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Per Alberto Sighele “Tu sei tutto fino al settimo cielo”

“Tu sei tutto, fino al settimo cielo” è un viaggio letterario e metafisico che travolge e trascina il lettore in un vortice di immagini fino all’apoteosi finale.

Professore in lingue, l’autore Alberto Sighele “gioca” fin dal primo capoverso con gli opposti, il “tu” ed il “tutto”, “l’inizio e la fine”, un viaggio adrenalinico in ascesa in cui siamo guidati per esempi ed immagini come in un video clip, dove la musica di accompagnamento sono il suono stesso delle parole.

 

Sighele-Yurchenko

(Nella foto: Alberto Sighele, autore di “Tu sei tutto fino al settimo cielo” con la compagna artistica e di vita Roza Yurchenko)

 

Come la foglia che collabora all’interno della chioma o la radice, che nell’insieme dell’apparato radicale nutre e sostiene la parte aerea e speculare dell’albero, se ognuno di noi è di per sè unità singola non sarà mai solo se si relaziona con il prossimo:

“nessuno è solo, se è uno con l’universo.” (1°c.)

Motore, spinta e collante di tutto è l’Amore:

“l’uno era uno, ma non sapeva di sè […] Poi è venuto il due, tu, l’onda, il respiro, la culla, l’incontro, e mentre ti vedo e ti tocco, ecco, capisco chi sono. […]In te vedo me e questa simmetria è l’anima mia. 

[…] Ma importante è quante volte ti volterai a guardarmi, a dirmi nel segreto della mente: amore. E allora io sentirò un fremito […] e capirò, nel silenzio che scenderà tra di noi, che questo è un inizio.” (2°c.)

[…] E si parte, accettando l’irruenza del vulcano che ti amo

[…] e se tutto è amore, e l’universo è vivo, non solo il mio corpo, anche ogni popolo… Se anche la terra è un essere vivente ed ogni galassia, lascia che io porti te con me. Perché c’è un posto, ed è il corpo, dove il cuore, colmo di cosmo, […] si riverbera nel tutto, l’amore che muove il sole e le altre stelle.” (7°c.)

E la citazione a Dante Alighieri, nell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte, non si limita al tema dell’amore, ma riprende l’immagine del vortice che scende nelle viscere e sale al divino per poi tornare sulla Terra con acquisita consapevolezza di sé.

In chiave eclettica e profana viene ripreso l’uso ripetuto della numerologia sia in chiave strutturale (il testo si snoda in sette strofe di sette versi scanditi da sette accenti), che simbolica forse reminiscenza degli studi teologici dell’autore.

L’uno del primo canto è il singolo, che tramite l’amore diviene fautore di creazione in ogni sua accezione (creazione come atto, creazione di vita, generatore di una linea temporale che è sua ma anche condivisa da altri e dunque del tempo, ecc.) e dunque è divino come il suo Creatore.

Ma è anche provocatoriamente il senso dell’olfatto, che percepisce e invia verticalmente le informazioni alla lingua ed al cervello, sede del pensiero e della tensione mistica al sette tradizionalmente inteso come simbolo della perfezione umana.

“Al naso di Dante io mi inchino e al suo senso divino”

Perché se la persona che amiamo rappresenta il numero due

“…ognuno, nel due, capisce sé stesso, siamo specchio”

il tre narrato nel terzo canto rappresenta la molteplicità degli altri da noi, che richiede responsabilità perché “…ogni azione è causa di un effetto”sia esso causa dell’ascesa di un tiranno, del razzismo o l’incosciente espandere della pandemia di coronavirus.

Come in Dante il numero tre indica la perfezione ma anche l’assoluto opposto, è il diaframma, che separa la cavità toracica da quella addominale, è il centro della lotta fra la scelta individuale del bene e del male.

Il quattro del quarto canto dal Medio Evo indica la perfezione morale verso cui tendere, in una continua ricerca verso l’alto come il re di Corinto Sisifo, che riacquista l’antica accezione greca Σίσυφος (Sísyphos) “uomo saggio” e nel suo ciclo rappresenta il rinnovarsi del sole come delle quattro stagioni, della vita.

“… La tua fede sposta le montagne. […] Sisifo, tu sei l’albero della vita […] Nel settimo cielo del tuo slancio di linfa. Qui trionfa la tua natura di albero della conoscenza […] riparti, risorgi, fiorisci nel tuo slancio entusiasta di vita”.

E se fare ciò per cui si esiste rientra nella Natura di Sisifo, delle cose (es. il cuore con i suoi quattro ventricoli batte perché è la sua natura) e di ciascuno di noi, allora ” La felicità è la facilità di essere, di tessere la tua esistenza. E allora la domanda che comanda la tua felicità è chi sei.”.

Nel cinque pitagorico del quinto canto c’è la perfetta unione, l’equilibrio dato dal raggiungimento della coscienza di sé con la spinta al fare del desiderio “motore della coscienza”. 

E l’equilibrio è bellezza intesa come Venere – donna, opposto e complemento dell’uomo, armonia generatrice di amore divino (è la Tiferet (תפארת) dell’albero della vita) e fisico nella simmetria perfetta delle forme, è il numero sei.

Il sette del settimo canto ci ricorda che è nella mente che si ricongiunge il tutto:

“le fontanelle […] Sono quelle aperture nel tuo cranio

Attraverso le quali dalle stelle, il cosmo, è scesa la divinità in te

Il colmo della realizzazione del sé è che tu torni al tutto in su”

 

centro di un costante flusso fisico e metafisico, luogo di incontro e scelta delle possibilità dell’Uomo, vizi e virtù, nella sua valenza positiva simbolo della consapevolezza.

Dall’incontro dei numeri tre (centro della lotta personale fra bene e male) ed il sette (la consapevolezza) si genera una spirale, una forza propulsiva al desiderio sia esso materiale (nel senso meramente fisico degli amanti) che spirituale nel ricongiungimento più alto al numero dieci, simbolo della perfezione da Pitagora (tetractys) a Dante al cattolicesimo nell’incontro misericordioso di Dio (la Trinità) con l’Uomo (la completezza: 7 i vizi capitali e le virtù cardinali, 7 i sensi, 7 i colori primari percepiti nella luce ed i toni interi nella scala musicale, settimo il giorno del riposo dalla Creazione…) in un tutto che è “uno”.

“I sensi sono sette, cinque per sentire, il sesto per intuire,

il sette è già oltre.”

 

“Dieci sono le dita, la vita.

Ma tre e sette è l’avvitamento […] Materia e spirito.”

 

“Dante è bene ringraziarlo, comunque, per il tre che è divino,

divino fino al sette”

 

Anche il numero otto entra in gioco inconsapevolmente fin dall’inizio: benché l’autore dichiari il volume composto da sette strofe di sette versi con sette accenti, è evidente che l’introduzione diventa un canto a sé stante, l’ottavo, a sua volta strutturato come i canti dichiarati ufficialmente.

L’otto è un numero divisibile in due cifre pari e uguali (4+4) ulteriormente suddivisibili in parti equivalenti di 2, già da Pitagora era indicato come esempio di uguaglianza ed equità, da cui la ripresa pagana nei tarocchi con l’arcano della Giustizia; in geometria rappresenta l’ottagono o stella ad otto punte (simbolo della forma attiva, il principio maschile) contenuta in un esagono (simbolo della forma passiva, il principio femminile), nel cristianesimo indica la vita eterna attraverso la Resurrezione di Cristo in primis e dell’Uomo poi.

Il numero “otto” è dunque il simbolo di equilibrio cosmico infinito, come la tensione fra i due elementi maschile e femminile che è vortice doppio di materia e spiritualità.

“L’otto è l’eterno, siamo già immortali, io e te nel sé.”

 

Contro i fanatismi:

“La croce o la mezza luna imperiale è il male. Il dentro che è andato fuori,

vuol comandare la realtà con paura e potere dall’esterno. Questo è l’inferno” (1°c.)

 

e le discriminazioni:

“Il vestito fa la finzione, la funzione sociale, il potere, la paura, la prigione.

E’ strumento di oppressione” (2°c.)

“la Cina […] La disprezzo per quello che ha fatto al Tibet e al dissenso interno”

“Non accetto il segreto di stato sulla pandemia”

“Dal ginocchio sul collo al negro […] la polizia dalla facile violenza.” (3°c.)

“Putin sputa veleno dalla cerbottana del potere, sibila menzogne.

Ammazza oppositori, ricatta.” (7°c.)

 

interviene l’equilibrio: il dittatore prende coscienza della forza della folla, il violento può essere fermato dalla coscienza collettiva e la Giustizia, la paura di un virus è vinta dalla riscoperta del senso di comunità, i legacci dell’apparenza si sgretolano di fronte alla semplicità del dono di sé, i fanatismi si possono combattere con la filosofia, Yin e Yang, la libera presa di coscienza che solo nell’equilibrio c’è amore e vita, e che la morte è una menzogna nell’infinito movimento rigenerativo dell’Universo:

 

“L’unico capitale, la coscienza, in libero mercato”

“Noi siamo / parte della coscienza che crea

[…] E la coscienza universale con me, in me,

attorno e attraverso me, crea, in creazione continua, la danza

della realizzazione.” (5°c.)

 

“tutto è amore, armonia, simmetria, reciprocità degli opposti” (6°c.)

 

“E’ nella meditazione la meta iniziale, poi la vedrai

operare nei fatti concreti.” (1°c.)

 

Attraverso la meditazione giungiamo alla consapevolezza che l’Universo persegue il suo equilibrio, noi ne facciamo parte e agiamo reciprocamente in questo sistema circolare tramite il desiderio, che si genera nel cuore e spinge all’azione (il vortice). E solo se il desiderio è conforme all’equilibrio universale, ovvero amore, porta alla realizzazione di sé e del prossimo.

Alla fine del settimo canto, dunque, l’autore conferma la sua tesi iniziale, ovvero che l’amore è il motore dell’Universo e delle sue singole parti, compreso l’essere umano nella sua individualità, proprio come l’uomo-Dante Alighieri riconobbe in finale del “Paradiso” (XXXIII, v. 145) che è “l’amor che move il sole e l’altre stelle” nella perfezione del movimento circolare della creazione continua. Certo, benché il sentimento che muove gli autori conduca in entrambi i casi al miglioramento di sé e del prossimo, l’amore che muove nella Commedia l’uomo-Dante Alighieri è tipico del Dolce Stil Novo, tendenzialmente spirituale e Beatrice l’idealizzazione del sentimento, quasi una madonna da guardare e non toccare, che nulla ha in comune con il rapporto reale fra l’autore antico e la sua sposa effettiva. Invece Alberto Sighele compie il circolo e “ritorna” con carne e sangue a dimostrare che l’equilibrio nella vita si raggiunge non dimenticando, anzi, tenendo sempre presente il rapporto con l’altro, tanto più con il nostro “reciproco” che ci completa nell’anima e nel corpo.

L’equilibrio infinito non può prescindere dal primo, né dimenticare il secondo che lo realizza completamente e può solo renderci migliori.

Raggiunta la consapevolezza, si potrebbe dire che il motto “Make love, not war” (fate l’amore, non la guerra) di Gershon Legman (Scranton, Pennsylvania 2.11.1917 – Opio, Francia 23.2.1999) riassuma in modo grezzo (non gretto!) il generoso incitamento alla vita di “Tu sei tutto fino al settimo cielo”, un’opera rivolta a tutti noi ma dedicata alla sua meravigliosa compagna, Roza Yurchenko, fiore del suo giardino, radice della sua storia, colonna sicura e ramo che lo avvolge e lo accompagna fino al “settimo cielo”.

Come annunciato in apertura del componimento e di questa analisi, il testo sigheliano è un vortice che può travolgere il quieto lettore come un odierno spettatore di fronte alla verve teatrale del “fu” Antonio De Curtis, e solo assecondando il moto irruento delle immagini, sensazioni, citazioni, riproposizioni e metafore veniamo introdotti e condotti verso una consapevolezza che intrinsecamente è già nostra, va solo riscoperta così “ci farà liberi, perché ognuno troverà in esso il suo posto”.

 

“La tua coscienza è lo strumento, ed è tutto dentro te. Azione da meditazione.” (1°c.)

 

Roza Yurchenko-e-Alberto Sighele fotografati dall'artista Gentile Polo per_Ali di farfalla_6 Marzo 2021_Galleria Kunst Grenzen-Arte di frontiera Alberto Sighele e Roza Yurchenko per_Ali di farfalla_6 Marzo 2021_Galleria Kunst Grenzen-Arte di frontiera

(Foto d’archivio: Roza Yurchenko e Alberto Sighele, autore di “Tu sei tutto fino al settimo cielo”, fotografati dall’artista Gentile Polo durante l’evento dedicato alle donne “Ali di farfalla – Ali di farfalla 2021” al Kunst Grenzen-Arte Galleria di frontiera a Roverè della Luna.)

 

L’autore d’altronde ha coltivato da sempre la parola come insegnante di lingue straniere, come poeta e artista di poesia visiva o “pittura fonetica” come lui stesso suole definirla. Nelle sue opere visive recupera gli esperimenti delle Neoavanguardie del XX sec. dove il segno verbale e l’immagine interagiscono senza rapporti di subordinazione, ma si fondono in perfetto equilibrio: l’estetica non è più solo un parametro dell’immagine ma anche del segno grafico; mentre però con il termine “poesia visiva” si prendono in considerazione i sensi del tatto nello scrivere e della vista, Alberto Sighele fa un passo ulteriore per comprendere nell’opera anche i sensi del gusto e dell’udito, da cui la sua definizione di “pittura fonetica”: l’inconsistenza della grafia delle lettere si fonde con la fisicità dell’immagine (anche spinta all’estremo nei generosi corpi di donna spesso presi a motivo) ed acquisisce forza tridimensionale nell’atto della pronuncia dei fonemi (suoni singoli delle unità linguistiche) del testo, mai fini a sé stessi ma strettamente connessi al soggetto espresso nel suo insieme, in un vortice di sensi il cui messaggio vuole arrivare all’anima.

Ecco, dunque, che la ricerca nella “pittura fonetica” di fusione dei sensi in un rapporto di armonioso equilibrio e reciprocità, come nelle composizioni poetiche, sono l’estrinsecazione coerente del messaggio sigheliano che davvero in ogni ambito della vita “tutto è amore, armonia, simmetria, reciprocità degli opposti” e riacquisire questa consapevolezza può solo migliorare il rapporto con noi stessi e gli altri e condurci “fino al settimo cielo”.

 

(Testo e analisi critica di Lucia Martorelli – Studio d’Arte Gentile Polo, del 17 Marzo 2021,

per “Tu sei tutto fino al settimo cielo” di Alberto Sighele. Vietata la riproduzione,

anche parziale del testo previa richiesta e approvazione da parte dell’autrice.)

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Per Alberto Sighele “Tu sei tutto fino al settimo cielo”ultima modifica: 2021-03-17T18:16:27+01:00da lucia.martorelli