Creato da wicca1979 il 26/12/2009
lungo il sentiero della vita
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Post n°38 pubblicato il 06 Marzo 2010 da wicca1979
AQUILA GRIGIA - LA LEGGENDA DELL'AURORA
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La leggenda di Faccia Bruciata Un bambino indiano, giocando, cadde in un fuoco da campo e ne restò ustionato. Il suo nome divenne così Faccia Bruciata, e lui, sentendosi schernito e vergognandosi del suo aspetto, passo l'infanzia restando il più possibile chiuso nella sua tenda. Una volta cresciuto, lasciò la tribù e si isolò sulle montagne. Fu qui che costruì la prima Ruota, che simboleggiava per lui il cerchio di un villaggio invisibile, parenti, amici, compagni di vita che avrebbe voluto avere e non aveva più. Un giorno Faccia Bruciata, mentre piangeva la sua solitudine, vide un tornado avvicinarsi e tramutarsi in una Grande Aquila. Interrogato dall'aquila, Faccia Bruciata le rivelò il perché della sua tristezza. Allora l'aquila lo portò in volo fino al suo nido e gli fece conoscere i due aquilotti suoi figli, i quali gli chiesero in dono degli archi e delle frecce. Faccia Bruciata li costruì per loro, e venne ricompensato con uno specchio magico nel quale poteva rimirarsi con il volto miracolosamente intatto. In seguito, Faccia Bruciata uccise a pietrate una mitica Lontra del fiume, divoratrice di aquilotti. Per premiarlo d'aver salvato i suoi figli da una possibile minaccia, la Grande Aquila lo riaccompagnò al suo villaggio garantendogli per sempre la sua protezione sacra. Cosi Faccia Bruciata venne onorato, si sposò, e visse fino a diventare vecchissimo, insegnando a tutti a costruire cerchi di pietre. Il mito ci dice che sono proprio gli esclusi e gli emarginati a sentire più forte il bisogno della comunità e a capirne l'importanza. La Ruota rappresenta l'Appartenenza a qualcosa di più grande del nostro piccolo io, l'identità collettiva che ciascuno di noi porta in sé... e che è capace di grandi magie. Un singolo individuo, ci insegnano insomma gli Indiani d'America, può anche diventare un eroe leggendario, ma è insieme che si vince o si perde la battaglia della vita. |
La leggenda delle fragole (Cherokee) Per i Cherokee all'inizio c'erano due mondi: quello dei cieli, chiamato Ga-lun-la-ti, e quello delle acque scure, che ricoprivano tutta la terra che noi conosciamo oggi, in cui vivevano le forze maligne. Il Ga-lun-la-ti, invece era popolato da animali, piante e uomini.Tutte le creature parlavano la lingua Cherokee e vivevano insieme in armonia. La Terra non era altro che un globo coperto di acqua dove vivevano pesci giganteschi e rettili. L'universo dei Cherokee si fondava sull'armonia e l'equilibrio. La luce era bilanciata dal buio, le cose virtuose e benigne erano bilanciate da quelle che si nascondevano nell'oscurità e fuggivano dalla luce. All'inizio non c'era il sole, ma un grande albero della vita, che cresceva al centro del Ga-lun-la-ti. Esso illuminava il mondo, così che si potesse vedere ovunque e irradiava la sua luce anche nel mondo oscuro delle acque. Il Creatore viveva sull'albero della vita da dove si prendeva cura delle piante e degli animali. A volte gli uccelli marini, i falchi e le aquile volavano nel mondo oscuro sottostante dove tartarughe giganti e ratti nuotavano nella pallida luce dell'albero del cielo. Il Creatore conduceva una vita solitaria. Quando il suo lavoro fu completato, si sedette sull'albero della vita e ammirò il mondo intorno a lui e sotto di lui. A volte, però, si sentiva solo e desiderava una compagna, forse una figlia, che si potesse sedere accanto a lui alla sera e vedesse la sua creazione vivere e crescere. Così il Creatore plasmò una fanciulla la cui grazia e bellezza gli toccarono il cuore. Egli sapeva, però, che anche lei aveva bisogno di qualcuno con cui correre e giocare, così creò un uomo e insegnò ai suoi figli le cose che conosceva. Il Creatore presto si accorse che sua figlia rideva troppo e cantava troppo; parlava costantemente. Essa poneva moltissime domande: perché brillano le fronde dell'albero della vita? Chi ha creato il mondo dei cieli? Chi ha dato il nome alle piante?...Il Creatore continuava ad amarla, perché era sua figlia, ma questo parlare e chiedere in continuazione, cosa avrebbe potuto fare? Il Creatore aveva detto molte volte ai suoi figli di stare lontano dall'albero della vita e di non giocare nei pressi del suo tronco. Ma, come tutti i bambini curiosi, la prima donna volle scoprire perché suo padre aveva detto queste cose. Il primo uomo insisteva affinchè essa non si recasse all'albero, ma essa tutti i giorni avrebbe voluto scalare l'albero fino alle sue fronde più alte. Un giorno trovò un buco ai piedi del tronco e vi entrò cadendo così al di fuori del Ga-lun-la-ti. Quando il Creatore tornò a casa non trovò la prima donna. Allora chiese al primo uomo:”dov'è mia figlia?”. Il giovane uomo rispose:”Io le ho detto più di una volta di non entrare nel buco ai piedi dell'albero della vita, ma lei non ha voluto ascoltarmi!”. Il Creatore non sapeva cosa fare per evitare che sua figlia cadesse nel maestoso oceano. Allora convocò gli uccelli del cielo affinchè la prendessero evitando di farla annegare. Essi formarono così una specie di grossa e soffice coperta con le loro ali piumate, con la quale presero la prima donna. Tuttavia, dove avrebbero potuto posarla? Così, mentre volavano sulla superfice delle “grandi acque”, il capostipite di tutte le tartarughe disse: “qui!, mettetela sul mio guscio!”. Quindi gli uccelli discesero con la giovane donna, da quel momento conosciuta come “Sky-Woman”, e la posarono sulla superfice della sua nuova casa. Tuttavia non vi era abbastanza spazio, così il ratto e la lontra si offrirono volontari e scesero sul fondo del mare riportando in superfice del fango, il quale, dopo essere stato messo sulla shiena della tartaruga , cominciò a crescere diventando la terra che oggi conosciamo come “Turtle Island”. Il Creatore, però, sapeva che essa avrebbe avuto bisogno di più cose, quindi mandò sulla nuova terra le piante e gli animali, affinchè si prendessero cura di sua figlia. Mandò il cervo, il bisonte, l'orso, il coniglio e lo scoiattolo, per fornirgli cibo e abiti. Mandò anche le piante medicinali: il cedro, la salvia, la sanguinaria-canadensis, la quercia e soprattutto il tabacco. Mandò poi sulla terra molte altre cose per provvedere alla sua futura generazione: i Kituwah, i Cherokee. Quando la prima donna fu soddisfatta, il Creatore mandò il primo uomo ad aiutarla a curarsi della sua creazione. Il primo uomo e la prima donna erano ora marito e moglie. Erano felici e tutto andava per il meglio, ma, come in tutte le buone cose, il male si insinuò tra loro e cominciarono a discutere e litigare. Furono dette parole dure da entrambi e, alla fine, la prima donna raccolse le sue cose e partì. “Vado a cercare un nuovo posto dove vivere” disse al marito “ tu sei indolente e non mi presti mai attenzione!”. In breve tempo il primo uomo si pentì delle sue azioni e cercò di raggiungere la moglie per scusarsi. Tuttavia si rese conto di non poterla ormai raggiungere, e pregò il Creatore di aiutarlo: “rallentala, Creatore, affinchè possa dirle cosa essa significhi per me!”. Il Creatore chiese:”il tuo spirito è uno con il suo?”. Il primo uomo rispose:”ne abbiamo uno solo fin da quando siamo stati creati! Ne abbiamo uno solo da quando tu hai soffiato la vita in noi e ne avremo uno solo fino alla fine del tempo stesso!”. Toccato dalle parole dell'uomo, il Creatore intervenne. Vide la strada che la prima donna stava percorrendo e cominciò a far crescere delle piante ai suoi piedi per rallentarla. Da un lato crebbero le more selvatiche, dall'altro i mirtilli, ma lei continuò il cammino. Allora fece crescere i ribes (uva spina), ma ancora, lei non si curò di essi e continuò il cammino. Il Creatore, però, sapeva di doverla rallentare a tutti i costi, così andò nel suo giardino, prese una manciata di piantine di fragole e le piantò sula terra. Quando atterrarono ai piedi della prima donna, cominciarono a crescere, fiorire e maturare. La prima donna si fermò a vedere gli splendidi rami e bacche della piantina di fragole, e si chinò per assaggiarne una. Appena mangiò la fragola dimenticò la sua rabbia e, preso un cestino, lo riempì velocemente e tornò verso il marito. Il primo uomo, intanto, si stava affannando per raggiungere la moglie e rimase sorpreso quando la vide tornare, e oh! Come batteva il suo cuore! Lei era sorridente! Lei mise la mano nel cestino, prese una fragola e la mise nella bocca del marito. Lui sorrise e ringraziò il Creatore. Presa la sua mano, la moglie lo condusse sul sentiero di casa, mangiando insieme le fragole lungo la via. |
La leggenda di Lupo Solitario Si narra che molte lune orsono nella tribù del popolo degli uomini, che voi bianchi battezzaste con il nome di Sioux, vivesse una principessa così bella e radiosa e che ogni mattina al suo risveglio ella trovasse una rosa nel suo tepee proprio accanto al suo viso. Ella era molto corteggiata ed i più giovani e forti guerrieri della tribù facevano a gara per portare a suo padre Orso Saggio i più bei cavalli e le armi più decorate come voleva l'uso per chiedere la mano della principessa. E da tutte le tribù vicine ella era conosciuta ed amata e sarebbe stato fortunato colui che avesse avuto il suo cuore. Alba Radiosa , questo era il nome che la tribù le aveva dato per la sua solarità, viveva gaia e felice quindi in attesa di scegliere il suo compagno come era in uso nella tribù. Poco distante dall'accampamento, ai limiti della foresta, viveva in una modesta capanna un guerriero di nome Lupo Solitario, egli non era bello e nemmeno più giovane ma il suo cuore batteva per Alba Radiosa e batteva così forte che, quando vedeva la principessa, sembrava che i tamburi di guerra tuonassero all'unisono! Ed era lui che ogni notte sfidava le ire di Orso Saggio per posare la rosa accanto alla principessa. Una notte però calda e afosa la principessa si svegliò proprio mentre lui poneva la rosa accanto a lei. Lei gridò, Orso Saggio si destò e colpì col suo coltello Lupo Solitario al cuore. Ma la madre terra dea dei Sioux ebbe pietà di Lupo e lo tramutò in una costellazione, la Costellazione del Lupo. E se guardi a destra dell'Orsa Minore la vedrai e se ascolterai bene udrai anche un ululato lontano nella foresta al limitare dell'accampamento della tribù degli uomini è il lamento di Lupo Solitario per il suo amore mai realizzato. |
Un ragazzo orfano viveva in un villaggio indiano sulle rive del Grande Fiuma, in una capannuccia di fango. Non era molto robusto, non sapeva ancora cacciare perchè era troppo giovane e così, per mangiare, doveva chiedere un boccone a questo e a quello. C'era chi non voleva dargli niente e gli diceva: -Vattene, buono a nulla, mangiafumo! perchè dovremmo sprecare il buon cibo per te che non sei buono a nulla? Ma c'era anche chi cercava di aiutarlo, come il capo della tribù, che ora gli dava un buon pezzo di carne, ora una focaccia, ora un paio di mocassini. In quei tempi lontani, gli Indiani non avevano cavalli, il Grande Spirito si era dimenticato di donarglieli, perciò andavano a piedi e, se c'erano dei pesi da portare, o usavano i cani o si li mettevano in spalla. Ogni primavera, quando le prime mandrie di bisonti giungevano nella prateria, gli Indiani lasciavano il villaggio, si mettevano in caccia per procurarsi carne e pellicce e stavano lontani per lungo tempo. Il ragazzo rimaneva solo, non sapeva come arrangiarsi per mangiare e diventava sempre più debole e più stanco. Com'era triste aggirarsi tra le capanne deserte! e così accadde anche quella primavera. Una mattina, all'alba, la sentinella che stava di vedetta in cima alla collina lanciò un grido: - I bisonti! arrivano i bisonti! In pochi minuti il villaggio si svuotò. I cacciatori, con lance archi e frecce, correvano verso la prateria avvolti in una nube di polvere. Il ragazzo si sedette sulla soglia della sua capanna, pensando a quanto sarebbe stato bello starsene con gli altri, cacciare, affrontare il pericolo tutti insieme. Era così abbattuto che si mise a piangere disperatamente. Grosse lacrime gli scivolarono sul viso e cadero nella polvere del terreno. D'improvviso gli sembrò di udire una voce che gli diceva: - Non rattristarti così, fai qualcosa, piuttosto! Si guardò intorno, stupito. Chi aveva parlato? perchè? e che cosa poteva fare lui, così debole? ai suoi piedi la polvere bagnata di lacrime si era trasformata in fango, e quel fango gli suggerì un'idea. Ecco, avrebbe modellato qualcosa! - Un cane, magari - si disse._ Così non mi sentirò più tanto solo. Raccolse una manciata di quel fango e cominciò a lavorarla. A quel punto, accadde qualcosa di davvero strano: invece delle corte zampe del cane, ecco che le sue mani stavano modellando quattro zampe lunghe e agili, munite di zoccoli! e anche la testa non somigliava per niente a quella di un cane, era più lunga, con le orecchie aguzze, e sul collo c'era qualcosa che sembrava una criniera- La schiena poi, molto robusta, finiva con una coda lunga e folta che non aveva niente di canino. Il ragazzo guardò la strana bestia che aveva modellato, sospirò e mormorò: - Forse mi sono distratto. Proverò di nuovo. Ma anche questa volta dalle sue mani uscì un animale identico al primo. Allora li posò a terra tutti e due, l'uno accanto all'altro: sembrava che volessero correre via, galoppare lontano. Che cosa strana, stranissima! improvvisamente, il ragazzo si sentì piombare adosso una gran stanchezza, chiuse gli occhi, si addormentò e fece un sogno. Sogno il Grande Spirito che gli sorrideva e gli diceva: -Sono stato io a farti modellare quei due animali che si chiamano "cavalli" e servono sia per portare pesi, sia per viaggiare veloci, cavalcandoli. Però adesso sono troppo piccoli: per farli crescere in fretta e bene, per farli diventare grandi come quelli che hanno i Visi Pallidi, portali in riva al Grande Fiume e lasciali pascolare per quattro giorni interi. Poi il Grande Spirito tacque e scomparve in una nuvola. Il ragazzo si svegliò, afferrò le due statuette di fango e le portò in riva al Grande Fiume, là dove l'erba cresceva più verde e alta. Immediatamente, quelle due creature di fango che il Grande Spirito aveva chiamato "cavalli" , diventarono vive, cominciarono a nutrirsi mangiando l'erba e, istante dopo istante, diventavano un pò più grandi. Al tramonto, il ragazzo condusse i cavalli al villaggio e li mise al riparo dal freddo della notte dentro la sua capanna. All'alba del giorno dopo li riportò al fiume e li vide mangiare e crescere così tanto che, quella sera, non riuscirono a entrare nella capanna di fango e trovarono posto in quella del capo tribù, molto più spaziosa. Lo stesso caccadde il terzo giorno. La mattina del quarto, il ragazzo fece una galoppata nei dintorni, non si era mai sentito tanto felice e importante; ora la gente del villaggio non lo avrebbe più disprezzato e considerato un buono a nulla! Ed era tanto eccitato che dimenticò l'ordine del Grande Spirito di far pascolare gli animali per quattro giorni interi, in modo da farli diventare grandi come quelli dei Visi Pallidi e poi a lui, sembravano già così grandi e forti! Ora avrebbe raggiunto i cacciatori nella grande prateria per mostrare loro quello che era riuscito a fare. Non vedeva l'ora di sentire le loro esclamazioni di meraviglia davanti a quei nuovi animali! Nella prateria c'erano molte tracce di bisonti in fuga e, seguendole, il ragazzo raggiunse la sua gente. Il viaggio era stato breve, in groppa a uno dei cavallini che correva, mentre l'altro lo seguiva con la criniera al vento. Quando il capo tribù e i cacciatori videro arrivare il ragazzo con i due animali, gli corsero incontro, sbalorditi e, dopo che lui ebbe raccontato tutto, lo acclamarono e dissero che era il ragazzo più in gamba di tutto il paese........altro che un buono a nulla! Dall'alto delle nubi, il Grande Spirito osservava la scena ed era molto arrabbiato perchè il ragazzo non gli aveva obbedito: non aveva fatto pascolare i cavallini quanto lui voleva ed erano più piccoli dei cavalli dei Visi Pallidi. Riflettè un pò e pensò che, dopotutto, quei cavallini sarebbero stati più veloci degli altri, più adatti alla caccia e meno visibili da lontano, tra le alte erbe della prateria; allora sorrise e dimenticò la sua rabbia. Da quel giorno i piccoli cavallini degli Indiani si chiamarono "pony" che significa propio piccoli cavalli. Il ragazzo che, su suggerimento del Grande Spirito, li aveva portati alla sua gente crebbe, diventò grande e forte, il cacciatore più bravo di tutti e, quando il capo della tribù morì, prese il suo posto e governò saggiamente per molti, moltissimi anni. |
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