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Cap 2. Gaia …

“Non ti amo come fossi rosa di sale,
topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco,
t’amo come si amano certe cose oscure, segretamente, tra l’ombra e l’anima.
Ti amo come pianta che non fiorisce e reca dentro di sé, nascosta,
la luce di quei fiori,
e grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il denso aroma che sale dalla terra.”

P.Neruda

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Vecchie foto in bianco e nero, conservate in un cassetto e che non guardavo da anni, diventano adesso la sorgente dei miei ricordi: ne scelgo una, mi siedo sul divano e la rigiro tra le mani.
Mi piace il contatto con la carta fotografica, non mi sono mai abituato al comodo e sterile rapporto visivo con le moderne immagini che affollano la memoria del mio computer ma nulla richiamano alla mia.
Guardo quella foto come se quel momento non sia mai appartenuto alla mia vita, come se quel bambino un tempo non fosse stato me e gli invidio quell’istante mentre  maledico “il tempo” che alle volte porta via con se
le sensazioni più preziose insieme a nostri anni migliori.

Silenziosi e delicati, quasi avessero timore di potermi ferire in qualche modo, risalgono alla superficie ricordi antichi per tenermi compagnia, siedono vicino a me e richiamano sensazioni dimenticate che riescono a  profumare l’aria di tenera malinconia: io non ho dimenticato quell’episodio e siano benedetti i nostri genitori  per aver voluto rendere eterno quell’istante con una foto.

Il primo giorno di scuola media è sempre il piu’ difficile per un bambino, con nuovi ambienti, nuovi insegnanti, un’atmosfera meno giocosa di quella vissuta negli anni precedenti, diverse responsabilità e, cosa importante,  un nuovo compagno di banco ma senza alcuna libertà di poter scegliere liberamente quello che per cinque anni ti sarà fratello e complice, amico e supporto, daimon e confidente durante quella lunga esperienza scolastica.
La decisione insindacabile di assegnarmi un posto al primo banco e proprio di fronte la cattedra, sembrava essere il presagio di una serie di eventi negativi che avrebbero disegnato, da lì in poi,  la mia quotidianità scolastica, previsione poi rafforzata dall’imbarazzo nello scoprire che il mio compagno di banco era una “lei”.

I primi mesi di scuola furono per me a dir poco irti di ostacoli, affetto da una precoce miopia e da una timidezza ostinata riuscivo a copiar male quasi tutto ciò che veniva scritto sulla lavagna ed a tenere la bocca saldamente chiusa durante una interrogazione, inanellando di conseguenza una serie di voti insufficienti cui facevano seguito i rimproveri urlati dei miei genitori nonchè la percezione da parte della Maestra che io fossi un irrimediabile ciucco: tu al contrario eri la prima della classe, sempre in grado di rispondere a qualsiasi domanda e su qualsiasi argomento, i tuoi compiti scritti venivano  premiati con un “10”, tenevi la testa piegata su libri e quaderni oppure bella dritta a seguire le parole dell’insegnante.
Tra noi due pochissime parole di circostanza, giusto “buongiorno” all’inizio delle lezioni e “ciao” al suono della campanella; credo di aver odiato te giusto quanto il senso di vergogna per dover giustificare ogni giorno agli altri compagni “maschi” la disavventura incolpevole di dover dividere quelle ore
con una femminuccia e per di piu’ secchiona .

La prima settimana di dicembre fu deciso di sottoporre la classe ad un compito scritto di matematica, il peggiore tra i miei incubi, la metafora dell’inaccessibilità per l’essere umano sul volere del fato e la conferma di quanto Sun Tzu andava declinando tipo “se conosci il nemico  e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico , le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.” ed io non sapevo nulla di matematica e neppure di me .
Il lunedì di quel malaugurato compito passai le ore a disposizione per trovare soluzione al problema desiderando avere a portata di mano una calcolatrice elettronica od un numero superiore di mani poichè le dieci dita che possedevo in tutto non erano sufficienti a tenere a mente i conti che provavo a fare.
Alla fine della fiera, compito consegnato e corretto, sul mio foglio di quaderno un tristo “4” sottolineava la mia incapacità a saper far di conto mentre sul tuo un delicato “10” si andava a mettere ordinatamente in fila agli altri tuoi successi scolastici: tornai a casa a testa bassa, mi rifiutai di cenare e la sera a letto pregai di poter morire e togliermi di torno per sempre.

Per fortuna i bambini vivono meglio degli adulti il presente e dimenticai subito la sofferenza per l’ennesima sconfitta contro i numeri, la scuola sarebbe rimasta chiusa per le festività di tutti i Santi, le giornate autunnali erano sempre soleggiate, il pallone di calcio reclamava il suo tempo ed i miei piedi e per qualche giorno mi sarei liberato della tua presenza invisibile e della matematica in un colpo solo.
Ma “le belle stagioni non durano sempre” e “piove sempre sul bagnato” e così, al rientro da qual breve periodo vacanziero, l’insegnante ci comunicò che avrebbe organizzato una interrogazione in matematica per poterci consentire di recuperare la media sul compito precedente e per aiutare tutti a raggiungere almeno la sufficienza a coloro che non avessero superato l’esame orale sarebbe stato permesso di affrontare un compito scritto di riparazione: ero spacciato !

Il giorno dell’ esame io fui il primo ad essere chiamato alla gogna della lavagna, rimasi imbambolato a guardare  numeri e parentesi disegnati dal gessetto, mi grattai un paio di volte la testa, riportai le varie espressioni matematiche provando a ricordare cosa volesse dire “risolvere un’equazione significa determinare i valori numerici che, sostituiti al posto dell’incognita, rendono vera l’uguaglianza” , tornai al mio posto a testa bassa ma sentendomi addosso lo sguardo sconfitto della mia insegnate che doveva aver mollato con me qualunque aspettativa di riscatto:
Tu fosti chiamata alla lavagna dopo di me, io tenevo gli occhi sul banco, non avevo nessuna voglia di assistere alla tua ennesima sfacciata vittoria sulle trame ordite dalle equazioni per rendere infernale la vita ad un bambino, sentivo lo stridio rapido del gessetto nelle tue mani che disegnavano formule sulla lavagna e, dopo alcuni minuti, fui risvegliato  da quel torpore dimesso dall’urlo della Maestra- “Gaia ma dove hai la testa oggi !? Torna al tuo banco per favore !”_
Rimasi allibito nel constatare che Gaia, la prima della classe, con tutta la sua secchionagine avesse sbagliato quella equazione e venisse rispedita al banco come un paria della matematica e cominciai a gioire dentro di me: anche lei si era fatta male con le sue stesse mani, tardi ma efficacemente la giustizia dei reietti saldava il conto, Dio dunque esisteva ! Il mio ghigno interiore perse però il suo entusiasmo nel vedere Gaia ritornare al banco senza proteste nè atteggiamento di sconfitta alcuno: si rimise a sedere ed a tenere la testa alta e lo sguardo verso la lavagna.

Alla fine di quel supplizio rimanemmo in classe solo in otto, cioè coloro che non avevano superato l’interrogazione alla lavagna, ci furono distribuiti i fogli con su scritto il problema, diverso per ognuno di noi, ci fu data un’ora di tempo per risolverlo ed io al solito mi ritrovai perso tra numeri e formule e con la consapevolezza cruda che non ne sarei venuto a capo: ed invece la vita mi sorprese, forse per la prima volta ma non per l’unica volta.
Il bidello chiamò l’insegnante per farle firmare dei registri ed in quel momento, mentre lei era distratta, una manina dalla mia destra mi passo’ rapida un foglio: il mio problema si trovava lì sopra e con lui la soluzione!
Copia di corsa tutto, appallottolai il foglio e lo nascosi dentro gli slip, nessun insegnante sarebbe venuto sin li per frugarmi.

Il tuo compito fu premiato col solito dieci e con una carezza da parte della maestra per festeggiarlo, alla correzione del mio compito osservai finalmente un abbozzo di sorriso sul volto di quella donna che guardandomi disse – ” Finalmente ! Ci siamo riappacificati co sta’ matematica eh? Hai fatto  alcuni passaggi inutili ma sei comunque arrivato alla soluzione giusta, ti do un bell’otto e così pareggiamo il disastro dell’altra volta  !”-

Tornai a casa “suonato” come un pugile, tu avevi scientemente sbagliato l’esame alla lavagna per potermi aiutare in quello scritto, avevi risolto il mio compito oltre al tuo e non solo mi avevi permesso di copiarlo senza che io lo avessi chiesto, ma avevi addirittura fatto in modo che nessuno potesse capire che eri stata tu a farlo al posto mio.

La mattina dopo feci di tutto per arrivare prima di te, volevo ringraziarti prima dell’inizio delle lezioni, ma
quando ti vidi il cuore cominciò inspiegabilmente a correre come un matto e le guance diventarono rosse facendo salire il loro calore alla testa e l’unico segnale di vita che riuscii a manifestare fu un goffo sorriso stampato sulla faccia mentre le mani rimanevano intrecciate: tu posasti la tua mano sulle mie e cominciasti allora a ridere, nel volto, negli occhi e nel cuore, di una risata coinvolgente, quella stessa che avrebbe risuonato nella mia anima tantissime altre volte negli anni a seguire .

Cap 2. Gaia …ultima modifica: 2020-01-22T19:26:44+01:00da amore_imperfetto