Quando lottiamo con la nostra parte oscura e inconciliati ci pieghiamo al domandare assiduo, non è insensato muovere in direzione della persona che il destino ci ha sottratto. Nottetempo, cedendo alle lusinghe del sogno, tendiamo una mano all’ailleurs e sovvertiamo la storia di Enea e Didone: non fugga Enea né si dia la morte Didone, ma insieme, trionfanti, cancellino la linea destinale voluta dagli dèi.
Al risveglio, non costituirà motivo di stupore il dischiudersi di un orizzonte nuovo, e questa volta non l’obliquità del tempo né le asimmetrie dell’inganno disgiungeranno la vita dalla morte.
Fonte di ispirazione:
“Trovo del tutto ragionevole la credenza celtica secondo la quale le anime di coloro che abbiamo perduti sono imprigionate in qualche essere inferiore, un animale, un vegetale, un oggetto inanimato, perdute davvero per noi fino al giorno, che per molti non arriva mai, nel quale ci troviamo a passare accanto all’albero o a entrare in possesso dell’oggetto che ne costituisce la prigione. Allora esse sussultano, ci chiamano, e non appena le abbiamo riconosciute, l’incantesimo si spezza. Liberate da noi, hanno vinto la morte, e tornano a vivere con noi”.
Marcel Proust, Dalla parte di Swann