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Una serata tra amici.
Mastichiamo in compagnia per distrarre il tempo. Siamo diversi, eppure…
L’ostentazione non ci appartiene, diversi percorsi, altre direzioni, occhi lucidi e sorrisi aperti.
Sono seduta, sorrido, osservo i profumi. Ci conosciamo tutti, apparteniamo alla stessa stagione.
-Mio padre era un contadino. In famiglia eravamo in tanti. Mia madre ha indossato lo stesso cappotto per anni, incurante del tempo scivolato sulle fibre. Era pulito, decoroso, le toppe discrete, come il suo sguardo. Una vita semplice, troppo semplice, senza distrazioni, senza premi.
Oggi io lavoro, in casa abbiamo due stipendi, non abbiamo figli e non arriviamo a fine mese. Lei mi aiuta. Tiene stretto il suo tesoretto di questi ultimi 40 anni. Le ho proposto di farsi un bancomat, per pagare la spesa, per prelevare quando ne ha bisogno. Lei ha guardato perplessa quel pezzo di plastica e mi ha detto: “E quisti sordi suntu?”…
-Mia madre è rimasta vedova a 30 anni. Due figli. Mio padre era un emigrato, se non fosse stato per la pensione estera, non avrebbe avuto nulla. Ha lavorato, sudato, urlato. Il suo viso si è indurito, le sue mani anche. Non carica il suo cellulare per non consumare corrente, fa la bollitura dei panni bianchi in una grande pentola di alluminio, ha l’armadio pieno di mutande e magliette per i figli maschi. In un cassetto del suo comò, tiene avvolte, in un fazzoletto bianco, le sue riserve di denaro per noi, non abbiamo bisogno del suo aiuto, ma lei ha bisogno di darcelo.
Ha voluto portare i suoi soldi dalla banca alla posta. Il direttore mi ha chiamato disperato. Lei voleva i suoi soldi in contanti. Non c’è stato verso di convincerla a fare un assegno circolare. “Iou oiu li sordi mei!”: 20.000 euro di banconote, avvolti in un foglio di carta, fermati da un elastico e chiusi in una busta.
Altre generazioni, altre storie, fatte di sacrifici, di volti rugosi e austeri, di silenzi, di necessità funzionali, di concretezze. Uomini e donne che hanno operato senza chiedersi il perché, per coscienza, per cultura, perché non potevano immaginare un’alternativa per se stessi, perché forse un’alternativa non c’era, spinti a vivere il presente in funzione del futuro, con la consapevolezza di chi sa che, per costruire, si deve sudare.
Una serata tra amici.
Abbiamo, oggi, gli stessi anni che avevano le nostre madri, ieri.
Ho due figli, nessuna stabilità lavorativa. Guardo gli occhi dei miei bambini. Per loro il meglio di me, il meglio…
Vivo il presente e non riesco ad immaginare il loro futuro. E’ difficile risparmiare, è difficile sopravvivere, la concretezza si scioglie nell’imprescindibile soddisfazione dell’inutile. Non ho poco, non ho tanto, ma è difficile stabilire se quello che riesco a gestire è sufficiente.
Poi mi fermo, guardo i miei amici e riconosco il valore delle parole.
I loro racconti mi emozionano e tra una risata ed un bicchiere di vino, accarezzo sulla mia pelle i segni di chi ieri ha saputo credere in un futuro possibile.
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CHECCO MIO
"Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui si dice: Ma se la pecora mangia il fiore, e' come se per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero! E non e' importante questo!" Non pote' proseguire. Scoppio' bruscamente in singhiozzi. Era caduta la notte. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c'era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo: "Il fiore che tu ami non e' in pericolo ... Disegnero' una museruola per la tua pecora... e una corazza per il tuo fiore... Io... " Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo bene come toccarlo, come raggiungerlo... Il paese delle lacrime e' cosi' misterioso.
Qualcosa di rosso
Per sentire scorrere nelle mie vene
Il sangue di tutti gli uomini
Qualcosa di rosso
Per non smettere di amare la mia ombra
Qualcosa di rosso
Per lacerare le bende che annodano la mia coscienza
Qualcosa di rosso
Per cancellare le trasparenze invalicabili
Qualcosa di rosso
Perché i nostri sussurri diventino un canto universale
Qualcosa di rosso
Per riempire di colore le solitudini di Eroi inermi
Qualcosa di rosso
Perché non ci siano più Eroi.
Capone Mercedes
Prendi di me quello che non ti spaventa
che non ti fa soffrire.
Prendi i rimpianti che non hanno prezzo
quelli con il conto pagato.
Prendimi per i baci, le carezze.
Prendimi per le lacrime che non bagnano
per le urla del desiderio
e per quelle del piacere.
Prendi di me quello che non hai avuto.
Prendi il cuore
prendi l'anima
prendi il caldo della pelle.
Prendi il fuoco
la luce
il buio delle lenzuola.
Prendi la mia gioia
prendi il mio sorriso
il suono delle parole.
Prendi i momenti rubati.
Prendi solo quello che ti fa bene...
Lascia la paura del dolore
la sofferenza
la solitudine.
Lascia la contraddizione e il dubbio.
Lascia l'incertezza.
Lascia l'amarezza.
Lascia l'umido degli occhi
il rimpianto del se e non quello del ma.
Lascia la mia fragilità
la mia forza
l'incomprensione
la durezza
la crudità.
Lascia la mia semplice verità
la vita diversa
l'insolita quotidianità.
Lascia l'incerto
lascia di me quello che non avrai
che non vuoi.
Lascia il rischio
le camicie non stirate
la polvere sul pavimento.
Lascia il mio tremore
le mie angoscie
il mio futuro
Lascia il vorrei ma non posso
il potrei ma non voglio.
Lascia i silenzi.
Lascia i rumori
le urla dei miei figli.
L'odore intenso tra le mie gambe.
Lasciami il flusso del desiderio.
Lascia tutto quello che ti fa male...
Ma alla fine di tutto non mentire.
Mai.
Mai.
Non farlo con me e non farlo con te.
Puoi prendere o lasciare
ma non puoi non scegliere.