Post n°349 pubblicato il 12 Novembre 2011 da simurgh2
Che ci devo fare se la vita non ti da quel che ti deve dare?
Ho messo i soldi dentro alla macchinetta qua al lavoro. Lavoro anche il sabato delle volte. Son tempi duri quelli che vengono avanti no? E quella canchera non mi butta giu i biscotti e se li tiene la incastrati? A me?
E allora la si scuote per bene questa infida e micragnosa vita. La si sacchetta, la si percuote. La si prende per le spalle e la guardi ben negli occhi. Una testata gli tiri se fa finta di niente. Spurgare deve, perquoterla per bene, come un albero da frutto, fargli cadere quel che la si tiene come fosse roba sua, la canchera.
guadagnare il centro della pedana, fargli sentire il tempo con i piedi, anche delle pedate ci stan bene. Alzare a folate il canto del guerriero. Dietro a me suonava uno col contrabbasso. Li sentivo la intorno quelli della ghenga. Ci fu un applauso quando entrarono i Witnesses, i testimoni. Cosi si chiamano ma mancava il batterista. Prima che mi mettessi la e mi prendesse l'epica del west e i pistoleri loro dissero Eccolo e allora per forza, mi sentivo investito della parte e gliel'ho fatta vedere io a quella macchinetta
Loro caddero incantati dalla visione, mugulavano e presi dalla fascinazione mugolavano con gemiti primitivi, poi cominciarono con Everybody needs somebody; quella dei blues brothers. Poi la band attaccò a tradimento, anche se non c'era il batterista, con una marcetta italiana da matrimoni " Angelina...just your cosce are so nice Angelinaaa" Tutti facevamo Uh Uh Woh Woh e ci abbracciavamo tutti ed era swing ormai. Insomma è amdata cosi. Non sto a dirvi tutto che adesso sono al lavoro e devo anche andare a casa. Della roba l'ho fatta anche cadere giu ma ormai non mi interessava piu niente. Era festa!
Pierluigi Capello, un ragazzo poeta che mi piace. Un cow boy in carrozzella. Uno che faceva i cento metri in undici e due da giovincello. Poi ha cominciato a volare in quella valle stretta con le ali di un'aquila della poesia
Regalami dei libri, se proprio, piuttosto, se ti viene Non importa se finiscono bene. Tanto..che cambia? Un giorno che non c'erano romanzi, ho preso questo Aveva vinto. Lui era la ed era contento, su una sedia Quella sedia era a rotelle. Nel suo sguardo dolcezza Dietro il suo sguardo nascosta, la rabbia di montagna Che tutto se magna, anche i sassi e l'erba, se cresce Si chiama Pierluigi Capello. Io gia sapevo del nome Mandate a dire all'Imperatore il libro che ho preso si chiama cosi: Mandate a dire all'Imperatore. Bello! Ma mica l'ho preso adesso, no. L'ho preso quella volta. Ne ho scritto anche un post, qua dentro, da qualche parte. Io ho scritto dei versi di cui subito mi son pentito, delle volte. Scrivi cose che ne uccidono altre. Non lo sai mica subito. Potevo scrivere "Corre voce che si puo essere felici" Se tu ad esempio cominci cosi e segui quelle parole magari sei predisposto, magari finisce bene. Magari Come fa però una storia a finire bene? Come fa? Le storie, quando finiscono,finiscono male. O no? Se finisce poi si sta male, mica bene. A chi lo diciamo? Lo mando a dire io all'Imperatore? E dopo che si fa? Le storie finiscono. Come i romanzi, all'ultima pagina. Una storia finita bene è meglio che non finisca, vero? Una storia che va bene non finisce, non dovrebbe. Le storie non dovrebbero finire mai. Le poesie si. Come certe poesie che scrivo, delle volte.Si capisce? che non cominciano e non finiscono. Dove vanno allora? Dove?
La prima volta che l'ho visto è stato a Udine. C'era una specie di reading,mi pare. Siccome vorrei scrivere delle poesie western ecco, lui la faccia ce l'ha. Non so se uno ha presente Chiusaforte? Chi vuoi che ci vada? Un posto perso al confine. Non c'è niente. La crescono dei duri. Adesso vive a Tricesimo, da quelle bande, vicino Udine. In una specie di baracca, anzi un prefabricato di quelli avanzati dal terremoto, che deve avergli dato il comune. Dono degli austriaci però. Lui è in sedia a rotelle. Ha peso le gambe in un incidente. Da piccolo, a Chiusaforte, non c'era niente. A lui piacevano i libri, le avventure. C'era una bottega che ne teneva, pochi, economici. Lui ha cominciato cosi, con Hemingway. Era matto per Hem. Tutto dev'essere cominciato cosi. Magari è stato proprio Hem a fargli scoprire il suo talento. Le parole sono cieche ma anche cercando troverete. Capello dice che a lui interessa il trattino, quel trattino tra le due date: di nascita e di morte. Quel trattino è la linea di tensione tra due parole, parole diverse, che di per se significano altro dalla loro congiunzione. Sommandosi creano una metafora. Non è importante comunque la metafora ma la tensione che questa sviluppa. Quella tensione è vitale. Le parole sanno farlo. Io no, per esempio. Siamo qua per imparare, diceva sempre mio padre. Se tu provi una parola, provala, fin che trovi quella giusta; quella parola serve per percepire qualcosa che è fuori di noi e che vogliamo sentire dentro, come suona. Allora devi nominarla, la parola fa esistere le cose, ti fa valicare il confine che ci separa dal di fuori e che rimarrebbe inespresso. Ad un certo punto Capello parla del calabrone e dice che rappresenta un fastidio, un disturbo. Entra e sovverte l'ordine immobile delle cose, uno stato di equilibrio. Capello congiunge parole poetiche e costruisce la metafora. Qua, sul calabrone ne puoi trovare diverse. Ad un certo punto apre la finestra e il calabrone esce nel sole, svolazza lasciando la sua scia di zzzzzzz e tutto torna al suo equilibrio.
La, in quei posti suoi, la gente parla poco, è gente che tiene duro, ma che anche parlano moltissimo tra loro, i vecchi con quelli che hanno cresciuto. E' per loro che hanno tenuto duro ed è con loro che stanno assieme, i vecchi, i ragazzi, i bambini. Un mondo fatto di piccoli gesti, tutti i giorni " il portafoglio nero, nella tasca di dietro o impugnare la motosega" Questo, suo padre. E' commuovente come traspare nelle sue parole il legame: " E qui mentre (...) / il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato/ mio padre torna sempre con nella sua tela cerata verde/ bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere/ come fosse eternamente schiuso/ (..) io sono lo stare di quell'uomo bagnato dalla pioggia/ che portava in casa l'odore di traversine e ghisa". Se è andato a stare dove sta, in quel prefabbricato a Tricesimo, è stato per stare vicino al padre Monaldo, che era in un ospizio la davanti. Un mondo fermo, dove non sà se c'è ancora quel filo che lega il successo al succederà, e lui sta la a "dividere il tempo grano a grano" , e cosi dedica il suo tempo a star fermo, che è un modo per star piu alti e piu lontani, allora dice "Chiusaforte è tutti i ritorni che mi allontanano". "Siamo ancora cosa siamo stati. In questo modo di stare, precipitati". Capello a starci un po vicino, ti da l'idea di uno sereno, quasi mistico, tranquillo eppure è uno che spreme dalla sofferenza esistenziale la sua poesia, un dolore vero, mica come faccio io, scarti del quotidiano, effemeridi, piccoli conti. Ha uno stile poi Capello, secondo me, che lo senti quel modo suo di metterlo in poesia alta il tracimare dentro del malcontento. Il suo dolore è di razza. E' dato da quel cielo di confine, da quella valle scura, dal passero che in mezzo al gelo non vuol saperne di smettere di cantare, da quelle nuvole gonfie come quelle di Van Gogh che fanno impressione, dalle mani piene di tagli e calle della gente. Non è un dolore da fighetti. E' il dolore della sua terra, e questo ha un sigillo tutto suo, la solitudine della carnia, dignitosa, schiva, un brontolio sommesso del confine. Diverso da quello del fiume, della palude, della sicilia o della toscana, che ne so. E' una forza la sua poderosa, che costruisce attraverso indizi, lo sguardo d'aquila.
«Così come oggi tanti anni fa
mandate a dire all’imperatore
che tutti i pozzi si sono seccati
e brilla il sasso lasciato dall’acqua
orientate le vostre prore dentro l’arsura
perché qui c’è da camminare nel buio della parola».
"Mandate a dire all'Imperatore" è il sovvertimento di un racconto di Kafka. "E' la voce di chi sta fuori dallo spazio delle leggi. E' la voce di chi non deflette lo sguardo di fronte al potere"
"Chi non sopporta il vino è costretto a sopportare la vita" (P Capello)
Altri due di questo west di praterie e cieli da cavalcare Corona e Maieron
-Rilke - Tutte le poesie - Einaudi -J. Franzen- Zona disagio- -Jennifer Egan- Il tempo è un bastardo -Tabucchi- Racconti con figure -David F. Wallace- Tutto e di piu -Ingo Shulze-Zeus e altre storie semplici
Chi viaggia odia l'estate. L'estate appartiene al turista. Il viaggiatore viaggia da solo e non lo fa per tornare contento. Lui viaggia perchè è di mestiere. Ha scelto il mestiere di vento. (Mercanti di Liquore)
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