Re Giorgio boccia le donne seminude. E fa mea culpa

   Conclusa la sfilata della collezione donna autunno-inverno 2020/21, avvenuta a porte chiuse per via del coronavirus, re Giorgio Armani ha detto: “Le tendenze non sono niente, la cosa importante è vestire le donne al meglio. Oggi parliamo tanto di donne stuprate, in un angolo, ma continuano a essere violentate anche dagli stilisti. E mi ci metto anch’io. Penso a certi manifesti pubblicitari in cui si vedono modelle provocanti, seminude: succede che molte si sentano obbligate a mostrarsi così. Questo per me è uno stupro”.

   Ringraziamo Giorgio Armani per il moto di sdegno buono e nobile, ma la dichiarazione ha in sé un che di ozioso: il fashion system non cambierà, e lui lo sa bene, perché così com’è funziona benissimo; del resto, essendo in grado di regalare un sogno già partendo da basi minimal, perché dovrebbe privare  un abito o a un accessorio di una nota erotica in salsa glam? Un valore aggiunto di sanguigna immediatezza che, nell’ottica del profitto,  sarebbe deprecabile non sfruttare.

Alessandro Piperno e l’irrazionalità delle paure contemporanee

   Posto che sono affascinata dalla scrittura e dalla mente di Alessandro Piperno, ho trovato oggettivamente godibile un suo articolo comparso su La lettura di Domenica 1 Marzo 2020; qui ne riporto uno stralcio in segno di gratitudine per una disanima concreta, storica e tuttavia leggera. Alla faccia di chi ha seminato il panico.

   […]

   “Per una volta, però, non mi basta accusare me stesso e accollarmi la colpa per intero. È vero, sono un tipo impressionabile, un ipocondriaco, un pusillanime, ma non fino al punto da sabotare deliberatamente il mio benessere interiore. La colpa – ammesso che abbia senso chiamarla così – è della retorica apocalittica che da lustri ha inquinato ogni spazio di discussione: una retorica nutrita da generiche o fin troppo circostanziate profezie di sventura snocciolate da demagoghi digrignanti e compiaciuti, gli uccelli del malaugurio del talk show universale; sì, proprio loro, quelli che ammiccando alla telecamera ti fanno capire che sei fottuto. Mi chiedo: è necessario corredare un servizio giornalistico su una qualche sciagura in agguato con una colonna sonora degna di Dario Argento? Perché l’informazione che per deontologia sarebbe tenuta a un’asettica ponderazione, si è impossessata degli strumenti tipici della narrativa horror o della fiction distopica? Fin dove può spingersi la tirannia del sensazionalismo catastrofista? […]

   “Ci risiamo. Sono in treno tornando da Napoli (di questi tempi, meglio precisarlo). Sono immerso nella lettura di uno splendido romanzo pubblicato nel 1876 quando alla mia vicina scappano un paio di starnuti importanti. Sull’intero scompartimento cala un silenzio tombale gravido di sconcerto e indignazione. L’untrice costipata si guarda intorno con un fare talmente circospetto e costernato da far pensare al peggio. Qualcuno inizia ad agitarsi. Altri aggiustano le mascherine sul naso. Altri ancora cercano scampo nell’attigua carrozza-ristorante. Se questo affare non si sbriga a entrare in stazione facciamo la fine di Cassandra Crossing. Per un attimo sono tentato anch’io di trattenere il fiato lasciandomi andare al panico dilagante. Finché non riprendo a respirare, prima con cautela, prima con cautela poi con voluttà. No, non mi avrete stavolta. Il romanzo di George Eliot è ancora lì ad attendermi: è bellissimo, il faut tenter de vivre!”.

Alessandro Piperno

Contagi letterari tra colera cinese, peste e armi batteriologiche

   La letteratura è ricca di romanzi che si sono occupati di contagi e affini, e non solo in relazione a realtà distopiche. Stephen King, ad esempio, ne L’ombra dello scorpione, immagina un virus che, creato come arma batteriologica, sfugge al controllo. E scrive: “D’altronde, in tutte le città c’era una mucchio di gente che starnutiva e si soffiava il naso. I germi del raffreddore sono gente socievole, pensò. Ci tengono a dividersi il malloppo”.

   Ma come dimenticare il colera cinese presente ne Il velo dipinto di Somerset Maugham? Kitty, la protagonista, quasi in sfida al destino mangia verdura cruda nel luogo più infetto del mondo:”Cominciò a mangiarla, spinta da non sapeva che impeto di baldanza. Guardò Walter con occhi beffardi. Le parve che impallidisse un poco, ma quando l’insalata gli fu porta si servì. Il cuoco, visto che non la rifiutavano, ne mandava in tavola ogni giorno, e ogni giorno, vezzeggiando la morte, loro ne mangiavano. Era grottesco correre un simile rischio. Per Kitty, terrorizzata dalla malattia, era non solo una maligna vendetta su Walter, ma un modo di farsi beffe dei propri disperati timori”.

   In questi giorni di coronavirus, molti hanno ricordato La peste di Albert Camus. In rete sono presenti varie pagine. Una per tutte:

   “L’uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e di tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso; ma è ancora più faticoso non volerlo essere. Per questo tutti appaiono stanchi: stanchi: tutti, oggi, si trovano un po’ appestati. Ma per questo alcuni che vogliono finire di esserlo, conoscono un culmine di stanchezza, di cui niente li libererà, se non la morte. […] Di qui, so che io non valgo più nulla per questo mondo in se stesso, e che dal momento in cui ho rinunciato a uccidere mi sono condannato a un definitivo esilio. Saranno gli altri a fare la storia. So, inoltre, che non posso apparentemente giudicare questi altri; mi manca una qualità per essere un assassino ragionevole; non è quindi
una superiorità. Ma ora, acconsento a essere quel che sono, ho imparato la modestia. Dico soltanto che ci sono sulla terra flagelli e vittime, e che bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere col flagello. Ho sentito tanti ragionamenti da farmi girar la testa e che hanno fatto girare abbastanza altre teste da farle consentire all’assassinio, che ho capito come tutte le disgrazie degli uomini derivino dal non tenere un linguaggio chiaro. Allora ho preso il partito di agire chiaramente, per mettermi sulla buona strada. Di conseguenza, ho detto che ci sono flagelli e vittime, e nient’altro. Se, dicendo questo, divento flagello io stesso, almeno non lo è col mio consenso. Cerco di essere un assassino innocente; lei vede che non è una grande ambizione”.