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La critica recente, figlia dei nostri giorni,  pare stia tralasciando se non dimenticando del tutto quel messaggio unico e sconvolgente  che il regista  Ingmar Bergman seppe imporre sulla scena culturale e cinematografica dalla metà degli anni 50 ai primi anni 60 del secolo scorso. Si tratta di un’interrogazione acuta, dolorosa, incandescente rivolta al silenzio di Dio. Forse mai nessuno, almeno nel mondo del cinema aveva osato spingersi così avanti nel mettere il Trascendente al centro della scena a partire da una propria domanda interiore che nei film del periodo avvertiamo vivida e lacerante mentre viene assunta e rappresentata nei personaggi che vi si susseguono. Bergman non faceva mistero di esserci lui dietro il cavaliere Antonius Block de Il settimo sigillo o dietro il professor Isac Borg de Il posto delle fragole e così via. La sua ricerca angosciata, i suoi dubbi, le sue domande assumevano la forma di  un’eco che dalle sale cinematografiche svedesi si diffondeva nella società facendosi fervente dibattito culturale che ampliandosi  a cerchi concentrici raggiungeva gli altri paesi d’Europa e  altri continenti. Ripercorriamo questa stagione irripetibile mantenendo uno sguardo anche al nostro tempo.

 

 

Davide Bersan è nato in provincia di Verona e da molti anni vive e lavora a Milano. Ha svolto studi teologici conseguendo la licenza in teologia spirituale presso la pontificia università Gregoriana di Roma. Da molto tempo lavora nel campo delle cure psichiatriche.  Negli ultimi anni i suoi interessi si sono rivolti ad approfondire  argomenti di spiritualità, psicanalisi e  cinema. Con Polimnia ha pubblicato  Figure del padre in Ozu, uscito a febbraio 2020. Gestisce un blog (https://blog.libero.it/wp/cinemadiozu/) in cui pubblica alcuni dei suoi interventi e altri contributi.

NUOVA PUBBLICAZIONEultima modifica: 2021-09-05T21:32:02+02:00da david.1960