Cap 5 : la tua mano sulla mia anima…

Poggi la tua mano sul mio petto,
mentre non me lo aspetto
o lo fai mentre sto parlando
ed io quasi non mi accorgo che lo stai facendo.
Non mi è semplice spiegare ma in quel momento
accade qualcosa:
ho la sensazione forte che la tua mano
superi la mia pelle e lo sterno,
oltrepassi i tessuti per raggiungere il mio cuore
e scivoli cauta tra le pieghe della mia anima
dove prova a sistemare paure e dubbi,
carezzare fatiche e lacrime.

“Ma cosa mi stai facendo Gaia?”
e tu sorridi e ritiri dolcemente la mano,
ma hai lasciato la sua impronta
sul mio cuore.

82504088_2709401269181483_8118486133681160192_n

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

P.Neruda

80679861_824921084612662_8693665598455939072_n

esperienza …

L’esperienza è quella insegnante un po’ originale:
prima ti fa l’esame
e dopo ti spiega la lezione.

Ho reso sinora complicata la mia esistenza
preoccupandomi di quello che poteva accadermi di non desiderato,
programmando eventuali soluzioni per me
qualora le mie paure immaginarie avessero preso sembianze reali:
in molti casi quei timori non hanno mai preso forma
ed io avevo solo sfiancato la mia testa e depotenziato il mio spirito,
in altri eventi i cambiamenti sono stati inarrestabili
e tutto il mio pensare per prevenirli o modificarli inutile e sfiancante.

Adesso vengo avvisato dell’arrivo di un uragano,
mi si consiglia di pensarci a tempo,
di prepararmi all’urto:
io me ne sto seduto su divano a leggere un libro
quando dovrei preoccuparmi,
annaffio le piante
mentre dovrei darmi da fare per evitare l’impatto,
medito immerso nel silenzio
invece di chiamare e farmi aiutare.

Adesso ho capito,
ho compreso che gli eventi accadono
non perchè non siamo stati bravi a prevenirli
ma semplicemente perchè accadono: punto.

Quando il paventato diverrà reale
io so già adesso che saprò cosa fare dopo,
Esperienza mi ha insegnato.

Love_Sitting_Two_Boys_Little_girls_Bench_Hug_Back_552131_3840x2160

Cap. 4 : noi…

 

Così siamo diventati amici,fratello e sorella, complici, confidenti.
Da quel famoso esame le nostre vite scelsero di legarsi
con un filo rosso al polso,
per avere la sensazione di essere comunque vicini
nonostante si venisse separati per un po’ da diverse circostanze.

bambini-fidanzati_280x0_2

Le giornate ci vedevano insieme a fare i compiti, leggere un libro,
giocare ad immaginare mondi e situazioni fantastiche: eravamo inseparabili
e per fortuna i nostri genitori cominciarono a frequentarsi regolarmente anche tra loro
il che ci permise di vederci spesso dopo la scuola
anche negli anni a venire.

Io non provai mai una cotta per te e credo neppure tu per me;
tu non eri “una ragazza”, eri una parte di me
ed innamorarci l’uno dell’altra inconcepibile
poiché  vivevamo già l’una nelle vene dell’altro
e viceversa.

Così quando tu , all’età di 14 anni,
mi presentasti quel Marco come il tuo “ragazzo”
io andai a casa sua a dirgli di brutto
che lo avrei pestato se ti avesse mai fatto del male,
mentre la mia gelosia per il tuo flirt da sedicenne con quel ragazzo del terzo liceo
non era dovuta al fatto che tu avevi aperto il tuo cuore a lui,
quanto al contrarsi conseguente dei nostri momenti.
Tu risolvesti il problema dichiarandoti pronta ad una vita di clausura
purchè io smettessi di sbaciucchiarmi alle feste con una ragazza
ogni mese diversa, e quella proposta
mise fine ai miei scleri e tu trovasti piu’ tempo per me .

e848159a-4c57-4ca1-819a-c060e7751ae0

Terminato il liceo tu mi insegnasti a guidare la mia auto
ed io ti mostravo la sera,
mentre a pancia per aria ammiravamo il cielo notturno,
le stelle ed i pianeti
dei quali conoscevo nomi e caratteristiche
e ti parlavo dei miti che gli uomini avevano inventato su di loro.

 

 

34f11850-8278-4b77-bba8-9a016da4401d

Tutti i lunedì pomeriggio andavamo insieme in libreria,
sceglievamo un libro che attirasse entrambi,
io lo leggevo e tu mi ascoltavi e commentavi: eri piu’ preparata di me in tanti campi, potevi facilmente tenere alta l’attenzione di qualsiasi pubblico parlando di qualsiasi argomento, eppure quando io raccontavo qualcosa tu mi facevi sentire importante e si vedeva che per te era essenziale che io mi sentissi tale quando passavamo del tempo insieme.

                    Alla fine dell’università io mi trasferii a Padova per un master in ingegneria mentre tu iniziasti a girare il mondo con la tua fotocamera ed il tuo block notes, internet si era diffuso e ci si teneva in contatto con la posta elettronica: non riuscimmo a vederci per i successivi tre anni.

Quando io sposai Teresa tu mandasti un regalo di auguri ed una cartolina dalla Patagonia,
dopo due anni mi inviasti tu la tua partecipazione di nozze con un tale che faceva il giornalista
e chiedesti a me di farvi da testimone: dopo il matrimonio vi trasferiste a Londra e le nostre vite sembrarono prendere strade diverse mentre la nostra rispettiva quotidianità frenetica e gli impegni famigliari
ridussero le nostre comunicazioni
agli auguri per le diverse festività ed in occasione dei compleanni .

E la nostra storia entro’ a fare parte dell’album dei bei ricordi.

cat-and-fairy

sei pronto a tornare a casa ?…

E Dio chiese allo spirito felino:
Sei pronto a tornare a casa?
Sì, proprio così, rispose la preziosa anima,
E, in quanto gatto, sai che sono capace
Di prendere decisioni da solo

Dunque, ritorni? chiese Dio.
Subito, rispose l’angelo con i baffi,
Ma devo farlo lentamente
Perché i miei amici umani sono in difficoltà
Essi, capisci, hanno sicuramente bisogno di me.

Ma non lo capiscono? chiese Dio,
Che non li lascerai mai?
Che le vostre anime sono unite per l’eternità?
Che nulla è creato o distrutto?
È solo… per sempre.

Alla fine lo capiranno
Rispose il gatto glorioso
Perché sussurrerò ai loro cuori
Che io sarò sempre con loro
Io sono solo… per sempre.

gatto-e-arcobaleno-3-ridotto1-480x330

la leggenda del ponte dell’arcobaleno

 

“Proprio alle soglie del Paradiso esiste un luogo chiamato il Ponte dell’Arcobaleno.
Quando muore un animale che ci è stato particolarmente vicino sulla terra,
quella creatura va al Ponte dell’Arcobaleno.

E’ un posto bellissimo dove l’erba è sempre fresca e profumata,
i ruscelli scorrono tra colline ed alberi
ed i nostri amici a quattro zampe possono correre e giocare insieme.
Trovano sempre il loro cibo preferito,
l’acqua fresca per dissetarsi ed il sole splendente per riscaldarsi,
e così i nostri cari amici sono felici:
se in vita erano malati o vecchi qui ritrovano salute e gioventù,
se erano menomati o infermi qui ritornano ad essere sani e forti
così come li ricordiamo nei nostri sogni di tempi e giorni ormai passati…

Qui i nostri amici che abbiamo tanto amato stanno bene, eccetto che per una piccola cosa,
ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto speciale che ha dovuto lasciarsi indietro…

Così accade di vedere che durante il gioco qualcuno di loro si fermi improvvisamente e scruti oltre la collina,
tutti i suoi sensi sono in allerta, i suoi occhi si illuminano
e le sue zampe iniziano a correre velocemente verso l’orizzonte, sempre più veloce…

Ti ha riconosciuto e quando finalmente sarete insieme,
lo stringerai tra le braccia con grande gioia, una pioggia di baci felici bagnerà il tuo viso,
le tue mani accarezzeranno di nuovo l’amata testolina
e i tuoi occhi incontreranno di nuovo i suoi sinceri che tanto ti hanno cercato,
per tanto tempo assenti dalla tua vita, ma mai dal tuo cuore..

E allora insieme attraverserete il Ponte Arcobaleno per non lasciarvi mai più.”

depositphotos_91555156-stock-photo-silhouette-of-a-woman-with

ai gatti riesce…

i gatti riesce senza fatica ciò che resta negato all’uomo:
attraversare la vita senza far rumore.
(Ernest Hemingway)

cat-loves-woman

Ode al Gatto

Gli animali furono imperfetti
lunghi di coda
plumbei di testa
piano piano si misero in ordine
divennero paesaggio
acquistarono nèi grazia volo
il gatto
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso
nacque completamente rifinito
cammina solo
e sa quello che vuole

l’uomo
vuole essere pesce e uccello
il serpente vorrebbe avere ali
il cane è un leone spaesato
l’ingegnere vuol essere poeta
la mosca studia per rondine
il poeta cerca di imitare la mosca
ma il gatto
vuol solo essere gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda
dal fiuto al topo vivo
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro

non c’è unità come la sua
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione
è una sola cosa
come il sole o il topazio
e l’elastica linea del suo corpo
salda e sottile
è come la linea della prua
di una nave
i suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola fessura
per gettarvi le monete della notte

oh piccolo
imperatore senz’orbe
conquistatore senza patria
minima tigre da salotto
nuziale sultano del cielo
dalle tegole erotiche
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi e posi
quattro piedi delicati
sul suolo
fiutando
diffidando
di ogni cosa terrestre
perchè tutto
è immondo
per l ‘immacolato piede del gatto

oh fiera indipendente della casa
arrogante vestigio della notte
neghittoso ginnastico
ed estraneo
profondissimo gatto
poliziotto segreto delle stanze
insegna di un irreperibile velluto
probabilmente non c’è enigma
nel tuo contegno
forse non sei mistero
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso
forse tutti si credono padroni
proprietari parenti di gatti
compagni colleghi
discepoli o amici
del proprio gatto

io no
io non sono d’accordo
io non conosco il gatto
so tutto
la vita e il suo arcipelago
il mare e la città incalcolabile
la botanica
il gineceo coi suoi peccati
il per e il meno della matematica
gli imbuti vulcanici del mondo
il guscio irreale del coccodrillo
la bontà ignorata del pompiere
l’atavismo azzurro del sacerdote
ma non riesco a decifrare un gatto
sul suo distacco la ragione slitta
numeri d’oro
stanno nei suoi occhi

( Pablo Neruda )

1

non “è solo un gatto”…

 

Il dolore vuole il suo spazio tesoro,
non vergognartene,
accettalo ed amalo se riesci:
è Alaska che ti insegna ad amare il dolore.

LetteraDonnaGatto1

Tratto dal libro “È solo un gatto”

“è solo un gatto ” una frase che tutti ci siamo sentiti dire almeno una volta quando è morto un nostro amico a quattro zampe. È una frase molto fastidiosa che genera un’istantanea antipatia nei confronti di chi la pronuncia . Di solito chi la proferisce non ha mai avuto gatti ,o li ha avuti tanti anni fa se invece ha gatti c è seriamente da preoccuparsi. La parola incriminata è quel «solo-» che ti risuona dentro e ti fa sentire confusa ,quasi in colpa perché stai soffrendo come una matta per «solo» un gatto e che ti fa sentire improvvisamente una marziana. Nel migliore dei casi chi la pronuncia ha un intenzione consolatoria e tenta di placare il dolore sminuendo la situazione. Oppure pensa di farti un piacere richiamandoti al principio di realtà. Non hanno capito che la realtà tu ce l hai ben presente ,lo sai che è morto«solo» un gatto . Lo sai che non era né un cavallo né un criceto. E sai anche benissimo che « nella vita ci sono tragedie peggiori» (la banalità e la superficialità di certe argomentazioni mi lasciano tremendamente perplessa) Ebbene dire«ma è solo un gatto» non è consolatorio ,anzi ,ti fa mancare ancora di più quel solo gatto che ti ha riempito il cuore; ti fa capire che esistono delle frasi che fanno solo da spartiacque . Se mi dici è «solo» un gatto non fai proprio per me . Ciao Chicco,mi manchi tanto .Sei stato «solo-» un gatto ,ma mi hai dato più di tanti bipedi . È opinione molto comune che uno dei modi più efficaci per aiutare chi soffre sia minimizzare l’accaduto; in realtà accade il processo contrario,ovvero il tentativo di deprezzare ciò che è successo produce un senso di solitudine e incomprensione maggiore in chi sta soffrendo per una sciocchezza,una cosa da nulla. La sofferenza non trova legittimazione nell’altro e a volte,fatica a essere legittimata anche da noi stessi . Questo ci impedisce di sentire pienamente il nostro dolore ,e rende più impervia la strada verso la risoluzione del lutto. La frase è«solo-» un gatto può essere letta anche come un tentativo di razionalizzazione dell’evento, come se un bagno di realtà potesse in qualche modo essere d’aiuto,dimenticando che ,nelle persone in lutto ,non manca la consapevolezza della realtà,ma più frequentemente,la comprensione della loro sofferenza soggettiva . Aiutare una persona in lutto significa comprendere appieno che quel gatto ,per lei o lui ,rappresenta qualcosa che va oltre la sua semplice definizione ontologica. Era «solo» un gatto,ma per la sua interiorità era un amico,un confidente,un compagno di vita ,un membro della famiglia ,un «qualcuno»a cui voler bene. Elaborare un lutto infatti non vuol dire dimenticare ciò che abbiamo perso ,significa creare nuovo spazio mentale per accoglierlo sotto una diversa forma. Attraverso i ricordi,per esempio ,e le emozioni che si accompagnano a essi. L l’elaborazione di un lutto non è mai un processo totalmente spontaneo. Presuppone fatica,impegno e dedizione in chi si trova ad affrontarlo . Ignorare il proprio dolore ( per vergogna,per paura o per qualsiasi altro motivo )non lo farà sparire magicamente. Anzi ,la sofferenza non espressa, spesso rallenta e blocca il processo del lutto che, per essere risolto ,deve essere attraversato; dunque occorre avere il coraggio e la pazienza di concedersi di stare male per qualcuno che abbiamo amato e che adesso non è più con noi ,esternando apertamente i propri sentimenti. Non reprimete le vostre lacrime dunque,e non abbiate paura di stare troppo male . La sofferenza non si distrae e non s’infiamma. Solo attraverso la sua espressione,che aiuta a prenderne consapevolezza,si riuscirà a evolvere verso una migliore accettazione della perdita e a una riorganizzazione della propria vita. Usando una metafora,” gli arcobaleni sono possibili solo dopo che una tempesta ha avuto modo di sfogarsi”.

FB_IMG_1579767191205

Cap 3. Abitudini…

Mi sveglio e mi alzo dal letto, vado in cucina, preparo il caffè.
Mentre attendo che la caffettiera inizi a gorgogliare leggo il giornale e quando inizia a farlo abbasso la fiamma, guardo il caffè fare la sua schiuma, spengo la fiamma e lo verso in una tazzina di ceramica, lo bevo senza fretta.
Lavo la tazzina, vado in bagno, mi lavo e vesto,
mi siedo al buio per la mia mezz’ora di meditazione
e per un ‘altra mezz’ora eseguo alcuni esercizi di ginnastica: così ogni mattina.
Ho apprezzato anni fa quanto le abitudini possano essere preziose
per non lasciare spazio ai pensieri, sopratutto a quelli dolorosi:
l’ho imparato anni fa, quando l’angoscia per la tua assenza
sembrava potermi uccidere.

Adesso sei rientrata nella mia vita,
hai portato con te i ricordi,
ed io ho quasi paura di perdere
quella consapevolezza, con fatica acquisita,
che nulla a questo mondo persiste,
neppure il sentimento piu’ forte,
ma forse la paura piu’ vera
è che quel sentimento
non abbia mai veramente smesso di vivere:
io avevo solo voluto dimenticare
la sua forza
comunque e nonostante.

FB_IMG_1579767191205

 

https://youtu.be/iFEOKuesUks

“Ti penso e cambia il mondo

Affamati come lupi
viviamo in crudeltà
E tutto sembra perso
in questa oscurità
All’angolo e indifeso
ti cerco accanto a me… da soli
gli occhi non vedonoTi penso e cambia il mondo
le voci intorno a me
Cambia il mondo,
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo,
e l’inverno è su di me
ma so che cambia il mondo
se al mondo sto con te.

C’è una strada in ogni uomo,
un’opportunità
il cuore è un serbatoio
di rabbia e di pietà
Credo solo al tuo sorriso
nel senso che mi dà
Da soli… gli occhi non vedono

Ti penso e cambia il mondo
le voci intorno a me
Cambia il mondo
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo
e l’inverno è su di me
Lo so che cambia il mondo
se al mondo sto con te

Io sono qui… ti aspetto qui
Oltre il buio mi vedrai
Saprò difenderti… proteggerti
e non stancarmi mai
Acqua nel deserto… ti troverò
Dormi e si vedrà
Ti sentirai accarezzar
Ti penso e cambia il mondo
le facce intorno a me
Cambia il mondo
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo
E l’inverno è su di me
Ma so che cambia il mondo
se al mondo sto con te”

scuola

Cap 2. Gaia …

“Non ti amo come fossi rosa di sale,
topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco,
t’amo come si amano certe cose oscure, segretamente, tra l’ombra e l’anima.
Ti amo come pianta che non fiorisce e reca dentro di sé, nascosta,
la luce di quei fiori,
e grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il denso aroma che sale dalla terra.”

P.Neruda

scuola

Vecchie foto in bianco e nero, conservate in un cassetto e che non guardavo da anni, diventano adesso la sorgente dei miei ricordi: ne scelgo una, mi siedo sul divano e la rigiro tra le mani.
Mi piace il contatto con la carta fotografica, non mi sono mai abituato al comodo e sterile rapporto visivo con le moderne immagini che affollano la memoria del mio computer ma nulla richiamano alla mia.
Guardo quella foto come se quel momento non sia mai appartenuto alla mia vita, come se quel bambino un tempo non fosse stato me e gli invidio quell’istante mentre  maledico “il tempo” che alle volte porta via con se
le sensazioni più preziose insieme a nostri anni migliori.

Silenziosi e delicati, quasi avessero timore di potermi ferire in qualche modo, risalgono alla superficie ricordi antichi per tenermi compagnia, siedono vicino a me e richiamano sensazioni dimenticate che riescono a  profumare l’aria di tenera malinconia: io non ho dimenticato quell’episodio e siano benedetti i nostri genitori  per aver voluto rendere eterno quell’istante con una foto.

Il primo giorno di scuola media è sempre il piu’ difficile per un bambino, con nuovi ambienti, nuovi insegnanti, un’atmosfera meno giocosa di quella vissuta negli anni precedenti, diverse responsabilità e, cosa importante,  un nuovo compagno di banco ma senza alcuna libertà di poter scegliere liberamente quello che per cinque anni ti sarà fratello e complice, amico e supporto, daimon e confidente durante quella lunga esperienza scolastica.
La decisione insindacabile di assegnarmi un posto al primo banco e proprio di fronte la cattedra, sembrava essere il presagio di una serie di eventi negativi che avrebbero disegnato, da lì in poi,  la mia quotidianità scolastica, previsione poi rafforzata dall’imbarazzo nello scoprire che il mio compagno di banco era una “lei”.

I primi mesi di scuola furono per me a dir poco irti di ostacoli, affetto da una precoce miopia e da una timidezza ostinata riuscivo a copiar male quasi tutto ciò che veniva scritto sulla lavagna ed a tenere la bocca saldamente chiusa durante una interrogazione, inanellando di conseguenza una serie di voti insufficienti cui facevano seguito i rimproveri urlati dei miei genitori nonchè la percezione da parte della Maestra che io fossi un irrimediabile ciucco: tu al contrario eri la prima della classe, sempre in grado di rispondere a qualsiasi domanda e su qualsiasi argomento, i tuoi compiti scritti venivano  premiati con un “10”, tenevi la testa piegata su libri e quaderni oppure bella dritta a seguire le parole dell’insegnante.
Tra noi due pochissime parole di circostanza, giusto “buongiorno” all’inizio delle lezioni e “ciao” al suono della campanella; credo di aver odiato te giusto quanto il senso di vergogna per dover giustificare ogni giorno agli altri compagni “maschi” la disavventura incolpevole di dover dividere quelle ore
con una femminuccia e per di piu’ secchiona .

La prima settimana di dicembre fu deciso di sottoporre la classe ad un compito scritto di matematica, il peggiore tra i miei incubi, la metafora dell’inaccessibilità per l’essere umano sul volere del fato e la conferma di quanto Sun Tzu andava declinando tipo “se conosci il nemico  e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico , le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.” ed io non sapevo nulla di matematica e neppure di me .
Il lunedì di quel malaugurato compito passai le ore a disposizione per trovare soluzione al problema desiderando avere a portata di mano una calcolatrice elettronica od un numero superiore di mani poichè le dieci dita che possedevo in tutto non erano sufficienti a tenere a mente i conti che provavo a fare.
Alla fine della fiera, compito consegnato e corretto, sul mio foglio di quaderno un tristo “4” sottolineava la mia incapacità a saper far di conto mentre sul tuo un delicato “10” si andava a mettere ordinatamente in fila agli altri tuoi successi scolastici: tornai a casa a testa bassa, mi rifiutai di cenare e la sera a letto pregai di poter morire e togliermi di torno per sempre.

Per fortuna i bambini vivono meglio degli adulti il presente e dimenticai subito la sofferenza per l’ennesima sconfitta contro i numeri, la scuola sarebbe rimasta chiusa per le festività di tutti i Santi, le giornate autunnali erano sempre soleggiate, il pallone di calcio reclamava il suo tempo ed i miei piedi e per qualche giorno mi sarei liberato della tua presenza invisibile e della matematica in un colpo solo.
Ma “le belle stagioni non durano sempre” e “piove sempre sul bagnato” e così, al rientro da qual breve periodo vacanziero, l’insegnante ci comunicò che avrebbe organizzato una interrogazione in matematica per poterci consentire di recuperare la media sul compito precedente e per aiutare tutti a raggiungere almeno la sufficienza a coloro che non avessero superato l’esame orale sarebbe stato permesso di affrontare un compito scritto di riparazione: ero spacciato !

Il giorno dell’ esame io fui il primo ad essere chiamato alla gogna della lavagna, rimasi imbambolato a guardare  numeri e parentesi disegnati dal gessetto, mi grattai un paio di volte la testa, riportai le varie espressioni matematiche provando a ricordare cosa volesse dire “risolvere un’equazione significa determinare i valori numerici che, sostituiti al posto dell’incognita, rendono vera l’uguaglianza” , tornai al mio posto a testa bassa ma sentendomi addosso lo sguardo sconfitto della mia insegnate che doveva aver mollato con me qualunque aspettativa di riscatto:
Tu fosti chiamata alla lavagna dopo di me, io tenevo gli occhi sul banco, non avevo nessuna voglia di assistere alla tua ennesima sfacciata vittoria sulle trame ordite dalle equazioni per rendere infernale la vita ad un bambino, sentivo lo stridio rapido del gessetto nelle tue mani che disegnavano formule sulla lavagna e, dopo alcuni minuti, fui risvegliato  da quel torpore dimesso dall’urlo della Maestra- “Gaia ma dove hai la testa oggi !? Torna al tuo banco per favore !”_
Rimasi allibito nel constatare che Gaia, la prima della classe, con tutta la sua secchionagine avesse sbagliato quella equazione e venisse rispedita al banco come un paria della matematica e cominciai a gioire dentro di me: anche lei si era fatta male con le sue stesse mani, tardi ma efficacemente la giustizia dei reietti saldava il conto, Dio dunque esisteva ! Il mio ghigno interiore perse però il suo entusiasmo nel vedere Gaia ritornare al banco senza proteste nè atteggiamento di sconfitta alcuno: si rimise a sedere ed a tenere la testa alta e lo sguardo verso la lavagna.

Alla fine di quel supplizio rimanemmo in classe solo in otto, cioè coloro che non avevano superato l’interrogazione alla lavagna, ci furono distribuiti i fogli con su scritto il problema, diverso per ognuno di noi, ci fu data un’ora di tempo per risolverlo ed io al solito mi ritrovai perso tra numeri e formule e con la consapevolezza cruda che non ne sarei venuto a capo: ed invece la vita mi sorprese, forse per la prima volta ma non per l’unica volta.
Il bidello chiamò l’insegnante per farle firmare dei registri ed in quel momento, mentre lei era distratta, una manina dalla mia destra mi passo’ rapida un foglio: il mio problema si trovava lì sopra e con lui la soluzione!
Copia di corsa tutto, appallottolai il foglio e lo nascosi dentro gli slip, nessun insegnante sarebbe venuto sin li per frugarmi.

Il tuo compito fu premiato col solito dieci e con una carezza da parte della maestra per festeggiarlo, alla correzione del mio compito osservai finalmente un abbozzo di sorriso sul volto di quella donna che guardandomi disse – ” Finalmente ! Ci siamo riappacificati co sta’ matematica eh? Hai fatto  alcuni passaggi inutili ma sei comunque arrivato alla soluzione giusta, ti do un bell’otto e così pareggiamo il disastro dell’altra volta  !”-

Tornai a casa “suonato” come un pugile, tu avevi scientemente sbagliato l’esame alla lavagna per potermi aiutare in quello scritto, avevi risolto il mio compito oltre al tuo e non solo mi avevi permesso di copiarlo senza che io lo avessi chiesto, ma avevi addirittura fatto in modo che nessuno potesse capire che eri stata tu a farlo al posto mio.

La mattina dopo feci di tutto per arrivare prima di te, volevo ringraziarti prima dell’inizio delle lezioni, ma
quando ti vidi il cuore cominciò inspiegabilmente a correre come un matto e le guance diventarono rosse facendo salire il loro calore alla testa e l’unico segnale di vita che riuscii a manifestare fu un goffo sorriso stampato sulla faccia mentre le mani rimanevano intrecciate: tu posasti la tua mano sulle mie e cominciasti allora a ridere, nel volto, negli occhi e nel cuore, di una risata coinvolgente, quella stessa che avrebbe risuonato nella mia anima tantissime altre volte negli anni a seguire .

finestra

Cap 1. I ricordi …

“Il ricordo di un amore non svanisce facilmente
il ricordo di un amore rimane tuo per sempre
ed in un attimo è malinconia
che non va più via
il ricordo di un amore riaccende il cuore
divampa il dolore
e la nostalgia
di una vita che non è più la stessa
Una lieve dolcezza che ha fatto provare l’ebrezza
di qualcosa di irripetibile…
Assale un brivido
che scuote dentro…
Il ricordo di una amore fa passare ore
davanti alle parole scritte
di una storia finita
con le lacrime agli occhi
ed un sorriso dolcemente amaro.
Il ricordo di un amore è per sempre…”

 

finestra

Sono rimasto immobile ad osservarti, con gli occhi increduli, il respiro sospeso, il cuore in affanno;
persino i pensieri che affollavano la mia mente di prima vederti, si sono ammutoliti .
E’ stato un caso che io fossi lì oggi, una imprevista visita di cortesia ad un amico cui mi legano anni di vita condivisa come i tanti acciacchi recenti e lasciato a morire in quel luogo dai suoi figli ; è stato un caso che l’infermiera mi intimasse di passasse da quel salone e non dal corridoio dal pavimento bagnato, è stato un caso che la mia distrazione venisse interrotta dal trillare di un telefono e che io mi fossi voltato a guardare verso quella finestra, ed è stato un caso che io decidessi di guardare con attenzione la donna che osservava il giardino del centro per anziani da quella finestra : eri tu.

Sorpresa ed incredulità hanno ceduto spazio, dopo alcuni minuti, al ricordo degli ultimi momenti di esistenza della nostra vicenda umana e del nostro amore clandestino ed impossibile: un dolore antico si è accompagnato alla memoria. Non ci eravamo lasciati bene, in realtà non ci eravamo tecnicamente mai “lasciati” , semplicemente un giorno tu eri scomparsa per me, rapita da un silenzio cui non ho mai avuto il conforto di una spiegazione e la cui sofferenza non è mai stata lenita dal sapere che comunque eri viva e vegeta, un mutismo cui negli anni mi sono rassegnato e ,come in un ossimoro, andando avanti nella mia vita senza superare quel distacco.

Non sapevo cosa fare adesso, non sapevo se avvicinarti e farmi riconoscere, così una inserviente , facendomi notare quanto io fossi d’intralcio al suo lavoro piazzato com’ero al centro del salone , mi ha aiutato a scegliere: mi sono seduto su una poltrona ad una decina di metri da te. Da quella posizione potevo osservarti solo di profilo ma ho avuto dentro di me la conferma che fossi proprio tu. Sembravi piu’ piccola di statura di quanto ricordassi, qualche ruga in piu’ disegnava la parte del tuo volto che riuscivo a scrutare ma i capelli, brizzolati adesso, erano tenuti raccolti dietro con un elastico, proprio come facevi una volta. Un piccolo movimento del capo rivelò per me il ciuffo ribelle che ti accarezzava la fronte e sul quale  un raggio di sole iniziò a giocare col suo riflesso: mi sentii abbracciato da un calore che avevo dimenticato mentre un sorriso inaspettato si faceva largo tra le mie rughe.

Tu eri qui, a pochi metri da me, ma non eri “qui”: il tuo corpo sedeva immobile davanti alla finestra, le mani raccolte l’una sull’altra, indifferente alle numerose voci attorno a te come al trillare continuo ed irritante del telefono presente in sala. Tu eri qui ma sembrava che qualcosa di te, la più importante e vitale, forse la tua anima, fosse ben oltre quella finestra, tra i prati ed i boschi cui il tuo sguardo si stendeva, lontanissima dal tuo corpo e da quel mondo.
Tu eri qui ma io ti avevo perduta per sempre, così mi sono alzato e sono andato via, curvo nella schiena per l’età e nello spirito per la ritrovata tristezza.