Post n°5 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da stefinoinpoesia
 

 Un buon libro, come un'opera d'arte...
 
"Un libro deve essere come una picozza che rompe il mare di ghiaccio che è dentro di noi." (Franz Kafka)

Un libro non può essere solo una storia che scorre sotto i nostri occhi e passa come l'acqua di un placido ruscelletto. Deve essere potente come un fiume in piena, stordire come un pugno in pieno volto, ma tutto questo non basta ancora. Un buon libro deve essere sottile e delicato, deve sapersi insinuare dentro di noi e raggiungere indisturbato gli angoli più remoti e inesplorati della nostra coscienza. Deve saperci portare là dove neppure oseremmo spingerci. Deve colpirci nel punto più debole e trasformarci in persone nuove e migliori.
Un libro che non è in grado di fare questo, di metterci in discussione per stimolare, almeno in qualche aspetto, un piccolo cambiamento interiore, che non sa aprirci lo scrigno magico delle emozioni, non è che un insieme vuoto di parole senza senso.
Può piacere o meno lo stile, interessare o no la storia, ma neppure l'individuo più freddo e distaccato può resistere alla tempesta che sa scatenare la sua lettura.


 
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Post n°4 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da stefinoinpoesia
 

I due volti del successo

Leggiamo da qualche tempo sui giornali e su internet oppure ascoltiamo alla televisione i risvolti insidiosi della vicenda della povera Eluana, in coma vegetativo da ormai sedici anni a causa di un incidente stradale. Facciamo tutto questo e non possiamo non riflettere sul senso della vita e su quello della morte, sul significato di questa vicenda e sulla liceità o meno dell'interruzione del supporto vitale a questa giovane donna. Ci chiediamo se è vita anche questa, se è giusto prolungare così crudelmente le sue sofferenze o se al contrario, invece, le stiamo regalando attimi di vita.
Riguardo alla domanda "E' vita questa?" non posso rispondere altro che sì. Il cuore batte, il sangue circola, l'organismo è in grado di metabolizzare le sostanze che gli vengono infuse, invecchia... Quindi non potrei rispondere che sì. Se rispondessi di no negherei la vita alle piante. Anch'esse hanno bisogno di un terreno adatto e di essere innaffiate, per sopravvivere. Da sole non possono fare molto.
Stesso discorso per la dignità. Ogni forma di vita, infatti, sia essa un fungo, un batterio, un animale, una pianta o un essere umano, ha pari dignità e diritto a vivere all'interno del ciclo della Natura, con i suoi continui processi di costruzione e distruzione e le sue lotte intestine per la sopravvivenza. Il più forte non ha più dignità del più debole, pur battendolo. In questo senso la vita va difesa in ogni sua forma.
Più complicato è risolvere invece il dilemma sul beneficio o maleficio che stiamo servendo ad Eluana; se le stiamo facendo un favore immenso o al contrario un danno atroce. Da un punto di vista religioso, infatti, potremmo rubarle la contemplazione di Dio, con questo nostro tenerla in vita, ma anche risparmiarle sofferenze nel Purgatorio, questo non possiamo saperlo. (personalmente, comunque, sono più propenso verso la prima ipotesi). Ciò che pensa lei, se ancora è in grado di farlo, non possiamo ugualmente  saperlo. Molte persone che hanno vissuto un coma, anche profondo, dicono di ricordarsi frammenti di quel periodo di incoscienza;alcuni addirittura ricordano i colloqui degli operatori sanitari e dei familiari, il loro senso di impotenza di fronte ai dubbi di questi e alla loro totale impossibilità di rispondere "Ci sono! Sono Vivo!". Cosa dire, dunque? Nel caso ci fosse una morte cerebrale accertata, cioè un danno irreversibile della corteccia cerebrale determinato da una mancanza di flusso sanguigno di almeno venti minuti, sarebbe corretto ed etico staccare la spina, non essendoci più speranza. Un danno, spesso riparabile, alla sola sostanza bianca, che collega la corteccia cerebrale con le altre parti del cervello e con gli altri nervi e neuroni che poi portano le informazioni al resto dell'organismo e che può essere determinato ad esempio dall'eccessiva rotazione angolare del cervello sul proprio asse durante il trauma (come il ciondolo che avete appeso allo specchietto retrovisore centrale quando fate una brusca frenata), scollega invece i centri superiori ma non li uccide. Qui diventa
dunque più complicato decidere, in scienza ma soprattutto in coscienza. L'argomento è però del tutto personale, quindi terrò per me la mia opinione, volendo solo dare uno spunto di riflessione e non una soluzione.
Da ultimo, però, mi sembrava utile spendere ancora qualche parola riguardo la responsabilità scientifica in tutto questo. Con le moderne tecniche rianimatorie e di sostegno vitale, infatti, situazioni del genere saranno sempre più frequenti e non si potrà sempre far decidere ai giudici cosa è giusto e cosa sbagliato. Se da un lato, infatti, la rianimazione cardiopolmonare può essere una grande vittoria della moderna medicina sulla morte, dall'altro risultano evidenti gli ancora notevoli limiti che attualmente incontrano gli operatori del settore e le famiglie dei pazienti. Sarà dunque auspicabile, in un futuro il più prossimo possibile, l'istituzione di un testamento biologico chiaro riconosciuto dalla legge, di modo da rispettare fino in fondo la volontà dell'individuo, seppure parziale, non essendo possibile, almeno per ora, conoscere i sentimenti che potrebbe eventualmente provare una persona in stato di coma vegetativo. Ognuno, allora, sarà libero di decidere secondo il proprio credo e la propria personale sensibilità, a patto però che vengano fornite, a ogni cittadino in grado di intendere e di volere secondo la sua capacità di comprendere, le nozioni necessarie ad prendere liberamente questa difficile decisione.


 
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Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 11 Ottobre 2008 da stefinoinpoesia
 

I giganti vuoti e il saggio


Lungo la via che lo portava verso la Torre d'Avorio, seduto insieme alla maga Xayde sulla sua lettiga, Bastiano prese la parola e le chiese: "- Quando ho combattuto contro i tuoi giganti corazzati ho visto che sono armature vuote. Come mai si muovono? -. - Grazie alla mia volontà -, spiegò Xayde sorridendo. - Appunto perché sono vuoti ubbidiscono alla mia volontà. Essa può guidare tutto ciò che è vuoto. -" (Michael Ende, La storia infinita, TEA DUE, pag. 330)

Così siamo noi tutte le volte che non ci informiamo, quando senza sapere lasciamo che sia qualcun altro ad agire per noi. Armature vuote in balia di chi, più in alto di noi, ci fa muovere secondo i suoi schemi, come pedine su di una gigantesca scacchiera.
La superficialità crea persone vuote, senza volto, bandiere senza insegna che sventolano nel vento impetuoso di tempesta, impaurite e tremanti per il freddo.
Chi più sa, invece, non si lascia manipolare, non cade preda della paura  che  altri vogliono insinuare in lui per far finta di proteggerlo.  Il saggio, se così lo vogliamo chiamare, non è colui che sa tante cose, ma una persona che sa leggere nella maniera più corretta le diverse situazioni, che sa continuamente mettersi in gioco per cercare un futuro migliore, che scavalca il muro delle apparenze per guardare cosa sta oltre il singolo avvenimento.
Il saggio non si stanca mai di imparare, perché anche il più umile individuo ha un tesoro di insegnamenti da donare, e questo suo continuo osservare, approfondire, lo innalza al di sopra di ogni situazione. Così rimane fino a che la sua umiltà prevale sull'orgoglio, fino a quando la sua curiosità supera ogni difficoltà nell'apprendere.
Come diceva Aristotele, è saggio colui che sa di non sapere. Io mi permetto di aggiungere che lo è pure colui che non si ferma alla prima informazione che gli viene fornita ma cerca, approfondisce, non si lascia spaventare dalle varie maghe Xayde che, di volta in volta, cercano in realtà nient'altro che una nuova pedina per infoltire il loro già numeroso esercito di giganti vuoti.


 
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Post N° 1

Post n°1 pubblicato il 09 Ottobre 2008 da stefinoinpoesia
 

La strada proseguiva insidiosa, inerpicandosi lungo il versante più ripido del Monte. La meta era ormai poche centinaia di metri più sopra, ma a questo punto sembrava davvero impossibile da raggiungere. Le rocce franavano ogni volta che l'impavido scalatore poggiava la mano o il piede sulla fredda parete e per ogni metro che egli faceva scivolava indietro di almeno la metà.
Eppure era quella la strada da seguire. Il nostro amico, infatti, non vedeva altre vie dinanzi a sé.


 
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