Il tentativo di distruzione della Chiesa Cattolica e il tradimento del Concilio Vaticano II

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Nel maggio scorso è stato pubblicato un articolo dal titolo: “Lutero infine ha vinto, grazie a Wojtyla e Ratzinger”, a firma del prof. Francesco Lamendola, dove si riaffronta un tema assai antico per tutta la cristianità: la dottrina della giustificazione.

Francesco Lamendola, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia, docente nell’Istituto Superiore “Marco Casagrande” di Pieve di Soligo, collabora con numerose riviste scientifiche e letterarie, con vari siti, ed è presidente dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”. Egli scrive:

Ci sono voluti 500 anni, ma infine Lutero ha riportato piena vittoria, con la sua dottrina sulla giustificazione per mezzo della sola fede (sola fide) sulla dottrina cattolica della giustificazione con la fede e le opere. Non si può dubitare di questo, dopo aver preso contezza del documento intitolato Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, datato 31 ottobre 1999 e sottoscritto dalla Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa cattolica romana. Allora il pontefice era Giovanni Paolo II, che tante anime belle ricordano come il campione dell’ortodossia, sorvolando su inezie come gli incontri di preghiera interreligiosi di Assisi, da lui inaugurati nel 1986, antecedenti diretti del prossimo sabba infernale di Astana; e prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede era il cardinale Joseph Ratzinger, che di lì a cinque anni sarebbe stato a sua volta eletto pontefice col nome di Benedetto XVI e che tante altre anime belle tuttora rimpiangono rispetto a Bergoglio, vedendo in lui l’ultimo papa cattolico prima del diluvio modernista, eretico e apostatico dei nostri giorni”.

Lamendola riporta quindi le osservazioni sulla Dichiarazione fatte da Ratzinger a caldo, prima di divenire pontefice, nel libro-intervista scritto col giornalista Peter Seewald, Dio e il mondo (titolo originale: Gott und die Welt. Glauben und Leben in unserer Zeit, Stuttgart-München, 2000; traduzione dal tedesco di Olivia Pastorelli, Edizioni San Paolo, 2001, pp.412-413):

D. Alla fine del secolo appena trascorso teologi protestanti e cattolici hanno formato la cosiddetta “Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione”, secondo la quale non contano tanto le azioni umane, le “opere”, perché l’uomo è giustificato solo dalla grazia di Dio, indipendentemente dal modo in cui ha vissuto. È davvero un passo significativo in direzione dell’ecumenismo? Non si deve, pur con tutti i punti di convergenza, preservare con la massima precisione anche la specificità della fede perché non corra il rischio di smarrire la propria identità?

R. Non ci è purtroppo riuscito di comunicare fino in fondo il contenuto di questa Dichiarazione di consenso perché nessuno sa più oggi cosa si intenda per “dottrina della giustificazione”. All’epoca di Lutero è stata un tema molto dibattuto, che ha scosso e diviso gli animi, anche se l’avanzata del protestantesimo non era dovuta solo ad essa, ma anche ad esempio, agli interessi dei principi, che si ripromettevano dei vantaggi da una rapida diffusione della Riforma. Oggi non è più un tema che sollevi un grosso interesse, nemmeno nella cristianità protestante. Così l’opinione pubblica ha colto soltanto che ora le opere non contano più davanti a Dio ma solo la fede. Così non è stato solo il pensiero di Lutero a essere grossolanamente semplificato. Si disconoscono soprattutto le questioni che l’uomo moderno pone al cristianesimo. Alla fine, nei cinquecento anni trascorsi dalla Riforma, tutta la cristianità ha fatto nuove esperienze e ha subito un mutamento epocale. Non posso ora entrare nei dettagli. Basti dire che nella “Dichiarazione comune” si è iniziato col confermare che l’inizio di una vita con Dio proviene da Dio stesso. Noi non siamo in grado di innalzarci a lui, lui solo può trarci a sé. Quell’inizio, che porta l’uomo sulla via giusta, è la fede. E la fede è, a sua volta, espressione dell’iniziativa di Dio, che noi non siamo in grado di determinare o di meritare.

La Chiesa cattolica, in sede di elaborazione di questo “Consenso”, ha posto l’accento da un lato sul pieno riconoscimento dell’iniziale intervento di Dio, dall’altro sulla presa d’atto di ciò che l’iniziativa autonoma di Dio opera nel credente. Ha sottolineato il coinvolgimento umano voluto da Dio, che affida all’uomo la responsabilità e lo sollecita a collaborare fecondamente con lui, e ha messo in evidenza il giudizio cui sarà sottoposta la corresponsabilità del credente. Questo è il secondo pilastro di quella dichiarazione, che però è stato recepito scarsamente dalla pubblica opinione.

Per dirla in altri termini. Dio non vuole degli schiavi che lui rende semplicemente retto e che lui stesso non prende sul serio. Vuol avere negli uomini partner effettivi, soggetti reali, messi in grado di collaborare con lui dal dono dell’iniziativa divina e di assumersi la responsabilità di questa collaborazione. Direi che entrambi questi pilastri sorreggono l’impianto della “dottrina della giustificazione”. In loro è stato accolto ciò che dell’esperienza di Lutero corrispondeva davvero alle Scritture. Ma insieme vi è stato immesso ciò che la Chiesa cattolica non ha mai smesso di dire e che è per lei irrinunciabile e si è stabilito un equilibrio tra questi due elementi, tra queste due tradizioni. 

Conclude Lamendola:

È una cosa triste e penosa vedere come Ratzinger si serva della propria raffinata intelligenza per cercar di confondere le idee al lettore, come don Abbondio tentò di fare con Renzo sfruttando la propria conoscenza del latino, lingua che quest’ultimo ignorava. Non potendo negare l’evidenza, e cioè che con la Dichiarazione la Chiesa cattolica si è rimangiata la dottrina professata da sempre della salvezza mediante la fede e le opere, per abbracciare incondizionatamente la falsa dottrina luterana della salvezza mediante la sola fede, fa un complicato giro di parole che si può così sintetizzare: è vero, abbiamo dato ragione a Lutero, ma allo stesso tempo abbiamo ribadito la dottrina cattolica del libero arbitrio, perché Dio non vuole dei servi, ma dei collaboratori volontari. Però l’iniziativa della salvezza parte da Dio, perché l’uomo non è in grado d’innalzarsi fino a Lui: il che equivale a dire che le opere non contano più nulla, ma conta solo la fede. Ratzinger cerca di confondere le acque […] […]”.


Entrare nei meandri della dottrina della giustificazione non sarebbe opportuno in questa sede, né pretendo di possedere le specifiche competenze teologiche (e non filosofiche) strettamente necessarie a questo scopo. Tuttavia vorrei proporre – a partire dalla Sacra Scrittura – delle semplici considerazioni che ritengo fondamentali.

Anzitutto, le affermazioni da fine teologo quale indubbiamente mostra di essere Joseph Ratzinger non fanno – a mio avviso – una sola piega dal punto di vista teologico. Il prof. Lamendola dimentica infatti che, se Ratzinger cerca di confondere le acque, allora dovrebbe muovere tale accusa anzitutto all’apostolo Paolo.

Egli scrive nella Lettera agli Efesini, al capitolo 1,4-6:

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto

Forse, non si riesce a scorgere come il libero arbitrio, sempre garantito all’uomo da Dio stesso, si intreccia con il Suo piano eterno, con il Suo disegno stabilito prima dell’inizio dei secoli: fuori dal tempo quindi. Il grande sant’Agostino, Padre e Dottore della Chiesa, afferma che Dio non ha creato il mondo nel tempo ma con il tempo [1], perché altrimenti il tempo stesso sarebbe una realtà a Dio preesistente.

E come si può pensare, in tale ottica, che Dio non avesse già chiaramente la visione di ogni essere umano che, con la creazione del mondo, avrebbe un giorno anelato a Lui? E che non lo avesse “scelto” prima di ogni suo possibile atto, a Lui già manifesto?

Agostino stesso oscilla continuamente tra predestinazione e libero arbitrio, tra grazia e libertà; perché il libero arbitrio dell’uomo non può non incontrarsi a sua volta con il piano salvifico che Dio ha prestabilito prima dell’inizio dei secoli:

Il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. (Ef 1,10 b-12)

E sempre san Paolo, nella Lettera ai Romani, afferma al capitolo 3,23-28:

Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù.                                              Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge.

Lo studioso ed esegeta Gilberto Marconi scrive in un suo articolo: “Che la concezione rabbinica (non giudaica tout court) della giustificazione confligga con quella paolina era nelle intenzioni del redattore di Rm. [2]” [della Lettera ai Romani, n.d.r.].

Certamente Paolo polemizza con la concezione rabbinica della giustificazione, volendo invece porre nella massima evidenza la necessità dell’iniziativa della grazia divina, senza la quale è impossibile l’osservanza della Legge. Significa quindi che san Paolo pensasse che le opere fossero inutili? Certamente no. Ed infatti concluderà scrivendo:

Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge. (Rm 3,31)

L’osservanza della Legge passa tuttavia necessariamente attraverso la fede, senza la quale diverrebbe vuoto farisaismo.

Come vuote e farisaiche – alla chiara luce della Sacra Scrittura – sembrano apparire certe dissertazioni, che infine conducono alla conclusione, spero non voluta, di dilaniare dal suo interno ulteriormente la Chiesa.

Con l’attacco al Concilio Vaticano II, doveroso in alcuni punti oggettivamente ambigui, in ultima analisi infatti si tenta di travolgere anche i papi Giovanni Paolo IIBenedetto XVI, senza curarsi tuttavia delle conseguenze che da ciò inevitabilmente scaturiscono, e in fondo neanche di quegli stessi fedeli che in quella figura di Vicario di Cristo hanno riposto per tanti anni la loro fiducia e la loro devozione, da entrambi rappresentata degnamente.

Tuttavia “le anime belle” a cui accenna il prof. Lamendola nel suo articolo, forse non sono poi così ottuse come potrebbero apparire ad un primo sguardo superficiale.

Sappiamo bene che il processo di erosione dal suo interno della Chiesa Cattolica è iniziato assai prima dell’insediamento di Bergoglio. Tuttavia sarebbe riduttivo pensare che esso sia iniziato solo con il Vaticano II. E che invece 70-80 anni prima dell’inizio del Concilio – ad esempio – tutto andasse per il meglio. Il processo di erosione della Chiesa Cattolica da parte delle massonerie e delle massonerie ecclesiastiche è da ricercare già nei secoli antecedenti.

Papa Leone XIII pronunciò il 30 giugno del 1889 una solenne allocuzione di condanna e di protesta a motivo dell’erezione, a Campo de’ Fiori a Roma, di un monumento in onore del filosofo eretico Giordano Bruno; denunciando la “lotta ad oltranza contro la religione cattolica” da parte di un mondo moderno ostile alla Chiesa e a Dio. Nel 1896 sempre papa Leone XIII inviò un breve apostolico di apprezzamento e sostegno al Congresso antimassonico internazionale di Trento, dove il 26 settembre – giorno di apertura – si incontrarono 36 vescovi, 50 delegati episcopali e 700 delegati provenienti da varie organizzazioni cattoliche.

Certo, il Vaticano II ha potuto fornire il grimaldello cercato e voluto dalla massoneria ecclesiastica per accedere più facilmente nel progetto di distruzione della Chiesa. Personalmente ritengo tuttavia che se anche il Concilio Vaticano II non fosse mai stato indetto, tale processo, anche se molto più lentamente, probabilmente si sarebbe comunque avviato anche approfittando del lento ma inarrestabile cambio di guardia che sarebbe avvenuto via via nella Curia romana, nelle diocesi, nelle parrocchie e nelle facoltà teologiche.

Mentre molti detrattori del Concilio all’interno della stessa Chiesa, già all’indomani della sua conclusione, possono – a mio avviso – avere involontariamente contribuito ad indebolirlo, opponendo ostinatamente nel tempo un rifiuto assoluto e facilitando in ultima analisi l’opera di coloro che di fatto intendevano servirsi di esso per portar a termine il loro processo demolitivo. Non credo affatto che tutti coloro che contribuirono al Vaticano II, tra cui anche Karol Wojtyla e lo stesso Joseph Ratzinger, fossero animati da quelle intenzioni maligne e distruttive che oggi vengono attribuite loro da alcuni, in maniera spesso affrettata e superficiale.

Lo attesta il Concilio stesso, che in gran parte conferma la perenne dottrina della Chiesa, come già affermato in un editoriale del 21 luglio 2017 apparso su Rorate Coeli anche dal vescovo Athanasius Schneider:

“Il Vaticano II deve essere visto e ricevuto come è e come veramente fu: un concilio prevalentemente pastorale. Questo concilio non aveva l’intenzione di proporre nuove dottrine o quantomeno di proporle in forma definitiva. Nelle sue dichiarazioni il concilio ha confermato in gran parte la dottrina tradizionale e costante della Chiesa”.

Il vescovo ausiliare di Astana in Kazakistan, Athanasius Schneider, rappresenta a tutt’oggi una delle poche voci coraggiose ed autorevoli all’interno della Chiesa Cattolica. E afferma ancora:

“Quanto all’atteggiamento nei confronti del Concilio Vaticano II, dobbiamo evitare due estremi: un rifiuto completo (come fanno i sedevacantisti e una parte della Fraternità San Pio X (FSSPX) o una “infallibilità” di tutto ciò che il Concilio ha detto.

Il Vaticano II è stato un’assemblea legittima presieduta dai Papi e verso questo Concilio dobbiamo mantenere un atteggiamento rispettoso. Ciò non toglie, tuttavia, che ci sia proibito esprimere dubbi fondati o rispettosi suggerimenti di miglioramento su alcuni punti specifici, pur facendolo sulla base dell’intera tradizione della Chiesa e del Magistero costante.

Gli enunciati dottrinali tradizionali e costanti del Magistero nel corso di un periodo secolare hanno la precedenza e costituiscono un criterio di verifica circa l’esattezza degli enunciati magisteriali posteriori. Le nuove affermazioni del Magistero devono, in linea di principio, essere più esatte e più chiare, ma non devono mai essere ambigue e apparentemente in contrasto con le precedenti dichiarazioni magisteriali.

Quelle dichiarazioni del Vaticano II che sono ambigue devono essere lette e interpretate secondo le dichiarazioni dell’intera Tradizione e del Magistero costante della Chiesa.

In caso di dubbio, le affermazioni del Magistero costante (i Concili precedenti e i documenti dei Papi, il cui contenuto dimostra di essere una tradizione sicura e ripetuta nei secoli sempre nello stesso senso) prevalgono su quelle dichiarazioni, oggettivamente ambigue o nuove del Vaticano II, che difficilmente concordano con specifiche affermazioni del magistero costante e precedente […] […].

Dobbiamo liberarci dalle catene dell’assolutizzazione e dell’infallibilità totale del Vaticano II. Dobbiamo chiedere un clima di confronto sereno e rispettoso per amore sincero alla Chiesa e alla fede immutabile della Chiesa.

Possiamo vedere un’indicazione positiva nel fatto che il 2 agosto 2012 papa Benedetto XVI ha scritto una prefazione al volume riguardante il Vaticano II nell’edizione della sua Opera omnia. In questa prefazione Benedetto XVI esprime le sue riserve sul contenuto specifico dei documenti Gaudium et spes e Nostra aetate. Dal tenore di queste parole di Benedetto XVI si evince che difetti concreti in alcune sezioni dei documenti non sono migliorabili dall”ermeneutica della continuità'”.

Mons. Schneider evidenzia qui come Benedetto XVI sia intervenuto sui contenuti di due discussi documenti conciliari allo scopo di fare chiarezza. Certamente non allo scopo “di confondere le idee al lettore” come vorrebbe Lamendola.

Certamente questo adesso non basta, ma è anche vero che Benedetto XVI non ha più la possibilità di intervenire direttamente avendo dovuto rinunciare al ministerium. In merito al Concilio Vaticano II, l’argomento è molto vasto e certamente non esauribile in queste poche righe. Tuttavia vorrei sottolineare come quel contributo prezioso ed originale che esso apportava alla Chiesa sia stato disatteso da oltre 50 anni. Così si pronuncia in merito il vescovo Schneider:

“Il contributo originale e prezioso del Vaticano II consiste nella chiamata universale alla santità di tutti i membri della Chiesa (cap. 5 della Lumen gentium), nella dottrina sul ruolo centrale della Madonna nella vita della Chiesa (cap. 8 della Lumen gentium), nell’importanza dei fedeli laici nel mantenere, difendere e promuovere la fede cattolica e nel loro dovere di evangelizzare e santificare le realtà temporali secondo il perenne senso della Chiesa (cap. 4 della Lumen gentium), nel primato dell’adorazione di Dio nella vita della Chiesa e nella celebrazione della liturgia (Sacrosanctum Concilium, nn. 2; 5-10). Il resto si può considerare in una certa misura secondario, provvisorio e, in futuro, probabilmente dimenticabile, come è avvenuto in passato per alcune dichiarazioni pastorali e disciplinari non definitive di vari concili ecumenici.

I seguenti temi – Madonna, santificazione della vita personale dei fedeli con la santificazione del mondo secondo il perenne senso della Chiesa e il primato dell’adorazione di Dio – sono gli aspetti più urgenti che devono essere vissuti ai nostri giorni. In esso il Vaticano II ha un ruolo profetico che, purtroppo, non si è ancora realizzato in modo soddisfacente.

Invece di vivere questi quattro aspetti, una considerevole parte della nomenclatura teologica e amministrativa nella vita della Chiesa ha promosso, negli ultimi 50 anni e promuove ancora oggi ambigue dottrine, pastorali e liturgiche, distorcendo così l’intenzione originaria del Concilio o abusando delle dichiarazioni dottrinali meno chiare o ambigue per creare un’altra chiesa, una chiesa di tipo relativista o protestante.

Ai nostri giorni, stiamo vivendo il culmine di questo sviluppo”.

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Qualche parola vorrei spenderla anche sull’ennesimo attacco alla memoria di Giovanni Paolo II. Non entro nella questione per cui sia o meno possibile per un credente cattolico pregare insieme ad un credente di un’altra religione, perché richiederebbe troppo tempo.

Tuttavia, in merito all’incontro interreligioso di Assisi, voluto nel 1986 da Giovanni Paolo II, risulta del tutto forzata l’interpretazione secondo la quale il pontefice lo avrebbe voluto per aprire la via all’ormai famoso sabba infernale di Astana. Ricordo bene quell’incontro ed il clima gioioso che l’accompagnò. Credo che la stragrande maggioranza dei fedeli cattolici che furono messi al corrente di quell’evento ne capirono il senso assai più profondamente di quanto non abbia voluto fare quella parte di gerarchia ecclesiastica che si è abilmente servita di esso per distruggere la Chiesa di Cristo. Nessuno allora pensò minimamente che papa Giovanni Paolo II volesse rinunciare anche a un solo millimetro della specificità della dottrina cattolica in nome del dialogo, piuttosto era evidente il tentativo del papa di porsi come presenza del Cristo in Terra che attira tutti a Sé. Semmai quell’incontro avrebbe dovuto esser letto come luogo di annuncio, di evangelizzazione; ricordando come i semi del Verbo [3], quei frammenti di verità, sono presenti in ogni uomo allorché volge il proprio sguardo verso il Trascendente.

Sfido chiunque a negare questa verità. E ad insinuare la malafede del papa in quell’occasione.

Nella lettera enciclica Redemptoris missio sull’urgenza della missionarietà della Chiesa, al paragrafo 3, papa Giovanni Paolo II infatti esorta:

Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo Vangelo nulla toglie alla libertà dell’uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c’è di buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, voi vi aprite alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per arrivare a lui [4].”

Oltre tre milioni di fedeli si riversarono a Roma per rendere omaggio alla salma di Karol Wojtyla dopo la sua morte, avvenuta il 2 aprile del 2005. Il grido unanime, levatosi dalla folla durante la celebrazione del funerale, fu: “Santo subito!”.

Il sensus fidei fidelium dovrebbe ricordare a tutti i detrattori di san Giovanni Paolo II come la Chiesa, i fedeli, abbiano pronunciato la parola definitiva su di lui una volta per tutte.

L’ennesimo attacco al papa polacco, d’altronde, arriva a seguito di quello di vari giornali americani come la testata cattolica progressista National Catholic Reporter e come il New York Times. Proprio il National Catholic Reporter aveva auspicato che “il Vaticano sopprima formalmente il culto di Giovanni Paolo II”, mentre in Polonia le statue che lo raffigurano venivano imbrattate di vernice rossa e vandalizzate. Si leggano bene gli avvenimenti accaduti in Polonia a partire dallo scorso ottobre e le modalità con cui si sospetta siano stati orchestrati da una regia occulta, esperta ed estranea, collocata fuori dal Paese.

Il Rapporto vaticano sull’ex cardinale Theodore Edgar McCarrick ha, di fatto, gettato l’ombra del sospetto sulla figura del pontefice, proprio mentre nello stesso momento in Polonia si consumavano i vili attacchi alle chiese e si vandalizzavano croci e statue, tanto che sacerdoti e fedeli hanno dovuto difenderle fisicamente. Si sono registrati anche dei feriti gravi, fra cui un ragazzo colpito alla testa con un manganello telescopico.

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Un uomo brutalmente aggredito con delle mazze da un gruppo di manifestanti pro-aborto mentre cercava di proteggere una statua di Giovanni Paolo II, nella città di Wołomin, a poca distanza da Varsavia (Foto FB/Żołnierze Chrystusa)


Ma la credibilità del Rapporto vaticano sul cardinale McCarrick è stata duramente attaccata dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti, che ha affermato – lo scorso novembre – durante un’intervista, raggiunto telefonicamente dal conduttore e giornalista televisivo americano Raymond Arroyo, nel corso della sua trasmissione The World Over:

“Mi sembra anche significativo che James Grein, l’unica vittima delle molestie sessuali di McCarrick che ha avuto il coraggio di denunciarlo pubblicamente, non compaia nel Rapporto e che non vi sia traccia della sua testimonianza, nella quale avrebbe riferito anche del viaggio che fece con McCarrick a San Gallo alla fine degli anni Cinquanta.
Dalle dichiarazioni pubbliche di James Grein, è chiaro che l’inizio della scalata di McCarrick – allora era un giovane sacerdote appena ordinato – coincise con quella visita in Svizzera, in un monastero che fu poi sede degli incontri dei congiurati della cosiddetta ‘mafia di San Gallo’. Secondo le dichiarazioni del defunto cardinale Godfried Danneels, quel gruppo di prelati decise di sostenere l’elezione di Bergoglio sia dopo la morte di Giovanni Paolo II sia durante il conclave seguito alle controverse dimissioni di Benedetto XVI.

Ricordo che durante una conferenza alla Villanova University l’11 ottobre 2013, l’allora cardinale McCarrick ammise di aver sostenuto l’elezione del cardinale Bergoglio all’inizio delle Congregazioni generali prima del conclave che si era tenuto pochi mesi prima [a marzo 2013].

Mi chiedo che tipo di affidabilità possa avere un organo giudiziario che abbia un conflitto di interessi così evidente a causa del suo passato rapporto con l’imputato. Come possono Bergoglio e la Segreteria di Stato che dipende da lui fingere di apparire imparziali quando McCarrick è andato in Vaticano con una frequenza anomala, quando nel giugno 2013 è stato incaricato [da Bergoglio] di fare un viaggio diplomatico in Cina? E come non pensare che i loro ripetuti tentativi di insabbiamento e negazione della propria responsabilità siano all’origine dello sforzo sistematico di screditarmi come testimone, per non portare alla luce le complicità e le connivenze che esistono tra loro e McCarrick stesso?”.

Inoltre, è di importanza fondamentale sottolineare come la Polonia di Karol Wojtyla rappresenti oggi l’ultimo baluardo della cristianità e della cattolicità in Europa. Ecco perché il violento attacco sferrato alla Polonia, come quello contro Giovanni Paolo II, il Santo dell’Europa unita all’insegna delle proprie radici cristiane e della propria identità nazionale, dovrebbe preoccupare enormemente il Vecchio Continente e il mondo intero.

Scrive lo studioso e ricercatore Emanuel Pietrobon nel febbraio 2020: “Se nel secolo scorso è dall’Europa che si originavano oltre il 90% delle ordinazioni, oggi l’Europa produce meno del 25% del nuovo clero che entra in funzione annualmente. Osservando i numeri europei più attentamente, si può notare che ogni quattro nuovi preti ordinati uno è polacco; ed è una tendenza consolidatasi negli anni recenti. Nel 2017, ad esempio, in Polonia sono stati ordinati 350 nuovi preti, mentre in tutta l’Europa 1272; ciò significa che i sacerdoti che parlano polacco rappresentano il 26% del totale”.

E mentre sto scrivendo, proprio ora arriva un’altra notizia che non può non lasciare sgomenti. Così titola il quotidiano Il Tempo.it“Papa Francesco sfregia Giovanni Paolo II, inchiesta per pedofilia sul suo segretario”.

“La commissione di inchiesta è stata voluta fortemente da Papa Francesco ed è clamorosa. Perché secondo quanto svela Franca Giansoldati sul Messaggero ha nel mirino il cardinale polacco Stanislao Dziwisz, che è stato per tutto il suo pontificato il segretario e l’ombra di Giovanni Paolo II”. E continua:

“Dubitare dell’uomo di cui si fidava di più è un po’ come sfregiare la memoria del Papa polacco fatto santo. Eppure così sta avvenendo: Dziwisz è sospettato non di essere pedofilo ma di aver coperto preti pedofili ignorando le denunce fatte in Polonia nei confronti di alcuni di loro e una lettera che gli sarebbe stata mandata ma che lui assicura di non avere mai ricevuto”.

Quello che non viene detto, però, è che le gravissime accuse rivolte il 9 novembre 2020 al cardinale Stanislaw Dziwisz dall’emittente polacca Tvn24, di proprietà del colosso televisivo americano Discovery, sono arrivate puntuali proprio mentre il Vaticano ha pubblicato il giorno successivo – il 10 novembre – il rapporto sull’ex cardinale arcivescovo di Washington, Theodore Edgar McCarrick. E ancora, bisogna ricordare che Ceo e presidente di Discovery è un certo David Zaslav, la cui attività divulgativa è strettamente legata alla politica. Zaslav è di nazionalità americana ma il cognome tradisce un’origine polacca.

Come ha riportato la testata online RecNews, “Zaslav inizia a ricevere finanziamenti dal 2006, ma la svolta avviene dieci anni dopo, quando riesce a movimentare 235.100 dollari dal suo network sforna reality, programmi per bambini, documentari e intrattenimenti di vario genere. Da qui passa il convincimento delle masse e la promozione dell’ideologia Dem. Gli ultimi versamenti documentati del presidente e Ceo di Discovery coprono due anni, il 2015 e il 2016. Il più cospicuo è quello del 5 ottobre 2016 di 66.800 dollari, che ha come causale ‘Hillary Victory Fund’, fondo per la vittoria di Hillary (Clinton, n.d.a.)”.

Dunque le accuse mosse al card. Dziwisz nel corso di un documentario trasmesso dall’emittente polacca Tvn24, non risultano affatto scevre da possibili e macroscopici conflitti di interesse: il coinvolgimento politico di Zaslav a favore del Partito Democratico americano è un fatto oggettivo, così come il famoso New York Times – che ha attaccato lo scorso autunno Giovanni Paolo II – è un giornale che ruota notoriamente nell’orbita dei Democratici americani, sostenendo la candidatura alle Elezioni presidenziali di Barack Obama nel 2008, nel 2012 e quella di Hillary Clinton nel 2016.

Sembra proprio che la presenza spirituale di Karol Wojtyla risulti ancora adesso troppo pericolosa ed ingombrante da dover essere spazzata via completamente, e tanto più facile diviene oggi attaccarne il pontificato, quanto più si è certi che egli, ovviamente, non potrà più difenderlo.

Già, perché Wojtyla non era un uomo da mettere a tacere facilmente.

Chi ricorda la contestazione pubblica organizzata nel 1983 dal regime sandinista, mentre Giovanni Paolo II celebrava la messa, quando il papa si recò in visita pastorale in Nicaragua? Se i contestatori stavano urlando, Karol Wojtyla non si fece intimidire ma urlò ancor più forte dei contestatori, mentre si trovava sull’altare, sollevando con determinazione verso l’alto il crocifisso, onde rimarcare che quello è l’unico Re dell’universo! 

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Joseph Ratzinger intanto – come ha riportato Il Messaggero il 25 maggio scorso – “ha dato l’assenso all’avvio di un maxi portale internet sulla vita e l’opera di Benedetto XVI. L’iniziativa è stata lanciata in Germania il giorno di Pentecoste ed è stata annunciata a Wuerzburg dalla Fondazione Tagespost per il giornalismo cattolico.

L’obiettivo è di creare un sito d’informazione internazionale (www.benedictusXVI.org) per trasmettere l’opera del teologo Joseph Ratzinger/Benedetto XVI e renderla fruibile non solo agli accademici ma a tutti i cattolici. La fondazione collaborerà con l’Istituto Papa Benedetto XVI di Regensburg.

Il sito in lingua tedesca contiene per ora i testi principali del Papa Emerito ma verrà progressivamente ampliata. […] Ai testi è stato affiancato una sorta di ‘Bignami’ sull’Abc della visione ecclesiologica di Ratzinger e un album fotografico con le fotografie dei momenti più importanti del pontificato. In futuro il sito sarà disponibile anche in altre lingue (compreso il cinese e l’arabo)”.

Questa notizia, passata per lo più inosservata, è di capitale importanza perché mostra come Benedetto XVI non abbia rinunciato del tutto alla sua missione all’interno della Chiesa.

Frate Alexis Bugnolo, studioso ed esperto latinista, esaminando la Declaratio scritta da Benedetto XVI prima delle sue dimissioni, ha notato la presenza di alcuni errori in latino che renderebbero invalide le dimissioni del papa.

Secondo fra’ Bugnolo, papa Benedetto non avrebbe rinunciato al munus, (l’incarico di papa, di derivazione divina) ma soltanto all’esercizio pratico del potere, il ministerium. Anche se il codice di diritto canonico impone la rinuncia proprio al munus. La scomposizione formale dell’incarico papale in munus ministerium, alla base della rinuncia, è stata predisposta a suo tempo da papa Giovanni Paolo II e dallo stesso card. Ratzinger.

Gli errori grammaticali sono di fatto presenti, individuati da classicisti di tutto il mondo, ed è inconcepibile che un papa con la statura culturale di Joseph Ratzinger commetta simili errori o che non sia stato corretto da nessuno dei funzionari per ben 18 giorni fino alla sede vacante, come ha ricordato recentemente il giornalista Andrea Cionci.

Dunque l’atto di rinuncia al papato che ne scaturisce risulta completamente nullo.

Anche altri laici, come l’avvocato Carlo Taormina e, più recentemente il magistrato Angelo Giorgianni, sostengono questa tesi, secondo la quale l’unico vero papa sia ancora Benedetto XVI, mentre Jorge Mario Bergoglio sia, a tutti gli effetti, ancora un cardinale. A questo si aggiungono le dichiarazioni di Benedetto XVI negli anni successivi, che continua a sostenere che “il papa è uno solo”, senza mai specificare quale sia dei due.

Il libro dell’avvocatessa Estefania AcostaBenedict XVI: “Pope Emeritus”? – pubblicato nel febbraio 2021 – va nella stessa direzione.

Così come nella medesima direzione vanno le stesse parole di Benedetto XVI, nell’ultimo libro scritto da Peter Seewald: Benedetto XVI, Una vita, in risposta a una domanda posta dallo stesso Seewald, a proposito del filosofo Giorgio Agamben:

«Nel suo libro “Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi”, il filosofo italiano Giorgio Agamben si dice convinto del fatto che la vera ragione delle sue dimissioni sia stata la volontà di risvegliare la coscienza escatologica [che riguarda i tempi ultimi, n.d.a.]. Nel piano divino della salvezza la Chiesa avrebbe anche la funzione di essere insieme “Chiesa di Cristo e Chiesa dell’Anticristo”. Le dimissioni sarebbero una prefigurazione della separazione tra “Babilonia” e “Gerusalemme” [con riferimento alla Gerusalemme celeste, alla Chiesa Una, Santa e Immacolata, n.d.a.] nella Chiesa. Invece di impegnarsi nella logica del mantenimento del potere, con la sua rinuncia all’incarico lei ne avrebbe enfatizzato l’autorità spirituale, contribuendo in tal modo al suo rafforzamento [5]».

Nel rispondere, Benedetto XVI conferma di fatto le affermazioni di Agamben:

«A proposito delle parabole di Gesù sulla Chiesa, sant’Agostino disse che da un lato molti sono parte della Chiesa in modo solo apparente, mentre in realtà vivono contro di essa, e che, al contrario al di fuori della Chiesa ci sono molti che – senza saperlo – appartengono profondamente al Signore e dunque anche al suo Corpo, la Chiesa. Dobbiamo sempre essere consapevoli di questa misteriosa sovrapposizione di interno ed esterno, una sovrapposizione che il Signore ha esposto in diverse parabole. Sappiamo che nella storia ci sono momenti in cui la vittoria di Dio sulle forze del male è visibile in modo confortante e momenti in cui, invece, le forze del male oscurano tutto. Vorrei infine citare il Vaticano II, che nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (1,8) espone questo punto di vista rifacendosi ad Agostino: “La Chiesa ‘prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio’ (Agostino, De civitate Dei, XVIII, 51,2: PL 41,614), annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26)».

Sono rivelazioni che dovrebbero letteralmente far saltare dalla sedia i cattolici: eppure sembra che, fra molti cattolici tradizionalisti, l’unico pensiero vada oggi al rifiuto assoluto del Vaticano II, trascinando con esso, come in un fiume in piena, anche i papi che ne hanno fatto parte, come Wojtyla e Ratzinger.

Come se il loro legame con il Concilio Vaticano II ne avesse inficiato a priori tutto l’operato. E sembra proprio che se le dimissioni di Benedetto XVI dovessero risultare del tutto invalide, non importi niente a nessuno.

Eppure Benedetto XVI rappresenta il Vicario di Cristo in terra, rimarcando come Jorge Mario Bergoglio abbia rinunciato definitivamente a questo titolo.

Benedetto, lasciato solo da quella parte di Chiesa, sana e non corrotta, che avrebbe dovuto invece continuare a sostenerlo.

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Mentre coloro che non intendono disconoscere totalmente il Vaticano II, ma ricordano come esso rappresenti sempre un atto legittimo della Chiesa che semmai andrebbe corretto nelle sue affermazioni più ambigue, risultano di fatto essere degli emarginati: sia da una falsa Chiesa che usa il Vaticano II come mezzo distruttivo, sia dagli stessi tradizionalisti che non gli perdonano di non rinnegare completamente il Concilio…

Eppure anche noi siamo figli legittimi di questa Chiesa, e in stretta continuità con i papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E non per questo possediamo necessariamente una “visione contrapposta tra il Dio dell’Antico e quello del Nuovo Testamento” o soffriamo di “dissonanza cognitiva”, ricordando come patologizzare il dissenso è un male che proviene in origine dall’antico Avversario.

Mai come adesso sarebbe auspicabile nella Chiesa la presenza di una santa quale fu la grande Caterina da Siena, prima donna ad essere proclamata Dottore della Chiesa e patrona d’Italia rispettivamente dai papi Paolo VI e Pio XII nel 1970 e nel 1939. L’indefettibile fedeltà al papato e il desiderio di riforma e di unità della Chiesa ne caratterizzarono pensiero ed opere e ne orientarono le potenti preghiere.

L’arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, scomparso a soli 55 anni in circostanze poco chiare, fu un convinto estimatore della sua figura. Con le autorevoli parole tratte dalla sua ultima lettera pastorale [6] e con un accorato appello all’unità della Chiesa, mi accingo alle conclusioni, ricordando a chi legge come Naro scrisse quella lettera pochi mesi dopo l’infame aggressione fisica subìta a Cinisi, dove persino le forze dell’ordine latitarono malgrado le ripetute chiamate, e la scrisse in un clima a lui ostile e via via sempre più minaccioso.

Nonostante questo, la lettera risulta sorprendentemente bella, scritta con stile volutamente semplice ma al tempo stesso completamente innovativo, da cui traspare tutto lo slancio dell’autore per la sua amata Chiesa:

L’amore alla Chiesa significa, anche, questa generosa capacità di perdono e di superamento di ogni risentimento per guardare con speranza al futuro che il Signore prepara per noi ed accogliere con animo libero i compiti che Egli ci affida; ed anche per non ostacolare l’incontro di ogni uomo e di ogni donna con Lui. Tutti devono poter scorgere la bellezza della Chiesa. Ed è solo il nostro peccato ad oscurarla. È la nostra mancata testimonianza di unità e di concordia ad impedire il cammino degli uomini verso Cristo.

 

 

Note:

[1] Cfr. AGOSTINO, Confessioni, XI, 13, 15.

[2] G. MARCONI, La fede e le opere per la giustificazione nella lettera di Giacomo e in Paolo: il motivo ideologico della Riforma, “Storicamente”, 15_16 (2019_2020), no. 40. DOI: 10.12977/stor787.

[3] Cfr. GIUSTINO, II Apologia, 8,1.

[4] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 34: AAS 83 (1991), 251-252.

[5] P. SEEWALD, Benedetto XVI. Una vita, Garzanti, Milano 2020, p. 1208.

[6] C. NARO, Amiamo la nostra Chiesa. Lettera pastorale ai fedeli della Chiesa di Monreale. Arcidiocesi di Monreale, Monreale 2005, pp. 46-47.

 

 

Il tentativo di distruzione della Chiesa Cattolica e il tradimento del Concilio Vaticano IIultima modifica: 2021-07-04T06:53:30+02:00da daniela.g0