INTESA

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“Loretta, ti piace?” Erano sempre queste le parole che mi accoglievano al ritorno a casa, intorno a mezzanotte, l’ora imposta da regole ferree che mio padre ci aveva imposto e che non ci sognavamo di violare.
Guardinga, scarpe in mano, mi affacciavo alla porta, sperando lui fosse già a letto e non controllasse il mio aspetto magari scarmigliato o miei occhi troppo accesi. Ma lui era là, in attesa, e ogni volta era come mi avesse colto in flagrante.
“Ti piace?” ripeteva, sigaretta spenta tra le labbra, sguardo vivo nonostante la luce fioca della stanza satura di fumo. Mi avvicinavo al quadro che stava dipingendo e cercavo di trovare la giusta distanza e la luce favorevole per riuscire a trovare nell’insieme, in un particolare, qualche elemento di discussione. Mi piacevano i suoi quadri e la passione di uno spirito libero. Ci teneva al mio giudizio e grazie a lui, io che non riuscivo a mettere insieme due righe per fare una casa, avevo imparato a conoscere l’arte, soprattutto i pittori impressionisti, perché è a loro che s’ispirava attraverso pennellate forti, dai tratti decisi. Guardavo la tela, le nostre anime erano così simili che già sapevo che cosa non lo soddisfaceva e pennello in mano, sfumava, aggiustava sotto i miei occhi ciò che gli suggerivo, felice fossi lì, nello spazio a lui più congeniale. “Ti sei divertita?” Mi chiedeva senza staccare lo sguardo dalla tela e io avevo imparato a gestire le mie emozioni e le mie risposte ben sapendo che soffriva il distacco che i miei vent’anni avevano creato tra noi. “Come sempre”, gli rispondevo, una risposta vaga, studiata, che manteneva in equilibrio una stabilità precaria. “Eravamo i soliti e abbiamo fatto le solite cose. Cena, musica…”Lui ascoltava mentre imprimeva graffi con le sue pennellate ruvide. E mentre cercavo di controllare gli sbadigli di una stanchezza incombente a quel punto mi dava la buonanotte e gli potevo leggere sul viso un’aria di triste benevolenza.

INTESAultima modifica: 2018-01-11T11:18:32+01:00da lorifu