Creato da manonsolospine il 15/07/2008

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CANFORA E IL BERLUSCONIBONAPARTE

Post n°392 pubblicato il 08 Febbraio 2009 da manonsolospine


Il degrado antropologico di questa Italia è evidente. Ma discende in primo luogo - oltre che dalla crisi economica mondiale - dallo sfaldamento di quello che un tempo era il blocco sociale della sinistra. È in questa breccia che si fa strada la decadenza del paese. In una con l’offensiva di destra. Che viceversa si è dotata di un blocco forte di interessi e punta a una Nuova Repubblica, plebiscitaria e ostile alla divisione dei poteri». Analisi gramsciana sui mali del paese quella di Luciano Canfora, 67 anni, ordinario di filologia classica a Bari e studioso del mondo antico, nonché del pensiero politico. Una diagnosi allarmata, soprattutto sulla «sfida bonapartista» di Berlusconi, e poi sul «ruolo retrivo di questo papato» di cui disinvoltamente il «cavaliere laico sposa le istanze». Ma è tempo di reagire dice Canfora. Con le idee, la mobilitazione. E anche con qualcosa di irrinunciabile: l’identità. Senza di cui non ci sono né programmi né controrepliche efficaci.

Professor Canfora, Italia lacerata, pervasa da violenze di branco e in recessione. E per di più con un conflitto istituzionale acutissimo, che vede Berlusconi candidarsi platealmente a decisore populista. Che impressione le fa tutto questo?
«Una delle cose più gravi intanto è l’avvenuto spostamento a destra di gran parte del lavoro dipendente, al nord e sul versante leghista. La Lega è ormai più in grande, come Le Pen a Marsiglia. La sinistra invece è stata incapace di tenere legati a sé i ceti che formarono il suo insediamento di sempre. Di qui discendono alcune conseguenze. Come l’intolleranza verso i nuovi arrivati, che scatta nei ceti popolari “leghistizzati”, privi a questo punto di quei valori che la sinistra, con il suo radicamento e la sua pedagogia, riusciva a trasfondervi. Dunque guerra tra poveri...».

La liquefazione del blocco sociale di sinistra comporta a suo avviso un degrado antropologico?
«Degrado a catena. Anche il fascismo sorse dallo scontento e riuscì a dimostrare di essere il vero interprete degli interessi popolari e nazionali, ingannevolmente ovviamente. Un piccolo partito come la Lega, mutatis mutandis, ricorda molto certi esordi del fascismo. E d’altra parte un grande partito liberalconservatore come Forza Italia - che inizialmente ammiccava soltanto alla Lega - oggi sembra volerne incarnare interamente il ruolo, dislocandosi al contempo su un terreno nazionale e di massa più vasto, e inglobando anche An. Si badi, sono solo dei paralleli che servono a indicare delle dinamiche, non a stabilire identità. E le dinamiche sono queste, a fronte di uno sfilacciamento della sinistra».

Anche sulle questioni di coscienza Berlusconi si propone ormai come capo carismatico e pontefice secolare...
«Una volta nel 2001 dissi a Radio 2 che Berlusconi era un “bolscevico della borghesia”. La giornalista che mi intervistava ebbe delle grandi difficoltà, e anch’io non potei parlare in radio per molto tempo. Credo che oggi si abbia la riconferma di quel che dicevo allora. Il premier si è avventato sul caso Englaro cavalcando il pretesto giusto. Per aggredire Napolitano custode della Costituzione e della divisione dei poteri, a cui vuole infliggere un colpo mortale. E il tutto dopo aver simulato a lungo laicità e agnosticismo».

Ma può resistere il patto civico costituzionale sotto i colpi della sfida carismatica, oppure andrà in frantumi?
«Il rischio di cedimento c’è eccome, specie nel quadro delle tante emergenze italiche, che possono indurre ad affidarsi al decisore. Il punto è che non si riesce a intravedere una ripartenza di “sinistra”, nel senso più ampio del termine. Una ripresa egemonica in senso effettivo, ovvero la capacità di persuadere e farsi credere. Ma su tutti i temi all’ordine del giorno. Una cosa difficile, poiché l’attuale mélange “liberal-fascistico” che abbiamo di fronte è proteso a mostrarsi di destra e di sinistra, contemporaneamente. E come da manuale. Oggi come ieri, e fatte le debite differenza, lo straniero in quanto portatore di globalizzazione impoverente, diventa il nemico. L’agente consapevole o inconsapevole del capitalismo cosmopolita (ieri erano gli ebrei). E all’interno di quel “socialismo degli idioti” che August Bebel in Germania attribuiva ai reazionari populisti del suo tempo. Del resto la guerra tra poveri in Inghilterra - inglesi contro italiani - la dice lunga su questo fenomeno: guerra dentro una stessa classe».

Italia come anello debole della globalizzazione e banco di prova per una nuova democrazia autoritaria in Europa?
«Questo mi pare troppo presto per dirlo, perché il nostro paese per fortuna ha ancora molti anticorpi. La Costituzione repubblicana innanzitutto, con la sua partizione e ramificazione di poteri. E poi l’eredità popolare del movimento operaio e del Pci, o almeno quel che ne resta. Difficile per ora spazzarle via avventandosi sul caso Englaro. Ma il rischio c’è eccome».

È in grado la sinistra, o ciò che ne rimane, di fare anima e legame sociale sul territorio, di «fare comunità» contro questo rischio?
«Non ha ancora dimostrato di esserne capace. Certo il modello “maggioritario” di partito trasversale e leggero adottato, è tutto in perdita a riguardo. Invece di cercare un radicamento capillare sul territorio, per raggiungere la vita e l’esistenza degli individui, si preferisce una maniera aerea e svincolata dalla realtà. Al più in questo modo si può apparire brillanti e persuasivi in Tv. Ma solo occasionalmente. È solo una scorciatoia...».

Il «lavoro» può essere ancora il nucleo vitale identitario di una sinistra aggregante come quella a cui lei allude?
«Sì, ma il lavoro in tutte le sue innumerevoli ramificazioni. Produttive e riproduttive. Colpisce constatare come i quadri alti del lavoro, non si rendano conto di subire anch’essi ormai lo sfruttamento. Sfruttamento della mente, subalternità psicologica. Più in generale comunque la dimensione lavorativa riguarda il 90% del paese. E si tratta appunto di recuperare la fiducia di tutti i ceti produttivi, non solo di quelli che pensano di star peggio».

Non bastano dunque la cittadinanza e i nuovi diritti laici a definire la sinistra, sia pur intesa in senso ampio?
«No, è uno schema debole e formalistico. La cittadinanza è il contenitore di qualcosa, non il contenuto. Mentre il contenuto restano i diritti sociali e sostanziali. Che si traducono in cittadinanza, ma ne sono il prerequisito. Il rischio invece, con l’idea della astratta cittadinanza, è quello di difendere alcuni e non altri. Alcuni e non tutti. Il risultato è la divisione dei cittadini».



08 febbraio 2009

 
 
 
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