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L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. E allora a cosa serve l'utopia ? A questo: serve per continuare a camminare.

 

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ADESSO LA MIA MACCHINA è COSì

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LA MIA MACCHINA... FINO AL 26 GENNAIO 2007

immagineIn realtà, è una foto presa in rete, raffigurante una macchina dello stesso modello e colore. 
 

LA MACCHINA CHE AVEVO...

18 novembre 2004, un cretinetti alla guida di una Golf ci si è andato a schiantare contro, sfasciandola completamente. Per quanto potesse essere bella, era del 1992. L'assicurazione del deficiente mi ha risarcito con pochi spiccioli, quanto mi è bastato per prendere una vecchia Passat SW, sempre del 1992 (senza riscaldamento), con la quale mi sono mosso fino al 26 gennaio.immagineimmagine
 

IL MITICO ESORCISTA DI DANIELE CALURI

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Una tv di qualità è ancora possibile

Post n°363 pubblicato il 09 Novembre 2007 da kleombroto

Alcuni mesi fa la tv satellitare e via web Arcoiris trasmise il mio video "A voce alta - Libertà d'espressione", riduzione televisiva dello spettacolo teatrale dedicato a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Al termine del programma, seguì (e debbo dire che mi sentii veramente onorato da quella collocazione nel palinsesto) l'intervista di Loris Mazzetti a Enzo Biagi. Questa è la trascrizione. A fine post il link per vederla via web. Se invece qualcuno di voi fosse interessato allo spettacolo su Ilaria Alpi, può cliccare questo link:
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=4824

Intervista a: Enzo Biagi

Video delle loro brame
Colloquio con Enzo Biagi di Loris Mazzetti

I lunghi anni alla Rai. Poi la cacciata. Il grande giornalista elenca difetti e colpe della televisione di oggi. “Troppe falsità vanno in onda, ma prima i poi la verità viene fuori”
Il  31 maggio 2002 è andata in onda l’ultima puntata de “Il Fatto”. Per Enzo Biagi non c’era più posto in Rai e la sua trasmissione, nonostante gli ottimi ascolti, è stata chiusa. Via dal teleschermo e, per lui e per me, lo stop a un lavoro comune che durava da anni, ai confronti quotidiani, alla confezione di programmi giornalistici. Un incontro ad Orvieto, al convegno “Radio e Televisione alla ricerca della qualità”, organizzato dall’Associazione Articolo 21 ad Orvieto il 30 e 31 ottobre, è stata l’occasione per tornare a parlare con Biagi incontrare Enzo Biagi del suo mestiere di giornalista, e di cosa pensa della televisione di ieri e di oggi. Una lunga chiacchierata come quelle che facevamo a Milano, in Corso Sempione, la  nostra redazione

Enzo, per la gente, come dovrebbe essere la televisione?
“La televisione in genere, con i difetti che sono dovuti alle diverse stagioni politiche, è lo specchio della vita di un paese con la deformazione che comporta il mezzo perché, tu mi insegni, che se uno è ripreso in primo piano è un conto, le parole prendono un certo rilievo, se è ripreso in campo lungo è un’altra questione. La Rai ha avuto un grande merito, principalmente quello di riempire tante solitudini, poi ha unificato il linguaggio degli italiani, neanche Garibaldi ha potuto fare tanto. La televisione ha insegnato molte cose e penso che sia stata una delle scoperte più importanti del ventesimo secolo”.

La tua lunga stagione tv si è interrotta per un editto bulgaro, sei stato accusato di aver fatto «un uso criminoso della televisione». Poi è arrivato il tuo allontanamento e quello di tanti altri. Cosa hai provato?
“Guarda, lo dico anche con un po’ di vergogna: niente. Ne abbiamo parlato tante volte, ci siamo arrabbiati, l’abbiamo considerata una grande violenza, ma dentro non ho provato niente, perché alla mia età sono altre le cose che ti segnano. Ho avuto a che fare, quando avevo poco più di vent’anni, con Adolf Hitler, sono stato per ventiquattro ore  con una pistola puntata alla testa… Ogni giorno ricevo la notizia che qualcuno della mia generazione è sparito, lo so che è la legge della vita, ma a questa legge non ci si abitua. Non provo rancore nei confronti della Rai, io le devo tanto e le voglio bene. Anche se so che la televisione è fatta da uomini che hanno le loro idee, le loro faziosità, oggi ragionano in una certa maniera, ma non possono essere piccoli uomini a farmi pensare diversamente”.

Quando durante una trasmissione di Rai Tre, dedicata ai 50 anni della Rai, “Il Fatto” è stato votato come il miglior programma, tu era già stato allontanato dalla tv, la nostra redazione chiusa, di fronte a questa inaspettata notizia  che cosa hai provato? 
“Ho provato tristezza, perché io con te, con la mia troupe, ho passato gran parte della mia vita. Ho pensato che mi è stata tolta l’occasione di continuare a stare con quelle persone, i miei amici, che con me hanno condiviso tante avventure, a volte anche abbastanza pericolose, sempre insieme: dove io andavo voi c’eravate, dove voi andavate io ero con voi. Non abbiamo mai pensato che quando i mortai tuonavano, potevano tuonare per alcuni e per altri no.  Non so se te l’ho mai raccontato: quando arrivai al telegiornale, il giornalista stava in un albergo e la troupe in un altro, c’era un trattamento economico differenziato, fui io a convincere l’azienda che era sbagliato. La troupe, il giornalista, il regista devono stare tutti insieme per poter parlare del lavoro, quello che si deve fare il giorno dopo. Io vorrei solo che fosse riconosciuto che in quegli anni, quando potevamo fare la televisione, ci siamo comportati come persone per bene”.

Se ti dessero la possibilità di tornarla a fare, rifaresti “Il Fatto” o che alto?
“Farei un programma diverso, farei un viaggio in Italia, il seguito di “Cara Italia”, il programma che facemmo sette o otto anni fa, per vedere come vive certa gente, se in questi anni è cambiata la loro vita, come arrivano alla fine del mese. Partirei raccontando la realtà di un piccolo paese, la storia di un farmacista di provincia, il caffè dove si ritrovano, la vita della famiglia media. Io, poi, non so fare altro. Sì, farei proprio questo programma, per scoprire quella realtà sociale che spesso i telegiornali trascurano. Ma sono solo sogni, io vivo nella mia solitudine con le mie due figlie e i miei nipoti, nella mia famiglia mancano mia moglie e una figlia, non frequento salotti, leggo e scrivo, poi con la Rai tutto è finito”.

Visto quello che ti è accaduto e la tua lunga esperienza, con il senno di poi, forse era meglio la televisione della lottizzazione?
“Io per tanti anni ho fatto la televisione che volevo fare e quindi non posso dire che ho subito delle censure, a parte qualche episodio che poi si è risolto con il programma che andava in onda qualche giorno dopo. Allora l’opinione pubblica contava più di oggi. Io sono stato accusato di aver fatto una intervista a Benigni, una cosa è certa: la rifarei anche domani mattina. Considero Benigni un italiano da esportazione e lo ha dimostrato anche con i tre Oscar ricevuti. Non ha mai voluto una lire per venire ai miei programmi, è un vero amico. L’ho già detto tante volte e lo ripeto noi giornalisti facciamo delle domande ma non possiamo suggerire le risposte”.

Però una volta lo hai fatto!
“Hai ragione, una volta l’ho fatto. Mia nonna diceva che dovevamo moltissimo a Casa Savoia perché suo padre era un birichino, non so che cosa avesse fatto ma era stato messo in galera. Passò da Porretta la Regina Margherita e la mia bisnonna le portò una supplica. La Regina, dopo poco tempo, rimise il birichino in circolazione e quindi noi eravamo in debito con casa Savoia.  Molti anni dopo andai ad intervistare quello che avrebbe dovuto essere l’erede.  Io feci le domande e lui per certe risposte era, diciamo così, un po’ in difficoltà e allora io gli ho dato una mano.  Alla fine ho detto: “Altezza adesso le nostre famiglie sono pari”. Tornando all’intervista di Benigni, che ripeto rifarei subito, se involontariamente con il mio lavoro ho offeso qualcuno, spero di no, gli chiedo scusa. Appartengo anch’io al genere umano, ho anch’io i miei difetti e le mie faziosità.  Ma quando ci sono dei tipi che non mi piacciono, la mia tendenza è quella di farglielo sapere”.

La Rai oggi, purtroppo, è una televisione poco aperta alle proposte esterne, si trova raramente qualcuno alla ricerca di nuove idee, sempre più si è trasformata in un’azienda di servizi, conta chi ha i diritti dei così detti format. C’erano strutture che avevano il compito di sperimentare, si provavano autori, attori, registi in terza serata, che poi dopo una certa gavetta, se avevano i numeri, trovavano il loro spazio. C’era la ricerca dei talenti.
"Una volta non c’erano gli appalti, credo che oggi più della metà della produzione sia esterna. Sono diecimila i dipendenti della Rai, e siccome non sono tutti degli imbecilli, anzi c’è tanta gente professionalmente di prim’ordine, non ci sarebbe bisogno di spostare tutto all’esterno. I risultati si vedono, tra i programmi della Rai e quelli di Mediaset non ci sono più differenze».

Secondo te come dovrebbe essere una televisione di qualità?
“Non dovrebbe essere uno strumento di propaganda per una causa o per l’altra, senza demagogia, con il rispetto delle persone, con la consapevolezza in chi la fa che si rivolge a milioni di persone: deve avere sempre presente che l’unico padrone è il pubblico che paga il canone”.

Cosa non si dovrebbe vedere o cosa non dovrebbe essere trasmesso?
“Oggi è molto difficile non trasmettere qualche cosa, anche quando si sa che nelle coscienze più labili può avere una influenza negativa, ma soprattutto sono i bambini che devono essere protetti. Bisogna rispettare gli orari, certe cose si devono vedere solo dopo le 11 di sera quando i piccoli si presuppone che siano a letto. Comunque l’italiano è intelligente e sa scegliere, non cominciamo con le auto censure perché poi si finisce sempre peggio”.

È di moda parlare di informazione manipolata, come si può manipolare l’informazione?
“Si fa il contrario di quello che ti ha detto la mamma quando avevi cinque anni: “Non si devono dire le bugie”. Oggi, purtroppo, si raccontano, poi c’è chi le racconta meglio, chi peggio. Però i fatti hanno una logica ineluttabile e qualcuno ha detto “I nostri atti ci seguono”, per qualche personaggio, se Dio vuole, anche quelli giudiziari. Prima o poi quello che è buono o quello che è cattivo viene fuori.”

Le bugie, hanno le gambe corte con tanti media a disposizione, nel tempo la verità si conosce.
“Non dimenticare mai che c’è la tendenza ad adeguarsi. Dice Ennio Flaiano: “Gli italiani accorrono sempre in soccorso ai vincitori”, e cominciano così le memorie di Charlie Chaplin: “Il successo rende simpatici”. Secondo me non è sempre vero, però aiuta”.

Ti rispondo anch’io con una citazione, Karl Popper: “Chi controlla l’informazione televisiva controlla la democrazia”.
“Sì, hai ragione perché chi controlla la televisione, controlla il mezzo di comunicazione dominante. La notizia la si può raccontare in tantissimi modi, facciamo un esempio: un bambino che vede una bicicletta la prende e scappa via. La notizia può essere raccontata così: un bambino la prende perché ha sempre sognato di avere la bicicletta, oppure, il bambino è un ladro, dimostra di essere un precoce delinquente, infine, era un gioco, il bambino non sa che certi giochi vengono contemplati anche dal codice penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà”.

È vero che la tv deve avere una funzione educativa?
“No, deve essere una buona compagna per la gente, all’educazione dei ragazzi provvedono la scuola, i genitori, la società”.

Torniamo indietro nel tempo: come mai hai iniziato a fare la televisione? Tu eri già stato direttore di Epoca, eri già una grande firma del giornalismo.
“Mi fu proposto allora da Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, che mi chiamò nel 1961 a dirigere il telegiornale, erano gli anni dell’apertura ai socialisti, io ero amico di Nenni. Capii subito che non era aria per me, mi accusarono, come sempre è accaduto quando mi hanno mandato via dai giornali, di essere comunista. Dopo un anno lasciai il telegiornale e feci la mia prima inchiesta: “Il Giudice”. Raccontai la storia di un bambino ebreo David Rubinovich, poi inventai RT il primo rotocalco televisivo e per quarantuno anni non ho mai smesso, fino al settembre del 2002 quando mi mandarono una raccomandata con ricevuta di ritorno per dirmi che il mio contratto non si rinnovava più.  Potevano risparmiarsi quei soldi, bastava una telefonata”.

Nella tua carriera chi sono stati i punti di riferimento?
“Ci sono stati dei giornalisti che per me restano dei modelli: Indro Montanelli, Orio Vergani, Dino Buzzati, Vittorio G. Rossi. Soprattutto Montanelli, al quale sono stato profondamente legato e sono orgoglioso perché siamo diventati compaesani: mi hanno dato la cittadinanza di Fucecchio. Quel giorno andai al cimitero dove c’è l’urna, perché lui è stato cremato, ho chiesto se potevo rimanere solo con lui perché avevo alcune cose da dirgli, sono stati tutti molto rispettosi, si sono fatti da parte.  Gli ho detto: “Indro tu dicevi che certi personaggi dovevamo provarli, ma ho l’impressione che abbiano sbagliato la dose””.

Mi ricordo quando lo intervistammo a “Il Fatto”, aveva appena ricevuto una lettera anonima con minacce di morte ed era stato addirittura accusato di essere diventato comunista. Durante quell’intervista, diventata poi famosa perché messa nella lista di quelle che non dovevi fare, tu gli dicesti: «Io ho la sensazione che andremo incontro a una dittatura morbida». Hai sbagliato l’aggettivo.
“Sì, oggi lo cambierei, anzi lo toglierei proprio”.

Umberto Eco, citando il tuo caso e di tutti gli altri epurati, lo ha definito un regime mediatico. Ma perché la televisione è così importante, riesce ad inventare anche quello che non esiste?
“L’importanza è nei fatti. Lo dimostra la vicenda di un imprenditore che non era votato alla politica, ma che disponendo delle televisioni è diventato presidente del Consiglio. È uno strumento che non ha bisogno di aggiunte: uno si siede e la guarda, mentre il giornale va comprato, poi va letto, ed è già una fatica. Un messaggio dato dalla televisione, da un telegiornale, arriva sicuramente alla gente”.

Il cittadino come può difendersi?
“Può solo decidere di non guardare certa roba o di guardarla con spirito libero e critico. Non mi pare che le ultime apparizioni di quell’imprenditore, ricordando un po’ i commenti fatti sui dati d’ascolto, abbiano avuto grande successo di pubblico. Certo viviamo una grande anomalia, ma non è stato un colpo di stato, l’attuale presidente è stato eletto democraticamente alla guida del nostro Paese, quindi, rispecchia la volontà degli italiani. Per quanto riguarda il futuro bisognerà vedere, ultimamente i dati elettorali dicono che il consenso è diminuito, o mi sbaglio?”.

A un giovane che vuole fare il giornalista quale è il tuo consiglio?
“Diceva un illustre collega: “Sempre meglio che lavorare”. Ma se lui pensa che questo sia il lavoro, una volta si diceva la vocazione, lo deve fare. È un mestiere che ti tiene suo in contatto con la vita, che ti fa partecipare agli eventi, alle storie, che ti rende testimone. L’unico consiglio che posso dare è quello di essere sempre curioso, di voler vedere, dove è possibile, i fatti con i propri occhi”.

Per concludere, la televisione oltre alla popolarità cosa ti ha dato?
“Contatti umani con persone a cui sono rimasto legato, degli amici, le conoscenze di viaggio.  Non mi interessava farmi vedere: non basta apparire, bisogna aver qualche cosa da dire. Mi ha dato la possibilità di raccontare la vita della gente, nel bene e nel male. Alla Rai devo tanto e le sono molto grato”.

L'intervista può essere vista cliccando su
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=2844

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