I dati non lasciano dubbi sulla realtà: in Italia la crescita dei casi di tumori è a livelli da epidemia. Basta guardare i numeri e confrontare i dati degli anni Ottanta con le analisi più recenti. Tra il 15 e il 20 per cento in più i casi di linfomi e leucemie; i mesoteliomi che esplodono (più 37 per cento nelle donne e più 10 negli uomini); poi la mammella (più 27), il cervello (tra l'8 e il 10), il fegato (tra il 14 e il 20). Se si guarda ai bambini, la statistica diventa angosciante: il confronto tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta mostra risultati spietati. Usando come campione la Regione Piemonte, si scopre un'impennata del 72 per cento del neuroblastoma, del 49 per cento nei tumori del sistema nervoso centrale, del 23 per cento per le leucemie.
Una via Crucis che segna sempre nuove tappe, perché traffico automobilistico e impianti di riscaldamento diffondono minacce crescenti nei centri urbani congestionati, perché proliferano ovunque nuovi strumenti tecnologici di cui si ignorano i danni a lungo termine e perché la devastazione dei suoli provocata da discariche clandestine immette nella catena alimentare sostanze nocive che finiscono sulla tavola degli italiani. Addirittura secondo il ministero dell'Ambiente i veleni che si disperdono nell'aria, nell'acqua e nel terreno partono da una galassia di 9 mila piccole Seveso, intorno alle quali rischiano la contaminazione dai sei agli otto milioni di abitanti. Ma l'onda lunga di questa contaminazione, attraverso l'inquinamento delle falde che portano l'acqua nelle nostre case, della catena alimentare, delle nubi tossiche che si spostano coi venti, riguardano, di fatto, tutti noi. Se il rapporto tra fumo di sigaretta e tumori del polmone e dell'uretra è un fatto indiscutibile, così come quello tra fumo passivo e cancro del seno, è anche vero che se si cercano le ragioni dell'emergenza fotografata in queste pagine, l'attenzione si punta tutta sui veleni che ci circondano. Prendiamo ad esempio i i tumori al polmone, che uccidono ogni anno 25 mila persone. Non c'è dubbio che la causa di questa strage siano essenzialmente le sigarette. Ma: "Chi vive in una città inquinata ha un 25 per cento di rischio in più di avere un tumore al polmone, chi fuma ha un rischio del 900 per cento in più", sintetizza Annibale Biggeri, epidemiologo dell'Università di Firenze: "Tuttavia, al traffico e all'inquinamento siamo esposti tutti e quindi, benché il rischio individuale sia basso, l'impatto dell'inquinamento sulla salute pubblica è tutt'altro che irrilevante. E contrariamente al fumo è anche involontario". Secondo le stime di Paolo Crosignani, epidemiologo dell'Istituto dei tumori di Milano, nel capoluogo lombardo dei circa 900 tumori al polmone all'anno, più di 200 sono da attribuire alle polveri generate dal traffico e dai riscaldamenti. Ma il rapporto più allarmante è stato presentato l'anno scorso dall'Ufficio ambientale dell'Organizzazione mondiale della sanità di Roma, che nelle 13 città più grandi d'Italia ha stimato 8 mila morti all'anno per gli effetti cronici dell'inquinamento atmosferico, di cui una parte non irrilevante viene giocata dai tumori ai polmoni (750 casi all'anno) e alle vie respiratorie, leucemie da benzene e linfomi. Per questo, sigarette e diete eccessivamente carnivore non bastano a spiegare l'epidemia."I nuovi casi aumentano costantemente da cinquant'anni", spiega Renzo Tomatis, che ha diretto l'Agenzia del cancro di Lione (Iarc) dal 1982 al 1993, e che ora presiede l'Associazione internazionale medici per l'ambiente (Isde): "Quelli dei bambini soprattutto, crescono di più dell'1 per cento all'anno. I tumori con una forte componente ambientale superano il 50 per cento del totale". E non c'è solo l'inquinamento chimico: Sappiamo che le radiazioni sono collegate pressoché a tutti i cancri: dalla mammella allo stomaco, al colon, ai linfomi e leucemie. Non solo: l'aumento delle leucemie infantili potrebbe essere collegato all'esposizione cronica ai campi elettromagnetici, sia a quelli ad alta frequenza dei ripetitori radiofonici e televisivi, sia a quelli a 50 Hertz delle linee elettriche. Il condizionale, in questo caso, è d'obbligo. Quindici anni di studi hanno visto un'altalena di risultati positivi e negativi che hanno portato alla disperazione anche i ricercatori più combattivi. Tuttavia, almeno per quanto riguarda i campi magnetici a bassa frequenza qualche certezza c'è: uno studio che ha messo insieme tutte le ricerche suggerisce un collegamento tra i campi e la leucemia, infantile e non, le malattie neurodegenerative e riproduttive, e l'alterazione di parametri immunitari e cardiaci. Per verificare questa ipotesi Pietro Comba, direttore del Reparto di epidemiologia ambientale dell'Istituto superiore di sanità, sta conducendo uno studio su 354 abitanti di Longarina (Ostia Antica) le cui case distano meno di cento metri da un elettrodotto. Una prima parte dell'analisi ha riscontrato un piccolo aumento di tumori, sia leucemie, al pancreas e allo stomaco, nella popolazione più vicina alla linea elettrica. Fra qualche mese saranno disponibili anche i dati sugli altri disturbi. E passando ai campi ad alta frequenza, qualche sospetto aleggia anche sull'uso intensivo dei telefonini, sospettati dei tumori al cervello, al nervo acustico e alle ghiandole salivari, e sui quali è in corso lo studio Interphone, coordinato dall'Agenzia del cancro di Lione e di cui si aspettano i risultati per la fine dell'anno. La faccenda è terribilmente complicata: anche dal fatto che, in genere, il tumore colpisce decenni dopo l'esposizione pericolosa, e questo non facilita il lavoro. "Il caso esemplare è l'amianto, che può provocare il mesotelioma quarant'anni dopo", spiega Benedetto Terracini, decano degli epidemiologi ambientali e direttore di 'Epidemiologia & Prevenzione': "L'Italia, pur avendo bandito nel 1992 questa fibra, continua ad avere un migliaio di morti l'anno". Secondo il Registro nazionale mesoteliomi, i morti dovrebbero cominciare a calare fra cinque-dieci anni, ma dal 1970 a oggi l'amianto ha falciato almeno 30 mila vite. Che fare? Il ministero della Salute sta pensando a un programma di interventi. Ma la bonifica delle sorgenti di veleni più pericolose sarà costosa: se ne contano 13 mila. E servirebbero 25 miliardi di euro: 500 euro a testa. Una tassa per la speranza.
da "L'Espresso" del 24.05.07
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