Poesia – Il dolore dei ricordi

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Un bisogno di amore
di poter partecipare aiutare
che resta soffocato
tra doveri e paure
La responsabilità di una madre anziana
che mi ha amato, che ho amato, che amo
il cui disturbo diventa un peso
in tempi di tragedia
Un mio carattere estroverso
che non riesce ad esprimersi ed è incredulo
di non riuscirci una volta di più
Una mia capacità di comunicare
di risultare simpatica se volevo
che mi si è come ritorta contro
Un amore passionale
che mi si è come ritorto contro
anche quello
Dei lati positivi che pensavo di avere
che non riesco tuttora
a vedere come difetti
riflessi al contrario nello specchio della vita
non so perché
non so sulla base di quale misinterpretazione
forse lo sapevo ma non lo so più
Dimenticare a volte è indispensabile
per poter continuare non a vivere
a tentare di andare avanti

NOTA: La foto astratta in copertina, “Spruzzi di luce capovolti”, è ottenuta da dei piccoli preziosi cristalli illuminati, fotografati attraverso una biglia di vetro, regalo di Mattia Achler.

Come reagire all’impennata del cambiamento climatico

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Ho scelto come copertina una bellissima veduta aerea dell’isola di Capraia, una foto di Guglielmo Giambartolomei che ho trovato su internet. L’isola ha un po’ la forma di una tartaruga gigante. A chi conosce il Mar Mediterraneo suggerisce ricordi belli.

Scarpinate in discesa, attraverso la macchia mediterranea, appunto, con rametti che graffiano le gambe abbronzate e faticose risalite, in cui gli odori penetranti e lo iodio si respirano a pieni polmoni.  In mezzo, una qualche caletta appartata e un tuffo in un’acqua limpida; poi una nuotata con la maschera e le pinne per affacciarsi sul piccolo e affollato mondo sommerso, popolato di pesci e pesciolini, su un fondale con ricci di mare tra i quali spicca qualche stella marina, e magari qualche polipo, qualche granchio, addirittura qualche aragosta. Infine, uno scoglio abbastanza poco appuntito dove ci si possa sdraiare, e chiudere gli occhi per rilassarsi grazie ai raggi di sole che penetrano attraverso le palpebre.

Sapevo che almeno alcune delle isole italiane erano in salvo, ovvero che si era riusciti a renderle praticamente autonome e dipendenti solo da fonti proprie di energia rinnovabile. Pensavo che ci fosse più tempo, che con più calma, dopo aver iniziato dalle isole, si sarebbe potuto estendere il ricorso a fonti di energia rinnovabile ad altre zone naturali altrettanto particolari e uniche nel loro genere che si trovano qua e là per la bellissima penisola italiana, e nelle sue due isole maggiori. Non mi ero resa conto che il cambiamento climatico potesse avere un’impennata, dovuta evidentemente intanto alla pandemia, ma anche al fatto che l’Italia si trova in una posizione abbastanza centrale nel Mar Mediterraneo, e questo la rende più fragile, dal punto di vista del cambiamento climatico in particolare.

Nella situazione attuale, la maggioranza delle persone è intanto affaticata dalle conseguenze dello scoppio della pandemia, nonché disturbata dalle variazioni inaspettate del clima che cambiando così bruscamente è diventato anche instabile. Anche per questo, mi sembra si pensi che non si possa fare altro che aspettare che questo periodo passi. Questa posizione però la trovo preoccupante, intanto in Occidente e in particolare in Italia.

Sono abbastanza convinta, su basi scientifiche qualitative, che questo periodo non passerà, che se non si interviene al più presto si continuerà ad assistere a quello che è l’opposto di una glaciazione (la glaciazione che ha portato alla nota estinzione dei dinosauri, e alla conseguente diffusione dei mammiferi, in un periodo così lontano nel tempo da essere difficilmente immaginabile, perché si parla dell’ordine di un milione di anni fa). Nel caso attuale, la temperatura globale si è innalzata oltre il livello di guardia, e si sta avendo invece, nell’insieme, una desertificazione (vedi Colpo d’occhio sulla desertificazione , nello stesso blog).

Una bella foto delle Dolomiti trovata su internet.
Una bella foto delle Dolomiti trovata su internet.

Forse si dovrebbe tener conto in contemporanea dei due punti di vista che immagino diversi, tra quello delle persone al governo, che si preoccupano magari di mantenere l’ordine e di salvare almeno in parte l’economia, e quello della popolazione, che si ritrova già danneggiata più di quanto potesse aspettarsi e vorrebbe invece delle risposte immediate ai problemi pratici che si sono creati e si stanno creando. Il vero problema diventa forse che si tenta di affrettare, di dare appunto delle risposte sufficientemente rapide per mantenere il controllo, e questo ha come risultato che invece si danno delle risposte miopi, che tengono conto solo dell’immediato futuro e sono destinate a rivelarsi fallimentari su tempi più lunghi. Dall’altro lato la popolazione, anche se magari solo in maggioranza, è disinformata, e non ci tiene ad essere informata di qualcosa che spaventa e che appare senza risposta possibile proprio.

Non è vero che non si possa fare niente, ci sono una quantità di cose banali che potrebbero migliorare la situazione. Mi limito a prendere esempio proprio dall’autosufficienza energetica già raggiunta in alcune piccole isole.  Intanto va premesso che l’energia che proviene da fonti rinnovabili si ottiene di base nella forma di energia elettrica. Poi, magari, andrebbe ricordato che si hanno già soluzioni tecnologiche in abbondanza per ottenerla, anche se naturalmente si possono sempre ideare nuovi metodi che si rivelino ancora più efficienti. Dai mulini a vento a quelli che trasformano in energia elettrica le onde marine, passando per le dighe che permettono di sfruttare la potenza del flusso di un fiume. Aggiungendo a tutto questo le note cellule fotovoltaiche, che possono rendere autosufficienti intanto dei piccoli edifici. In particolare, si potrebbe intanto allargare l’uso di queste ultime ai tetti dei palazzi in città, permettendo di contribuire almeno in parte all’alimentazione elettrica degli appartamenti.

C’è un aspetto ottimista, in tutto questo, che si potrebbe riuscire a passare alle fonti rinnovabili più rapidamente proprio in quanto in questo periodo c’è una sovrabbondanza di energia sprigionata da eventi naturali, ed il sole scalda anche troppo. D’altra parte, arrestare l’ulteriore innalzarsi della temperatura globale, e con il tempo riportarla al di sotto dei valori troppo alti attuali, lascerebbe aperto in seguito un’adattamento più lento alle reali possibilità energetiche, minori di quelle che si hanno in un periodo di crisi.

Come ho accennato in un’altra pagina del blog ( Colpo d’occhio sulla desertificazione ), la desertificazione e il caldo sempre maggiore in media sono legati principalmente all’aumento della CO2 (anidride carbonica) nell’atmosfera, quindi l’altro passaggio fondamentale, che è in sé stesso reso possibile appunto dallo sfruttare le fonti rinnovabili ed ottenerne energia elettrica, è quello del passaggio alle automobili elettriche, il cui funzionamento è basato su delle batterie ricaricabili. Qualcosa che si può forse dire in un blog meglio che altrove è che non si tratta di un’utopia, perché 6 o 8 delle 2 batterie di un buon motorino elettrico sono sufficienti per dare autonomia dignitosa e far muovere ad una velocità dignitosa un’automobile. Da un confronto banale dei prezzi, notando che si possono direttamente produrre batterie più grandi ed avvantaggiarsi ulteriormente, sembrerebbe emergere che le automobili elettriche attualmente disponibili sul mercato sono nettamente più costose dell’indispensabile.

Per concludere, se si partisse dalla prospettiva che questo aumento del caldo medio si può ancora invertire, invece di stressarci ulteriormente a procurarci in fretta dei condizionatori nuovi e a muoverci tra fornitori di energia elettrica più economici, forse si potrebbe chiedere di accelerare in questa prospettiva.

Perché in competizione tra di loro?

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La foto in evidenza l’ho fatta in una tranquilla fine di pomeriggio al laghetto più grande di villa Ada, ovvero in un noto spazio verde di Roma, nell’autunno del 2020. E’ un esempio in piccolo di competizione tra animali della stessa specie in natura, in questo caso dei gabbiani, i quali si stavano litigando una preda, che mi pare fosse una tartarughina acquatica. Sullo sfondo dei palazzi riflessi sulla superficie dell’acqua, alla luce del tramonto, mentre la scattavo, mi ha suggerito l’interpetazione metaforica delle cosiddette “guerre tra poveri”, delle quali un esempio classico sono i fenomeni di razzismo, ma che possono purtroppo andare anche oltre.

Una bella giovane donna, dall'espressione seria e dignitosa, di una tribù dei nomadi del Sahel (foto di Jean Marc Dureau).
Una bella giovane donna, dall’espressione seria e dignitosa, di una tribù dei nomadi del Sahel (foto di Jean Marc Dureau).

La foto di sopra è di una giovanissima donna di una tribù di nomadi del Sahel, dei quali so qualcosa da mio padre. Appunto che vivono ancora come nomadi, spostandosi con i loro accampamenti e con il loro bestiame, in particolare delle caratteristiche mucche. Questo succedeva ovunque nella preistoria, in un determinato periodo, mentre solo più tardi, diverse popolazioni del mondo in periodi diversi, si è iniziato anche a coltivare il terreno, quindi ad essere più stanziali. In ogni caso, ancora in tempi molto recenti, la cosiddetta transumanza era comune, in Italia, e permetteva appunto di portare le mucche a mangiare in pascoli in luoghi diversi, a seconda delle stagioni.

I nomadi del Sahel, che è un deserto nel nord del Continente Africano, più piccolo e distinto dal Sahara, hanno poi un fascino tutto loro, essendo appunto abituati ad un clima particolarmente secco, intanto per la loro propria cultura, i propri usi e costumi che sono di conseguenza originali, secondo me anche in quanto persone di alta statura e magre, tra le quali delle donne particolarmente belle, come nella foto che ho scelto.

Era poi all’epoca veramente bella, e ha colpito la mia immaginazione da quando vidi la foto per la prima volta da giovane, come forse quella di tanta altra gente nel mondo, la giovanissima donna con gli abbaglianti occhi verdi nella foto seguente.

Il volto di una bella giovane donna Afghana, dagli occhi verdi (foto di Steve McCurry),
Il volto di una bella giovane donna Afghana, dagli occhi verdi (foto di Steve McCurry).

Le espressioni di queste bellissime giovani donne, poco più che delle bambine, sono dignitose e serie, in entrambi i casi. In effetti, sanno di rappresentare una minoranza etnica destinata probabilmente a scomparire, nel primo caso, ed una popolazione nella quale in particolare le donne non riescono ad ottenere il minimo di diritti e di rispetto che gli spetterebbe, nel secondo.

Sono persone che sicuramente speravano in un futuro migliore, sulla base che a migliorare le loro vite, rispetto a quelle della media delle altre persone sul pianeta, bastava un niente. In effetti questo niente era però basato su un processo di integrazione, che doveva essere se non voluto almeno accettato dagli altri. Hanno avuto dalla vita invece, temo, solo dell’emarginazione in più, quindi è meglio ricordarle in queste foto della loro prima giovinezza, nelle quali erano ancora orgogliose e non stanche, nelle quali è evidente che non volevano impietosire.

Non so se ci rendiamo conto, in Occidente, del livello a cui abbiamo umiliato, e di come, dopo averlo fatto, adesso distruggiamo proprio, senza guardare in faccia nessuno, talmente presi dal nostro lungo momento di crisi personale e di riadattamento da non voler renderci conto che c’erano tante persone che non avevano a disposizione niente della nostra tecnologia, delle nostra medicine, della nostra cultura. Per le quali  ci sarebbe semmai ancora spazio abbondante, ma alle quali stiamo rendendo impossibile la sopravvivenza. Non ci vogliamo accorgere che essendo stati noi a non fermare a tempo la pandemia, a causare il cambiamento climatico, troppo rapido e che rischia di essere definitivo, saremmo noi a doverci prendere la responsabilità di aiutarle, mentre le lasciamo schizzare via dalla superficie del pianeta.

Queste due giovani donne non si sono sicuramente mai conosciute, impossibile che abbiano avuto la possibilità di incontrarsi, tra il Sahel e l’Afghanistan. Eppure siamo riusciti, dall’Occidente, a metterle in competizione per la vita tra di loro.

Solitudini che si esprimono

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Tra le persone che ho conosciuto con problema psicologico, ci sono in particolare il mio compagno ed un mio caro amico. Mi prendo la libertà di dedicare un po’ di spazio all’esposizione anche di un paio delle loro opere artistiche.
Il disegno in copertina è mio, di una donna che non è mai tornata ad essere infantile, ma è stata obbligata al ruolo per quasi 20 anni, per rendersi accettabile / simpatica alla società al di là del pregiudizio psichiatrico, con qualche discreto successo. Che sa, su sé stessa, quanto ha sofferto, perché nella migliore delle ipotesi si fanno battute ironiche come se una non fosse in grado di capirne il senso, che a differenza di quanto succede a una bambina feriscono, alle quali invece non si può rispondere,
Da un’accentuazione della tensione di questi ultimi anni nasce il disegno, in cui veramente il sogno vorrebbe solo poter evadere pacificamente dal soffitto e viene bucato. Ho avuto un’infanzia felice, nella quale sono stata amata e non ho subito traumi, e forse in particolare per questo non sono disposta ad arrendermi facilmente. Il sogno cerca nuove forme espressive, nuove strade.

Un antico papiro in una lingua sconosciuta. Da un'opera originale di Cosimo Angeleri.
Un antico papiro in una lingua sconosciuta. Da un’opera originale di Cosimo Angeleri di inizio 2022.

Come esprimersi, se si ha paura, se è negata la possibilità di farlo esplicitamente? Viene fuori un’arte contemporanea nuova, che ha dei lati affascinanti. Un’assoluta mancanza di mezzi, rispetto alla cultura ed all’intelligenza potenzialmente espressiva di chi si trova in questo tipo di situazione come prima caratteristica pratica. Qui non si vuole impietosire nessuno. E’ forse un antico papiro in una lingua sconosciuta, che gli storici non si sono mai preoccupati di classificare tra quelle antiche note. Dice qualcosa? Si. Cosa? Qualcosa di sufficientemente interessante da spaventare, che non si vuole venire a sapere. Questo, lo sa anche l’autore, ma forse non se ne rende conto, infatti non oserei neanch’io tentare una traduzione.

Un'esposizione di arte povera archeologica.
Un’esposizione di arte povera archeologica. Da un’opera originale di Mattia Achler recente.

L’ultima foto è un’opera del mio compagno. Quindi potrei osare spiegare il significato  dei singoli pezzi, iniziando con l’introdurre stupefatti lettori alle leggende di Sirio (una stella doppia, intanto ben nota agli antichi Egiziani in quanto in corrispondenza con le piene del fiume Nilo). Non è il mio scopo e non avrei il diritto di provare a farlo.

Vorrei solo sottolineare che il mio compagno era appassionato di archeologia, e che ognuno di questi oggettini di arte povera, esposti come in una bacheca di un museo, è stato raccolto passando diverso tempo chino ad esplorare il marciapiede o la ghiaia di un giardinetto, magari facendosi venire mal di schiena e sudando sotto il sole. Lui lavora, e vorrebbe poterne essere orgoglioso.

 

Bambini Felici

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Ho avuto modo di viaggiare, da adolescente e da giovane, in vari paesi del mondo e mi piaceva farlo con relativa calma. Cercavo di percepire l’atmosfera, di calarmici un po’ dentro, anche se restavo una qualsiasi turista. Facevo tante foto, all’epoca, forse già allora mi nascondevo un po’ dietro l’apparecchio fotografico,  e ne facevo anche alle persone, niente di eccezionale ma alcune belline.

Qualche anno fa, in un momento di nostalgia per quei viaggi spensierati, sono andata alla ricerca sul web di foto di bambini, che a me piaceva fotografare sorridenti, felici, che stavano bene, quando mi riusciva. Queste foto, che scelsi all’epoca, sono particolari, evidentemente, una selezione tra tante, di altri fotografi.

Mi sembrano adatte, in questo periodo, in cui non si sa più  fino a che livello dei bambini rischino di morire di fame, di sete, di malattie tremende (che poi potrebbero essere curate, in teoria). Mi sembrano adatte per ricordare che veramente i bambini felici ci possono essere, ci sono sempre stati, ci sono, anche in situazioni di povertà e di rischio magari difficili da accettare in Occidente. Bambini che hanno comunque un’infanzia felice, in cui da neonati sono tenuti vicino dalle mamme, bambini non ancora sfiduciati, capaci di regalare con spontaneità un sorriso.

Questi bambini c’erano, ai tempi in cui viaggiavo (anni ’80-’90), li ho ritrovati in queste foto, penso veramente che dovremmo tenerne più conto di quanto facciamo, in questo periodo, perché comunque è in Occidente che si sta decidendo in gran parte il destino del Pianeta Terra.

Storia di un arcobaleno sfortunato

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C’era una volta un tranquillo arcobaleno in campagna, in una bella serata. Lo notai e mi diede un’insolita speranza. Ci trovammo invece a dover tornare a Roma, con l’uomo di cui sono innamorata, e dopo un’incredibile serie di traversie, nell’insieme piuttosto drammatiche, lo rividi piccolo, in un adesivo di plastica, sul retro di un auto parcheggiata, e provai uno strano presagio pessimista.

Passarono lunghi anni, prima che riaprissi gli occhi a sufficienza per far nuovamente caso agli arcobaleni. Il primo che incontrai fu in un riflesso sulla parete bianca del guardaroba di mamma, in una bella primavera, che una volta di più si cangiò in dramma, per me in particolare, invece.

Di quel periodo, mi rimane una manciata di magia bianca nell’aria, a Porta Maggiore a Roma, che mi suggeriva di trasformarmi in una Fatina della Foresta Nera, e trascinarmi dietro il mio uomo in quanto Elfetto. Mia mamma era una donnina in miniatura che abitava tranquilla nel suo piccolo fungo, dal quale potevamo entrare e uscire, ben arredato e pulito.

Non entro nei dettagli di come mi trovai in quella situazione, né di cosa successe in seguito, c’è una serie di circostanze che mi potrei ricordare o meno, ma che comunque sfuggono al contesto, non possono appartenere a nessuna fiaba.

L’arcobaleno riflesso che notai in seguito era sul vetro di un quadro, e firmava il mio rapporto con mia madre, rappresentato in forma astratta, in quanto l’arcobaleno era dovuto a dei riflessi di piccoli soprammobili in cristallo preziosi, che le regalavo spesso intanto da bambina, e nel quadro è rappresentata una bella casa vecchia in campagna, un po’ isolata.

L’arcobaleno naturale, che in quanto tale era comunque ottimistico almeno per me, anche se appariva sullo sfondo di un cielo grigio scuro, lo vidi dalla finestra l’autunno scorso, ovvero a fine autunno del 2021, e in fondo la tragedia tuttora in corso era rappresentata bene proprio da quel grigio scuro, ma purtroppo non potei di nuovo fermarmi e ripartire nella vita reale da lì.

Ora, nel contesto del dramma che si continua a svolgere indisturbato in Italia e nel mondo, ho fissato il mio arcobaleno in una foto, tra le tante che mi hanno incuriosita in questo periodo, di cui non so l’autore ma che comunque è la foto di un attimo fuggente in un deserto messicano. Il cielo su cui si staglia l’arcobaleno è attraversato da un fulmine lampeggiante, sullo sfondo della terra rossa del deserto, con un alto cactus.

Nel frattempo, mi sono rimessa a fotografare riflessi di arcobaleni, e li ho ancora trovati, proprio davanti all’ingresso della bella casa isolata di campagna nel quadro, nonché tra le ombre giapponesi e cinesi del profilo di un camaleonte intagliato a mano nel legno di un soprammobile che viene da un Madagascar lontano nel tempo. Potrei attribuirgli vari significati, ed anche tentare di farmene guidare, ma i colori sono più vividi, e mi appaiono come un po’ surreali.

Infatti la foto che ho messo è quella del fantasma di mio padre che ride dalla costa Calabrese non di questo racconto, ma dei cattivi che non hanno permesso alla figlia che amava di potersi tenere quella manciata di magia bianca prima, o almeno rientrare nella realtà in accordo con un arcobaleno ottimista ultimamente.

L’utopia del comunismo mondiale

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In fondo si può riassumere in poche parole. Un mondo in cui esista una moneta unica, con un reddito minimo e massimo fissati, all’interno dei quali ci si può muovere, ma gli istinti che si sono appena dimostrati capaci di portare, oltre che all’iper-capitalismo, alle tragedie sommate della pandemia e degli effetti dell’inquinamento a causa della corsa sfrenata alle ultime risorse energetiche disponibili sul pianeta, sono limitati.

Un mondo in cui non si rischi di morire di fame e si sia ancora liberi di scegliere in che modo realizzare le proprie attitudini e i propri sogni, contribuendo ad un progresso globale possibile senza essere sfruttati.

Un’utopia che deve obbligatoriamente prevedere, sulla base di quello che è già successo e sta succedendo, che si arrivi a colonizzare lo spazio, a sfruttarne le possibilità e le risorse, iniziando, prima ancora che dai pianeti più vicini, dal nostro disgraziato satellite, che è la Luna.

Cos’è più importante adesso, anche mettendo questa utopia come futuro ancora possibile? Ci sono già stati troppi morti. Ci sono troppe persone disperate e completamente allo sbando. Ci sono già stati troppi emarginati che sono stati solo umiliati peggio e abbandonati a sé stessi. C’è troppo razzismo. Ci sono state e ci sono troppe persone anziane o handicappate o con problemi seri di salute che sono state terrorizzate, intanto. Ci sono persone vive che stanno soffrendo negli ospizi per anziani, nelle carceri, nelle cliniche psichiatriche, sotto depot di neurolettici. Ci sono giovani che non trovano il modo di sfogare degli istinti naturali dell’adolescenza che magari si rifugiano nella droga e nell’alcool; che comunque sono spaventati e diventano spavaldi o si rinchiudono in sé stessi. Ci sono persone che si vedono defraudate completamente dei loro diritti, senza che gli venga data alcuna spiegazione, e quindi non possono accettarlo.

C’è, forse al centro di tutto questo, un aumento infelice del distacco tra la popolazione e la ristretta media alta, che riesce a tenersi al passo con l’irrigidirsi della valanga burocratica, con il complicarsi di quella informatica,   con l’accentuarsi dell’importanza delle regole mediche a cui sottostare, in un clima di crescente disinformazione, quando si partiva già da un paese sottoposto a pressione, in cui erano già venuti a mancare dei diritti di base. E ci sono degli infelici che stanno iniziando a sentire i morsi del freddo e della fame, in proporzione molto maggiore di poco tempo fa e con molte meno speranze di allora.

Non mi chiedete chi sia in tutto questo, un’utopista, che forse ha tentato inutilmente di farsi capire ottenendo solo un frontale con la destra della propria vita di sinistra alternativa.

Si può avanzare tornando indietro?

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Oggi, mi è capitato di sfogliare il catalogo di una bella mostra tenuta anni fa nel Comune di Roma. Ho scattato le foto di 2-3 pagine, perché erano troppo belle. Ho giocato con contrasto e colori, ma naturalmente gli originali sono dei rispettivi autori. Mi è sembrato che davvero sintetizzassero qualcosa che provo. Ve le mettomostravecchiaComuneRomaaBCBl, così, non sono io che le posso commentare.

E’ un modo ambizioso di iniziare un blog, prima ancora di avere scritto due parole, ma sono stanca. Nella mia vita mi sono a volte impegnata tanto seriamente quanto ne ero capace in vari tentativi intellettuali, scientifici, o anche artistici. A volte non ho avuto più tempo, non mi è più sembrato ne valesse la pena, li ho abbandonati io, a volte sono stata interrotta dalla vita stessa. Quindi, ultimamente, tendo al sintetico.  Vorrebbe essere un blog propositivo e divulgativo, di piccole cose che sarebbero importanti da ricordare, di piccole cose che si potrebbero fare per aiutare ad avanzare, in questo momento storico difficile, da un punto di vista positivista. Purtroppo, per l’intellettuale inutile nei momenti di crisi, che è la sottoscritta, risulta spontaneo introdurle in un contesto pessimista.

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