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« Riflessioni ascoltando la radioOrgoglio ed amarezza »

Storie brevi; una ragazza in stazione dei treni

Post n°32 pubblicato il 23 Marzo 2009 da threecharlie
 

Alle volte usiamo le persone come specchi anche se loro non ne sono consapevoli; ci sono casi dove riconosciamo alcuni dei nostri comportamenti passati negli atteggiamenti di chi ci passa davanti, magari distrattamente, e che da modo di raccontare la sua storia con un occhio di riguardo verso la nostra o, se vogliamo, la nostra storia riuscendo ad esorcizzarla vergognandoci on po' meno della debolezza di turno. Io raramente mi vergogno, mai se le mie azioni non sono votate a far del male ad una persona.

Non so come si chiamasse e non ha importanza, era davanti a me, davanti alla postazione dei taxi dove passo una buona parte della mia vita ad osservare il mondo al di là del lunotto. Era una bella ragazza, non troppo giovane, forse sui 25 anni, capelli neri e lunghi, carnagione bianca con le guance rosse, dita affusolate, alta più di un buon metro e settanta, stivaletti, pochi tacchi e... piangeva. Non stava singhiozzando, non sembrava disperata, affranta, provata, anzi ad un'occhiata distratta non si poteva dire nemmeno se piangesse o meno nella luce artificiale della pensilina esterna. Appoggiata al muro piangeva delle lacrime che non voleva asciugare, le la sciava scorrere sulla faccia comunque con l'espressione di chi sa che è stato un prezzo da pagare. Forse un addio subìto o un addio imposto, o un altro tipo di distacco, un genitore, un parente, un amico che se n'era andato per sempre, il tutto con quelle lacrime di chi sa di essere nel giusto, con una dignità invidiabile. Ricordo bene quella sensazione per averla provata sulla mia pelle, per averla anche ostentata perché in quelle condizioni suscitavo curiosità in coloro che stavano condividendo il mio spazio. Ed io, con arroganza mista alla curiosità di vedere se avevano il coraggio di sostenere il mio sguardo, ricambiavo puntando a mia volta dritto nel loro sguardo che, tutte le volte, si abbassava, si distoglieva, scappava, forse per  evitare di essere giudicati voyeur di sentimenti altrui.

Anche lei lo fece, dritta negli occhi come un giavellotto, ma io sostenni quello sguardo a lungo accennando un sorriso che lei ricambiò solo per pochi istanti ma facendomi partecipe del fatto che aveva compreso.

 
 
 
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