Ozu e Yasushi: devozione filiale e smarrimento esistenziale

Albero

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C’è un collegamento tra le pagine di “Ricordi di mia madre” di Inoue Yasushi e i due film di Ozu che scegliamo di considerare: “Tarda primavera” e “Il gusto del sakè”. E’ il tema del rapporto filiale espresso con toni e accenti di un pudore estremo che si equipara solo all’intensita dei sentimenti che allo stesso tempo tace e rivela. E’ anche un’introduzione al modo orientale e in particolare giapponese di dare corpo e voce alle emozioni e ai sentimenti.
Qui ci occupiamo di quelli che scorrono tra figli e padri, nel libro, solo in alcune pagine iniziali, tra un figlio e un padre (il resto del libro è dedicato agli ultimi anni dell’anziana madre), nei due film di Ozu citati, sarà tra una figlia e suo padre.

Ozu non è uno che vuole rimanere alla superficie dei rapporti, come già visto nel suo film del 1942 “C’era un padre” egli vuole arrivare al cuore della relazione, al momento autentico in cui si disvela qualcosa di profondamente umano. Di solito arriva a questo momento attraverso uno o più momenti critici, in cui nell’animo dei personaggi si svolge una crisi che non è eccessivo definire drammatica anche se esternamente pare non succedere quasi nulla. Nel film citato questi momenti potevano essere quei ripetuti distacchi che il bambino deve affrontare rispetto la figura paterna che vede suo malgrado allontanarsi da lui, distacchi che non finiranno con la raggiunta età adulta ma la perdita ineluttabile che generano fa parte della legge della vita che va accettata con serenità lasciandosi colmare di quel sentimento “oceanico” di commozione malinconica e struggente.

Riprendendo il filo che lega la lettura del libro di Yasushi alla visione dei film di Ozu ci accorgiamo che non c’è solo il tema della pietà filiale o comunque di quella partecipazione dei sentimenti e delle complicazioni che ne derivano tra figli e padri ma anche il grande tema della solitudine esistenziale. E’ un tema che troveremo certamente in “Tarda primavera”, dove la scena finale ne è come la quintessenza consegnata alla sublimazione artistica, ma addirittura come prevalente su altri ne “Il gusto del sakè”. Del resto è l’ultimo film di Ozu che morirà l’anno successivo, nel 1963, e il quello stesso anno sarà la sua cara madre ad andarsene, lasciando solo il figlio che con lei viveva nella loro casa di Kamakura.

Nelle pagine di Yasushi c’è il senso di smarrimento che coglie nel momento in cui vengono meno le persone che pur nel loro limite hanno costituito un baluardo di senso e come delle coordinate per navigare nel mare della vita. Il senso di smarrimento indugia nelle riflessioni che l’essere umano da sempre ha coltivato rispetto la fine che tutti ci aspetta e il momento della morte.

Yasushi dice che la morte del padre e il progressivo decadimento mentale della madre gli hanno aperto davanti lo scenario della morte che prima era come velato da un sipario che era la stessa esistenza dei propri genitori. Del padre egli dice “non mi ero prima mai accorto che con il suo vivere mi aveva protetto”, e da che cosa lo aveva protetto se non dal pensiero della morte, della fine di tutte le cose. Era lui infatti in prima linea e questo è il compito di un padre rispetto un figlio, il suo primo compito: proteggerlo dalla morte.

Il tema dello smarrimento di fronte al mistero della vita e della morte è affrontato anche da Ozu che lo coglie nell’atteggiamento del padre che alla fine rimane solo, lui che non ha fatto niente per evitare di rimanere solo, altrimenti avrebbe per egoismo rovinato la vita anche di sua figlia. Il suo agire onestamente per il bene degli altri della famiglia lo consegna di nuovo al suo destino di solitudine. Ma ciò non produce in lui cupa disperazione o una rabbia malcelata perché ciò che alla fine egli vive è una sorta di tristezza che lo congiunge con una malinconia cosmica che è anche dolcezza e movimento calmo.

Ciò che contempliamo soprattutto nelle scene finali di “Tarda primavera” ma anche de “Il gusto del sakè” è piuttosto l’accettazione serena anche se attraversata da momenti di dolore e di sconforto di ciò che non può non accadere: il prendere la propria strada da parte della figlia che lascia un vuoto incolmabile nella casa e un senso di disgregazione e sfaldamento nella famiglia. E’ l’accettazione pacificata di quello che deve compiersi che come è nato alle stagioni della vita così ora deve seguirne il corso ed essere consegnato al suo destino di maturazione e consumazione. Certo si tratta della fine di un percorso, dell’estinguersi di un ciclo naturale, dell’ ineluttabilità di un morire. Ma tutto ciò è tuttavia nell’ordine stesso delle cose che nel loro ciclico morire e rinascere è come fossero governate e custodite da un cuore pulsante di senso.

Ozu e Yasushi: devozione filiale e smarrimento esistenzialeultima modifica: 2024-01-30T16:52:55+01:00da david.1960