Cos’era

groebli

René Groebli, Untitled

I
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; la sua azzurrezza, l’ombra che lasciava,
che cadeva, riempiva l’oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea
di se’ descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
affoga in se’, qualcosa che va, un’alluvione di suono, ma meno
di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e cosi’ sempre,
e sempre perche’, e solo perche’, essendo stato, era…

II
Era l’inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.
Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l’ora che pareva dire
che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai piu’ chiesto nulla. Era quello. Senz’altro era quello.
Era anche l’evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne ando’, come doveva, nessun dolore riusciva
a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa
dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello
dimenticato da lei, la penna che lei lascio’ sul tavolo.
Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.

Mark Strand

Il prato bianco

39887687443_5b9df5456c_b

Porto in salvo dal freddo le parole,

curo l’ombra dell’erba, la coltivo

alla luce notturna delle aiuole,

custodisco la casa dove vivo,

dico piano il tuo nome, lo conservo

per l’inverno che viene, come un lume.

Francesco Scarabicchi

Un incontro fortuito con la poesia, turbato dal caos che proviene dalla finestra aperta e inopportuna; occorre ripristinare il silenzio perché il senso di uno scritto non sempre è di immediata intelligibilità. Ma guai se a governare fosse l’immediatezza di ciò che si legge; s’apparenterebbe alla banalità.

(It’s just a thought, only a thought)

Puvis, il simbolista che amò una piccola acrobata e la rese immortale

Destinato a diventare un ingegnere minerario come il padre, Pierre Puvis de Chervannes interruppe gli studi per una grave malattia, e dopo un viaggio in Italia capì che era nato per dipingere. Allievo di Couture e Delacroix, si guadagnò l’ammirazione di Van Gogh, Matisse e Cézanne ma il successo era di là da venire: al Salon di Parigi i suoi lavori saranno rifiutati otto volte.

Il suo stile che si connotava per sottrazioni, allegorie e colori sbiancati, a sottolineare temi sociali, suscitò polemiche ma fu anche di ispirazione per tutti i simbolisti europei.

Pierre-Puvis-De-Chavannes-Young-Girls-at-Seaside

Pierre Puvis de Chervannes, Girls at Seaside

Curiosità di ordine sentimentale

Nel 1885 Puvis  incontra la sua musa, Marie Clementine Valadon, una ragazzina che fa l’acrobata; dapprima modella e poi amante del pittore, Marie Clementine finisce col diventare essa stessa pittrice. Sarà  Toulouse-Lautrec a sceglierle come nome d’arte Suzanne, e in qualità di Suzanne Valdon entrerà di diritto nella storia dell’arte.