Post n°302 pubblicato il 22 Settembre 2011 da simurgh2
L'aria da martire c'è l'ho per recita e per turbe interiori, per naturale propensione, inclino a declamarlo il martirio. Oggi il mio santo, l'ononastico Maurizio, capo della legione Tebea, detta Fulminante, ai confini orientali dell'Impero Romano, però ho letto che l'hanno mandata anche sulle Alpi, per via che venivano giu questi Galli a far pandemoni. Il quadro è di Goya Comandava tutto questo Massimiano I soldati di questo che si chiamava come me e che ne avrà avuti seimila, perchè Maurizio era un generale, mica come me che son solo caporale e che questi "eseguirono brillantemente la loro missione, tuttavia, quando Massimiano ordinò di perseguitare (ed uccidere) alcune popolazioni locali del convertite al cristianesimo, molti tra i soldati tebani si rifiutarono. Massimiano ordinò una severa punizione per l'unità e, non bastando la sola flagellazione dei soldati ribelli, si decise di applicare la decimazione, una punizione militare che consiste nell'uccisione di un decimo dei soldati, mediante decapitazione." E cosi via fino a farlo martire e santo. Mia mamma da giovane era a servizio in una famiglia di rampolli in città. Lei faceva anche quella che dava un'occhio ai bambini. Questi due bambini si chiamavano Maurizio uno e Lorenzo l'altro. Piu di ogni altra cosa per lei è stato il suono e quel che in lei sortiva quel nome. Ho questo nome per il modo aggraziato con cui la madre li chiamava, per come pronunciava quel nome insomma. Mia madre deve essere stata colpita dallo charme e dalle proiezioni immaginative, dalla sindrome da imitazione al modello sognato. Chissà come si formavano i miti nelle teste delle fanciulle di allora che mica sapevano di riviste patinate e tivù. Al massimo c'era la maestrina del paese, la contessina robe cosi. Sogni romantici. Devo il mio nome alla zeta. Era questa che piu di ogni cosa, secondo come la vedeva mia madre, la zeta a colpirla. Secondo lei quella lettera era segno e suono di nobiltà. Io da lei l'ho capita cosi. E mio fratello come si chiama? Lorenzo, ecco. Altro fatto è che il mio cognome ha dentro un'altra zeta. Barzi. E a pronunciarla qua, dove son cresciuto ad uno non è che la zeta gli esca di bocca tanto bene, che gli venga un bel suono, no. Un pò come agli emiliani o i romagnoli non so, però li ho sentiti che fatica fanno anche loro. A me per esempio che quando andavo a scuola mi facevano alzare in piedi per dire il mio nome, facevo delle smorfie con la bocca per dirlo che venisse fuori un po bene. Queste cose bisogna saperle, del perchè e del percome a uno gli mettono un nome.
Guardando sui video e citando maurizio mi esce questo che qua al lavoro non si apre neanche, sicchè non lo sento. E' stato recitato in campo S Maurizio a Venezia, solo per quello. Però conosco il poeta, Giorgio Baffo, un grande poeta dialettale.
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